(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) renali e nefrocalcinosi. I sintomi della patologia variano da calcoli renali bilaterali ricorrenti con malattia renale cronica moderata a insufficienza renale precoce nell'infanzia. Fino a poco tempo fa, il trattamento della PH1 era solo sintomatico: lo standard di cura si basava su iperidratazione intensiva, alcalinizzazione delle urine e gestione conservativa della nefropatia cronica, con l'uso di vitamina B6 (piridossina) in pazienti con particolari mutazioni. In coloro che raggiungono l'insufficienza renale deve essere eseguita un'emodialisi intensiva; tuttavia l'ossalosi sistemica peggiora nonostante questa terapia e l'osso è il compartimento principale per l'accumulo di ossalato.
Tradizionalmente, per questa patologia è sempre stato raccomandato il doppio trapianto (combinato o sequenziale) di fegato e rene, poiché il solo trapianto di rene porta alla perdita dell'organo trapiantato a causa dei depositi di ossalato, tranne nelle forme che rispondono alla terapia con piridossina. Con procedure così impegnative, e con le complicanze a lungo termine delle terapie immunosoppressive, la qualità della vita e la sopravvivenza dei pazienti possono essere significativamente compromesse.
Una seconda strada, però, è stata aperta dalle nuove strategie terapeutiche che utilizzano il meccanismo dell'RNA interference (RNAi), come il farmaco lumasiran, recentemente approvato per la PH1 anche in Europa. Studi di Fase I e II hanno dimostrato la sicurezza di questa molecola, e studi di Fase III ne hanno mostrato l'efficacia nel diminuire sia i livelli di ossalato urinario nei pazienti con malattia renale moderata o avanzata, sia i livelli di ossalato plasmatico nei pazienti con malattia renale avanzata e in dialisi.
Rimane ora da chiarire se sia possibile sostituire il doppio trapianto di fegato e rene con il trapianto di rene isolato in associazione a terapia con lumasiran: prima dello studio franco-olandese, solo un case report aveva descritto questa procedura, che potrebbe diventare un vero punto di svolta nella medicina dei trapianti. Da questo recentissimo studio arriva quindi un importante contributo, con la descrizione dei casi clinici di cinque pazienti con PH1 geneticamente confermata che, a un'età media di 26 anni (range 3-45 anni), hanno ricevuto un trapianto di rene isolato dopo 13 mesi di terapia con lumasiran (range 5-17) durante l'emodialisi intensiva. Tre di loro hanno ricevuto il trapianto da un donatore vivente e uno aveva un profilo genetico di resistenza alla piridossina.
In tutti i pazienti i livelli di ossalato plasmatico sono diminuiti in modo continuo e significativo, da una media di 110 micromoli/L all'inizio del trattamento con lumasiran, a 53 al momento del trapianto di rene, fino a 7 tre mesi dopo. La gestione postoperatoria ha associato iperidratazione, piridossina, lumasiran e, quando tollerato, citrato di potassio. In tutti i pazienti, il trapianto di rene isolato ha avuto successo, con almeno sei mesi di follow-up senza segni di nefropatia da ossalato ricorrente; nessuno dei pazienti, inoltre, ha mostrato acidosi lattica conclamata mentre era in trattamento con lumasiran.
“Le linee guida del 2012 per la PH1 hanno proposto di eseguire il trapianto preventivo prima che si verifichi insufficienza renale, quando possibile”, spiegano gli autori dello studio. “Tuttavia, le soglie di ossalato plasmatico proposte per una procedura di trapianto sicura, vale a dire circa 20 micromoli/L, appaiono abbastanza ottimistiche e probabilmente non raggiungibili dalla maggior parte dei pazienti, tenendo presenti i livelli osservati in dialisi nei pazienti non-PH1. I dati più recenti dello studio ILLUMINATE-C hanno mostrato che, in una coorte di 15 pazienti con PH1, in dialisi e in terapia con lumasiran, i livelli di ossalato plasmatico si sono ridotti del 42% tra il basale e i 6 mesi, con un plateau di circa 70-75 micromoli/L raggiunto entro 2 mesi. In particolare, è stata osservata un'importante variabilità interindividuale”, proseguono gli esperti.
“Concettualmente, per evitare sia le complicanze a breve termine e la mortalità del trapianto di fegato (il 14% di decessi nelle coorti storiche), sia quelle a lungo termine delle terapie immunosoppressive, siamo tentati di proporre le terapie RNAi al posto del trapianto di fegato prima della dialisi, e il trapianto di rene isolato nei pazienti che hanno raggiunto l'insufficienza renale. I nostri dati, infatti, indicano che può essere una strategia sicura, se i livelli di ossalato plasmatico sono inferiori a 80-90 micromoli/L”, concludono i medici francesi e olandesi. “Come avviene nel doppio trapianto di fegato e rene, la gestione postoperatoria intensiva che associa iperidratazione e alcalinizzazione rimane cruciale per evitare la ricomparsa dei depositi di ossalato sul rene trapiantato, fino a quando il rapporto fra ossalato urinario e creatinina rimane elevato a causa del rilascio osseo”.

Fonte: Nephrology, dialysis, transplantation

Notizie specifiche su: iperossaluria, lumasiran, trapianto, 23/02/2023 Marco Messina


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