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Lo studio, che sarà a breve pubblicato sul British Journal of Haematology, è stato compiuto nell’arco di 3 anni su 111 gravidanze a rischio talassemia: in un solo caso le cellule presenti prelevate non sono state sufficiente per la diagnosi, negli altri 110 casi i risultati sono stati sempre confermati dalle amniocentesi di controllo. La celocentesi ha dimostrato perciò di poter dare
risultati certi al cento per cento e già dal 2° mese di gravidanza, uno prima della villocentesi, è questo il principale, ma non unico vantaggio. Il prelievo avviene, infatti, attraverso la vagina, senza dover perforare sacco amniotico e placenta, in poche parole senza più ago nel pancione e con ridotti rischi di provocare malformazioni al feto.
“Di fronte a una diagnosi di talassemia oltre il 90% delle coppie sceglie l’interruzione di gravidanza - ha spiegato Aurelio Maggio - Anticipare i risultati al secondo mese consente di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) e non all’aborto terapeutico, con un beneficio per la donna sia fisico che emotivo. Ma l’aborto non è la sola prospettiva perché attualmente stiamo facendo degli studi anche sulle possibilità del trapianto in utero”.
“I primi studi sulla celocentesi sono stati fatti in Inghilterra nel 1993 - ha spiegato George Makrydimas - ma allora la tecnica esponeva al rischio di aborto. Successivamente gli studi fatti in Grecia hanno avuto risultati migliori. Il prof. Maggio ha intuito che poteva essere la strada per anticipare i tempi della diagnosi prenatale e così è nata la nostra collaborazione. In questi tre anni ho eseguito personalmente i prelievi ma, a breve, anche i ginecologi di Palermo saranno in grado di farlo in maniera corretta e sicura”.
La conferenza di presentazione della celocentesi come metodo utilizzabile nella diagnosi estremamente precoce della talassemia è stata anche l’occasione per fare un punto sulle prospettive terapeutiche attuali per chi è affetto dalla malattia.
La talassemia non è più il male degli isolani, si è ormai diffusa in tutte le regioni e i numeri sono in crescita per effetto dell’immigrazione, si tratta dunque di un problema nazionale. La malattia però mette meno paura di un tempo. “Per i nati negli anni ’80 e ’90 - ha spiegato Renzo Galanello - la prospettiva di vita si avvicina sempre più a quella di un soggetto sano. Anche per questo stanno aumentando le coppie che, di fronte a una diagnosi di talassemia, scelgono di proseguire la
gravidanza. Il merito è da una parte della Risonanza Magnetica Nucleare che permette di quantificare gli accumuli di ferro negli organi, dall’altra la disponibilità di tre farmaci chelanti differenti, uno che viene iniettato per via sottocutanea e due disponibili anche in forma orale. Questo ci permette di scegliere tra 13 diversi schemi di trattamento personalizzabili”. E poi c’è anche la prospettiva del trapianto di midollo. “C’è quello da fratello HLA identico con livelli di successo intorno al 95%. Quello da biobanca con successo nell’85/90% dei casi e risultati molto buoni anche con le cellule del cordone ombelicale di un fratello identico. I risultati sono invece scarsi, con molti casi di rigetto e di morte, se si usa un donatore che ha in comune solo il 50% del patrimonio genetico, come il padre o la madre. Nel mondo occidentale si usa solo in casi eccezionali, ma è più diffuso nei paesi poveri. Dove ci sono meno risorse si tenta anche il trapianto meno sicuro. Credo sia ingiusto, la comunità scientifica dovrebbe cercare di mettere a disposizione di tutti le stesse opportunità”. Il prossimo traguardo da raggiungere per la cura della malattia è la terapia genica. “Per la talassemia, nell’uomo la terapia genica è stata usata con successo in un solo paziente, un ragazzo francese che da tre anni vive senza trasfusioni - ha spiegato Lucio Luzzatto - Il problema è che il vettore usato per inserire il gene corretto è andato ad annidarsi in un punto delicato e potrebbe esporre il paziente al rischio di leucemia. Sono convinto che il futuro della terapia genica sia nel processo di ricombinazione omologa.
Perché questa abbia luogo c’è bisogno di poter utilizzare un grande numero di cellule staminali. La metodologia per aggirare il problema è già in parte disponibile, attraverso le cosiddette cellule staminali pluripotenti indotte (iPS) che possono essere coltivate e moltiplicate in modo forse illimitato in vitro. Questo approccio non è ancora mai stato usato in clinica: occorrerà che
capiamo meglio il processo di riprogrammazione, che dimostriamo che è innocuo, e che superiamo le prove che gli organismi di controllo giustamente imporranno” .
Ma vediamo nel dettaglio in cosa consiste la nuova tecnica. La celocentesi consiste di un prelievo del liquido celomatico, un fluido che si trova all’interno di una cavità detta appunto celomatica o extraembrionale, e che contiene cellule fetali. Questa cavità si forma durante la quarta settimana di gestazione rappresentando il più grande spazio all’interno del sacco gestazionale nel corso delle prime nove settimane, dopo di che comincia a ridursi fino a scomparire per lasciare spazio alla cavità amniotica. Il prelievo del fluido celomatico avviene con aspirazione per via transvaginale utilizzando specifiche tecniche ecografiche che permettono di visualizzazione la membrana che separa la cavità amniotica dalla celomatica. Ciò vuol dire che il prelievo attraverso celocentesi può essere fatto a partire dalla quinta settimana, ma non oltre l’inizio della nona, e senza perforazione della placenta o del sacco amniotico, e questo rappresenta un vantaggio in termini di sicurezza rispetto alle tecniche di amniocentesi e villocentesi.
Le criticità ancora da superare sono legate essenzialmente alla scarsità cellulare e alla presenza di cellule materne insieme a quelle fetali nel liquido celomatico.
La densità di cellule nel fluido celomatico è particolarmente bassa e variabile e la quantità di DNA estratto è generalmente scarsa. Questa problematica potrà comunque essere superata utilizzando alcune tecniche particolari come la nested-PCR ed l'amplificazione genomica (Whole Genome Amplification). Precedentemente, proprio per questo problema, la fattibilità, cioè la possibilità di utilizzare per la diagnosi il liquido celomatico, era stimata intorno al 58%, a causa delle contaminazioni da DNA materno. Tale criticità è stata risolta con l'identificazione delle cellule fetali e il loro isolamento con l’utilizzo di anticorpi coniugati a biglie magnetiche diretti contro antigeni di superficie presenti sulle cellule materne o sulle cellule fetali per separale, permettendo l’arricchimento del campione con cellule fetali pure. Questo importante passo avanti è stato compiuto grazie ad uno studio, pubblicato nel 2010, eseguito dalla dottoressa Maria Concetta Renda, responsabile della linea di ricerca “trapianto in utero” dell’Unità di ricerca “Piera Cutino”, U.O. Ematologia II dell’Azienda Ospedaliera Vincenzo Cervello di Palermo.
La nuova tecnica di diagnosi prenatale per la talassemia messa a punto in Sicilia è stata anche premiata come ‘migliore idea innovativa’ nel corso dell’Expobit 2010.
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