(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) e un accumulo di disabilità. Lo studio ha dimostrato sempre più che il monitoraggio dei biomarcatori misurabili nel sangue può fornire informazioni clinicamente utili sull'attività della malattia nei pazienti, informazioni che possono incidere sui piani di trattamento. Una presentazione tenuta a ECTRIMS si concentra sulle citochine, piccole proteine di segnale associate all'infiammazione a livello sistemico. Sebbene sia noto che i livelli di citochine sono elevati in varie malattie reumatologiche, pochi studi hanno collegato questo importante biomarcatore in modo particolare alla NMOSD.
Un’analisi dello studio clinico N-MOmentum (NCT02200770) ha valutato la relazione tra i livelli di citochine e l'attività della malattia nella NMOSD, mediante l’analisi di marcatori proteici sia nei partecipanti del gruppo che ha ricevuto il trattamento che quelli del gruppo placebo (n=211) al basale e dopo il trattamento. Sono stati quindi utilizzati pannelli di immunodosaggio e pannelli di biomarcatori, correlando questi livelli con gli endpoint clinici nel corso dello studio. L'analisi ha rilevato livelli significativamente elevati di 18 delle 92 proteine misurate al basale, in particolare la proteina IL-17a, è risultata elevata in circa il 60% dei partecipanti, insieme alle proteine IL-6, IFN-y e CXCL10, entrambe risultate in circa il 20% dei partecipanti. È importante sottolineare che, indipendentemente dai livelli di citochine al basale, il tasso di manifestazione dei sintomi causati della malattia è diminuito tra i partecipanti che hanno ricevuto inebilizumab durante tutto lo studio clinico.
"I livelli di citochine periferiche forniscono informazioni importanti sulle reazioni infiammatorie nel corpo. Tenere traccia dei cambiamenti dei livelli di citochine per le persone affette da NMOSD può essere uno strumento clinico per comprendere l’immunopatologia della malattia", ha affermato Bruce Cree, Ph.D., MAS, autore dello studio e docente di neurologia clinica presso University of California San Francisco Weill Institute for Neurosciences. "Questi dati dimostrano che inebilizumab è efficace nel ridurre gli attacchi invalidanti della NMOSD, indipendemente da quanto infiammato può essere il profilo di base citochinico di un individuo, sottolineando l'efficacia di inebilizumab”.
I nuovi risultati della sperimentazione clinica N-MOmentum presentata a ECTRIMS rafforzano l'impatto durevole di inebilizumab per le persone affette da NMOSD. Utilizzando i dati raccolti dalla sperimentazione, questa analisi ha confrontato l'efficacia di inebilizumab (n=208) con i dati storici degli studi pubblicati relativi alla NMOSD sugli outcome delle terapie immunosoppressive come azatioprina (AZA/IST, n=132) e del placebo (PBO, n=106). L'analisi ha rilevato che inebilizumab ha prolungato significativamente il tempo dell’'insorgenza di un attacco di NMOSD rispetto ai dati riportati su AZA/IST o placebo (rapporto di rischio: rispettivamente 0,29 e 0,15). Inoltre, il trattamento con inebilizumab ha fornito un beneficio sulla probabilità di rimanere liberi da attacchi a lungo termine rispetto al periodo di tempo relativo riportato con AZA/IST o PBO (77% per i partecipanti trattati con inebilizumab rispetto al 36% per AZA/IST e 12% per PBO a 4 anni). In particolare, il tempo all’attacco per il gruppo PBO nel periodo controllato randomizzato della sperimentazione è stato simile al gruppo storico (rapporto di rischio=1,15), validando ulteriormente l'uso di serie di dati storici per questo tipo di analisi.
"Questi dati contribuiscono al crescente numero di evidenze che dimostrano l'impatto significativo e duraturo di inebilizumab sulle persone con NMOSD, come indicato dai significativi miglioramenti nel tempo all’attacco e di probabilità di non presentare alcun attacco", ha affermato Kristina Patterson, M.D. Ph.D., senior medical director, neuroimmunology medical affairs di Amgen. "Con risultati a lungo termine che rafforzano il profilo clinico favorevole di inebilizumab, questi dati supportano ulteriormente la capacità della molecola di controllare gli effetti di questa severa malattia e di prevenire il rischio di futuri attacchi che potrebbero portare a invalidità irreversibile".
NMOSD è un termine unificante per la neuromielite ottica (NMO) e le sindromi correlate. La NMOSD è una malattia autoimmune neuroinfiammatoria rara, severa e recidivante che attacca il nervo ottico, il midollo spinale, il cervello e il tronco encefalico. Circa l’80% di tutti i pazienti affetti da NMOSD risulta positivo agli anticorpi anti-AQP4.1 L'AQP4-IgG si lega principalmente agli astrociti nel sistema nervoso centrale e attiva una risposta immunitaria crescente che determina la formazione di lesioni e la morte degli astrociti.
Gli autoanticorpi anti-AQP4 sono prodotti dai plasmablasti e da alcune plasmacellule. Queste popolazioni di linfociti B sono fondamentali per la patogenesi della NMOSD, e una grande proporzione di queste cellule esprime CD19. Si ritiene che la deplezione di questi linfociti B CD19+ rimuova un importante fattore che contribuisce all'infiammazione, alla formazione di lesioni e al danno degli astrociti. Dal punto di vista clinico, questo danno si presenta come un attacco correlato alla NMOSD, che può interessare il nervo ottico, il midollo spinale e il cervello. La perdita della vista, la paralisi, la perdita di sensibilità, la disfunzione vescicale e intestinale, il dolore neuropatico e l’insufficienza respiratoria possono essere manifestazioni della malattia. Ogni attacco correlato alla NMOSD può portare a ulteriori danni cumulativi e disabilità. La NMOSD si verifica più comunemente nelle donne e nei soggetti di discendenza africana e asiatica.
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Notizie specifiche su: neuromielite, satralizumab, nervoso, 12/10/2023 Andrea Sperelli


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