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L’analisi ha evidenziato associazioni dirette tra un maggiore consumo di cibi ultra-processati e rischi più elevati di mortalità per tutte le cause, malattie cardiovascolari, disturbi mentali comuni e diabete di tipo 2. “Questa revisione ombrello ha trovato prove consistenti di un rischio maggiore di risultati sanitari avversi associati a una maggiore esposizione ai cibi ultra-processati”, ha spiegato Lane.
Nell’editoriale che accompagna la ricerca, Carlos A. Monteiro dell’Università di São Paulo sottolinea come questi alimenti non presentino soltanto un profilo nutrizionale scarso, ma siano anche progettati per provocare dipendenza, stimolando un consumo eccessivo.
Un’ulteriore conferma della pericolosità insita nei cibi industriali arriva da un altro studio coordinato dalla International Agency for Research on Cancer e pubblicato su The Lancet Regional Health.
Dai dati dello studio emerge un aumento del rischio di cancro, malattie cardiovascolari e diabete nei soggetti che fanno uso di cibi industriali e ultraprocessati.
“Si tratta di alimenti prodotti fabbricati industrialmente che comprendono componenti alimentari decostruiti e modificati, ricombinati con una varietà di additivi”, spiegano i ricercatori. “La loro diffusione è aumentata in tutto il mondo e rappresentano oggi il 50-60% dell'apporto energetico giornaliero in alcuni Paesi ad alto reddito”.
La ricerca ha analizzato i dati del progetto Epic (European Countries in the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), un grande studio prospettico sul rapporto fra alimentazione e cancro, per verificare il nesso fra consumo di alimenti ultraprocessati e multimorbilità, ovvero la comparsa di almeno 2 malattie croniche.
I dati relativi a 266.000 partecipanti seguiti per oltre 11 anni rivelano che per ogni aumento di 260 grammi al giorno di cibi ultraprocessati si registra una crescita del 9% di malattie multiple.
Non tutti gli alimenti mostrano gli stessi effetti: sono soprattutto i prodotti e le salse di origine animale e le bevande dolci ad aumentare le probabilità di ammalarsi. Non sono stati invece osservati rischi per chi consuma prodotti ultraprocessati di origine vegetale.
In Europa, solo la Spagna mostra un consumo di questi prodotti più basso di quello dell’Italia. I consumi più alti si registrano invece in Olanda per gli uomini e in Germania per le donne.
Una ricerca condotta dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), pubblicata sulla rivista scientifica American Journal of Clinical Nutrition, ha cercato di capire se il consumo di alimenti ultraprocessati potesse rappresentare un fattore di rischio anche per persone particolarmente vulnerabili come quelle affette da diabete di tipo 2. I risultati della ricerca indicano che un elevato consumo di cibi ultra-processati è associato a un aumento sostanziale del rischio di mortalità, sia per malattie cardiovascolari che per tutte le altre cause. E questo indipendentemente dalla qualità nutrizionale della dieta, misurata in questo caso come aderenza alla Dieta Mediterranea.
Gli alimenti ultra-processati sono prodotti che hanno subito processi di trasformazione spesso intensi, realizzati, in parte o interamente, con sostanze che non vengono utilizzate abitualmente in cucina (es. proteine idrolizzate, maltodestrine, grassi idrogenati) e che contengono generalmente diversi additivi, come coloranti, conservanti, antiossidanti, anti-agglomeranti, esaltatori di sapidità ed edulcoranti, il cui fine principale non è migliorare le proprietà nutrizionali degli alimenti ma piuttosto quello di esaltarne il sapore, l'aspetto e prolungarne la durata. Vengono in mente gli snack confezionati, le bevande gassate e zuccherate, i pasti pronti per il consumo e i cibi fast-food. Ma questo scenario non rappresenta tutta la realtà: il livello di lavorazione di un alimento è una caratteristica che si può riscontrare anche in cibi che “insospettabili”, come yogurt alla frutta, cereali per la colazione, cracker e buona parte dei sostituti vegetali della carne.
La ricerca italiana, condotta nell’ambito del Progetto Epidemiologico Moli-sani, ha preso in esame 1.066 partecipanti che al momento dell’ingresso nello studio erano affetti da diabete di tipo 2.
“Esaminando l’evoluzione della loro salute nel corso di 12 anni – dice Marialaura Bonaccio, epidemiologa del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli e primo autore dello studio – è stato possibile evidenziare che una alimentazione ricca di alimenti ultra-processati esponeva le persone con diabete ad una ridotta sopravvivenza. Quelle che riportavano un consumo più elevato di cibi ultra-processati mostravano un rischio di mortalità per ogni causa del 60% più alto, rispetto ai pazienti che consumavano questi prodotti in quantità minore. Il rischio di mortalità per malattie cardiovascolari, che sono già frequenti nella popolazione con diabete, aumentava più del doppio”.
“Uno dei risultati più interessanti di questo studio – dice Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento e professore ordinario di Igiene all’Università dell’Insubria di Varese e Como - è che l’aumento di rischio legato ai cibi ultra-processati si osserva anche se si è scrupolosamente attenti a ciò che si mangia. Ad esempio, una persona con diabete sceglie generalmente cibi salutari tipici della Dieta mediterranea. Ma se nella sua alimentazione sono presenti anche molti cibi sottoposti a lavorazione, i vantaggi si annullano, con un evidente aumento di rischio per la salute”.
"Questi risultati – commenta Giovanni de Gaetano, Presidente dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli - potranno avere importanti implicazioni per future linee guida finalizzate alla gestione del diabete di tipo 2. Oltre alla tradizionale adozione di una alimentazione basata sui ben noti requisiti nutrizionali, le raccomandazioni alimentari dovranno anche suggerire di limitare quanto più possibile il consumo di alimenti ultra-processati. In questa prospettiva, e non solo per le persone con diabete, riteniamo che le etichette e le indicazioni sui cibi che acquistiamo dovrebbero contenere anche informazioni sul grado di lavorazione al quale sono stati sottoposti”.
Fonte: BMJ 2024. Doi: 10.1136/bmj-2023-077310
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28/03/2024 Andrea Sperelli
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