(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) dell’ovaio. In queste donne la sorveglianza ecografica, in termini di anticipazione della diagnosi, ha dato risultati deludenti, motivo per cui la chirurgia profilattica, che consiste nell’intervento chirurgico di salpingo-ovariectomia, con l’asportazione di tube ed ovaie, è raccomandata da tutte le linee guida nazionali ed internazionali. «Si è visto che se le donne portatrici di tali varianti si sottopongono a chirurgia profilattica, tra i 35 e i 40 anni per BRCA1 e tra i 40 e i 45 anni per BRCA2, c’è una riduzione del rischio fino al 96% di sviluppare il cancro ovarico», spiega Robert Fruscio dell’Unità operativa complessa di ginecologia della Fondazione IRCCS San Gerardo di Monza e associato di ginecologia e ostetrica presso l’Università Milano-Bicocca. «Tuttavia questo approccio induce una menopausa anticipata con una serie di effetti collaterali sia a breve termine (aumento di peso, vampate, disturbi del sonno e sessuali), sia a lungo termine (osteoporosi, malattie cardiovascolari, deterioramento cognitivo) che non sempre è possibile contrastare con una terapia ormonale sostitutiva (Tos). Questo è vero soprattutto per le donne portatrici di mutazione che hanno già avuto un tumore mammario nelle quale la Tos è controindicata, a prescindere dalla presenza di un carcinoma ormono-sensibile o triplo negativo».
L’idea di valutare la salpingectomia con ovariectomia ritardata come alternativa alla annessiectomia bilaterale in donne portatrici di mutazioni germinali che predispongono allo sviluppo del cancro ovarico nasce dall’osservazione che gran parte dei tumori ovarici sierosi di alto grado si sviluppa all’estremità distale della tuba di Falloppio.
«La terapia chirurgica che stiamo valutando consiste nella rimozione delle sole tube in un primo tempo e delle ovaie in un secondo momento. Ci aspettiamo che questo approccio fornisca una adeguata prevenzione oncologica, permettendo allo stesso tempo di posticipare la menopausa e i noti effetti collaterali. Affinché questa strategia possa diventare lo standard è necessario studiarne gli effetti a lungo termine sull’incidenza del cancro ovarico ed è proprio quello che si prefigge il nuovo studio internazionale», spiega Fruscio.
Lo studio multicentrico mira ad arruolare 3000 portatrici di varianti patogenetiche germinali dei geni BRCA1 o BRCA2, ma saranno coinvolte anche donne con alterazioni in altri geni di suscettibilità al tumore ovarico (BRIP1, RAD51C, RAD51D), che costituiranno un gruppo a parte. «La decisione di includere nello studio le donne con alterazioni germinali più rare in geni di suscettibilità si basa sul fatto che anche a queste viene consigliata una chirurgia profilattica per ridurre il rischio di carcinoma ovarico, sebbene quest’ultimo sembri minore (circa 10%)», puntualizza l’esperto.
Per ora al San Gerardo di Monza sono state coinvolte circa venti donne, dodici già operate a partire dal maggio scorso. «Un aspetto che ritengo positivo dello studio è la possibilità che hanno le donne coinvolte di scegliere il tipo di approccio a cui vogliono sottoporsi – sottolinea l’esperto -. Il vissuto personale influenza molto la scelta: per esempio le donne che hanno avuto la mamma o parenti stretti deceduti a causa del tumore ovarico tendono a preferire l’annessiectomia, mentre quelle in cui ci sono stati più tumori della mammella in famiglia optano maggiormente per la strategia sperimentale in due tempi».
Le donne coinvolte nello studio, dopo essere state adeguatamente informate, hanno la possibilità di scegliere tra il trattamento standard, ovvero l’annessiectomia bilaterale – da eseguire entro i 40 anni per le portatrici di mutazioni nel gene BRCA1 ed entro i 45 anni per quelle con mutazioni di BRCA2 – e il trattamento sperimentale. Quest’ultimo prevede in prima battuta la salpingectomia bilaterale all’esaurimento del desiderio di avere figli e successivamente l’ovariectomia ritardata. In particolare la salpingectomia va eseguita prima dei 40 anni e l’ovariectomia a un’età massima di 45 anni nelle donne portatrici di mutazioni di BRCA1, mentre nelle donne con mutazioni di BRCA2 la salpingectomia va fatta prima dei 45 anni e l’ovariectomia entro i 50 anni. In entrambi i casi, il protocollo dello studio prevede che il secondo intervento possa essere fatto non prima che siano passati due anni dal primo.
«Rispetto alle donne che scelgono il protocollo standard, quelle che optano per l’approccio in due tempi devono sottoporsi a due interventi chirurgici – fa notare Fruscio -. La buona notizia è che oggi sia la salpingectomia sia l’ovariectomia sono diventati interventi mini-invasivi eseguiti in laparoscopia con strumenti molto sottili che non lasciano nemmeno più cicatrici. Non solo, dopo le procedure chirurgiche le pazienti vengono seguite con visite di controllo periodiche. Nel nostro centro proponiamo due controlli ginecologici all’anno con ecografia transvaginale e dosaggio di marcatori tumorali (Ca125)».
«Il rischio più importante per le partecipanti è quello di sviluppare il cancro ovarico
nell’intervallo tra salpingectomia e ovariectomia – segnala Fruscio -. Stimiamo che tale possibilità sia intorno all’1-2% quando il secondo intervento viene posticipato di cinque anni (nello scenario improbabile in cui la salpingectomia precedente non riduca affatto il rischio di carcinoma ovarico)».
Per avere i primi dati ci vorranno almeno un paio di anni e altri anni per avere dati a lungo termine che confermino l’effettiva sicurezza dell’approccio in due tempi. «Quando disporremo di risposte certe, questa strategia in due step potrà essere introdotta nella pratica clinica, dando così alle donne la possibilità di ritardare la menopausa chirurgica che ha un impatto fisico ed emotivo importante. Per ora il protocollo in due tempi è da considerare una procedura sperimentale e pertanto può essere proposto solo nell’ambito di studi clinici controllati», conclude Fruscio.
Notizie specifiche su: tube, utero, Brca, 12/04/2023 Arturo Bandini


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