(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) è svolto a Roma con presidenti il Prof. Lorenzo Palleschi, Presidente SIGOT Nazionale, Direttore Unità Operativa Complessa di Geriatria e del Dipartimento Internistico dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, Roma, e il Prof. Francesco Vetta, Direttore UOC Cardiologia UTIC Ospedale di Avezzano e Professore di Cardiologia Unicamillus.
“L’insufficienza respiratoria acuta (carenza di ossigeno nel sangue arterioso) è la prima diagnosi di dimissione dei pazienti con più di 75 anni ed in alcuni reparti coinvolge fino al 40% dei pazienti – sottolinea Filippo Luca Fimognari, Direttore Scientifico SIGOT e Direttore della UOC di Geriatria e del Dipartimento Medico dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza –. Uno studio appena pubblicato e basato su 2024 ospedalizzazioni nella Geriatria della nostra Azienda Ospedaliera, ha rilevato che ne era affetto ben il 48% dei pazienti. Può essere provocata da varie patologie acute, in primis lo scompenso cardiaco, ma anche da BPCO riacutizzata, polmoniti, embolia polmonare, sepsi, versamenti pleurici. È dunque necessario identificare subito le cause per definire la prognosi, che spesso è negativa, con una mortalità intra-ospedaliera del 20-25% (rispetto al 4% di mortalità dei pazienti senza insufficienza respiratoria), e per poter trattare le patologie sottostanti”. È un vero allarme quello che parte dalla comunità dei geriatri.
“Per fronteggiare l’insufficienza respiratoria acuta serve anche un impegno del territorio per i pazienti dimessi che spesso necessitano di una ossigeno-terapia a domicilio, ma soprattutto rimane centrale il ruolo dell’ospedale, poiché i pazienti che arrivano in Pronto Soccorso con questa patologia costituiscono una percentuale consistente di codici ad alta gravità. Devono essere accolti senza pregiudizi e ricoverati tutte le volte in cui il ricovero sia ritenuto clinicamente opportuno – aggiunge Filippo Luca Fimognari –. Il ricorso in PS è appropriato, perché pur essendo una patologia sotto diagnosticata e di cui si parla poco, è una vera e propria epidemia. Inoltre, pone l’esigenza di nuovi posti letto in area medica, con particolare attenzione ai reparti di geriatria per acuti, la cui carenza spiega anche l’affollamento dei Pronto Soccorso, spesso intasati da pazienti già arruolati per essere ricoverati ma che non possono essere trasferiti in reparto per la mancanza di posti letto. Questa realtà conferma quanto già rilevato dallo studio pubblicato sulla rivista scientifica Geriatrics & Gerontology International nel 2022 che riscontrava come gli accessi degli anziani in PS, e i successivi ricoveri nei reparti, fossero quattro volte più appropriati negli anziani che nei giovani. La diffusione dell’insufficienza respiratoria acuta conferma che le condizioni di cronicità e fragilità rendono gli anziani clinicamente instabili, maggiormente vulnerabili, e pertanto più a rischio di quadri clinici acuti e gravi, che richiedono l’accesso in Pronto Soccorso e spesso il successivo ricovero”.
Tra i dati evidenziati dai geriatri, vi è dunque sia l’importanza della gestione territoriale del paziente anziano con cronicità e disabilità, fondamentale per la qualità e la durata della vita dei pazienti, ma anche e soprattutto un rafforzamento degli ospedali, che talvolta ancora sono causa di disabilità nelle persone anziane.
“Anzitutto, bisogna ribadire che l’idea che gli anziani accedano in Pronto Soccorso per motivi inappropriati sia un mero pregiudizio, come certificato da importanti studi – evidenzia Alberto Ferrari, Presidente Onorario SIGOT e geriatra presso il 3C Salute di Reggio Emilia –. Inoltre, bisogna evitare che il ricovero provochi nel paziente anziano la perdita dell’autonomia, un esito che come documenta la letteratura scientifica si può verificare se il paziente anziano non è approcciato correttamente. Se questi invece viene approcciato con il Comprehensive Geriatric Assesment (Valutazione Multidimensionale) effettuato in Unità Operativa di Geriatria per acuti (UGA) ha meno rischio di perdere abilità, permette al paziente di rimanere a domicilio, di recuperare più velocemente da un intervento, di ridurre il rischio di essere istituzionalizzato e di andare incontro a decesso. Secondo una recente meta-analisi pubblicata sul British Medical Journal che ha messo a confronto il CGA praticato in una UGA verso un approccio Usual Care praticato in una divisione medico-internistica tradizionale, il numero di pazienti da trattare per evitare una morte o una istituzionalizzazione (ricovero in caso di riposo) è di 20 pazienti a un anno e di 13 a sei mesi. Tuttavia, questi concetti stentano ancora a entrare nella programmazione sanitaria nazionale e nella sensibilità individuale delle persone anziane, senza che si comprendano i reali vantaggi che potrebbero comportare: mantenere l’autonomia e la qualità della vita alla dimissione dall’ospedale”.
Notizie specifiche su: insufficienza, respiratoria, anziani, 28/05/2024 Andrea Sperelli


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