(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) l’enzima mancante al cervello, ma si è riscontrato che non basta purtroppo somministrarlo attraverso il sangue, perché viene bloccato dalla barriera emato-encefalica, che limita il passaggio di tantissime sostanze, incluso i farmaci», spiega Alessandro Fraldi, che ha condotto la ricerca al CEINGE e che si occupa da sempre di meccanismi neurodegenerativi e malattie da accumulo lisosomiale. «Un modo per aggirare questo ostacolo, che è attualmente in fase di sperimentazione clinica, è quello di modificare l’enzima e permettergli di passare la barriera in maniera più efficiente».
Una strategia alternativa è rappresentata dalla terapia genica che attraverso dei vettori virali permette di fornire alle cellule nervose le informazioni genetiche per l’enzima carente. «Ci sono ancora molti ostacoli nell’applicazione della terapia genica alla sindrome di Sanfilippo e altre forme neurodegenerative di MPS – aggiunge Alessandro Fraldi –. I dati ottenuti nei modelli animali sono positivi, ma quando si passa all’uomo non è facile raggiungere e mantenere un livello sufficiente di enzima nel cervello e, al contempo, evitare potenziali effetti tossici dovuti, ad esempio, a dosi elevate di vettore virale. Inoltre, ogni forma di MPS è dovuta alla carenza di un enzima diverso: ogni terapia genica è per definizione specifica e questo naturalmente ne alza i costi di sviluppo, un aspetto non secondario che riguarda un po’ tutte le malattie rare. La terapia genica resta comunque una delle strategie più promettenti e siamo tutti in attesa di vederne i risultati nei prossimi anni».
Accanto alla terapia genica, oggi, grazie agli studi eseguiti al CEINGE e finanziati da diverse associazioni di pazienti (internazionali e italiane) e da Telethon, c’è una strategia complementare che potrebbe non solo “aggredire” la malattia da un altro punto di vista, ma addirittura potenziare gli effetti della stessa terapia genica. Come illustra il professor Fraldi, «la chiave sta nelle “pinzette molecolari”, piccole molecole disegnate ad hoc che inibiscono l’accumulo di un’altra sostanza tossica, l’amiloide. Accumuli di questa proteina sono presenti in numerose malattie neurodegenerative, da altre forme di mucopolisaccaridosi all’Alzheimer: bloccandoli è come se mettessimo un freno alla neurodegenerazione, limitando un effetto tossico a valle del difetto genetico primario. Abbiamo dimostrato nel modello murino della mucopolisaccaridosi di tipo 3A, la forma più frequente di Sanfilippo, che questi farmaci non solo proteggono dalla neurodegenerazione, ma se somministrati in combinazione con la terapia genica ne potenziano l’effetto terapeutico: di fatto, si contrastano i danni della malattia da due strade distinte. Inoltre, abbiamo dimostrato questo effetto neuroprotettivo anche in altri modelli di mucopolisaccaridosi, come la 1, la 3B e la 3C. Questi risultati, appena pubblicati su Molecular Therapy, ci fanno ben sperare di poter valutare presto l’effetto di questi nuovi farmaci nell’uomo».
Di strada da fare ce n’è ancora molta. «Dal punto di vista conoscitivo – spiega Fraldi - dovremo approfondire i meccanismi biologici con cui gli aggregati di proteina amiloide alterano l’omeostasi cellulare danneggiando i neuroni e gli astrociti, le cellule del sistema nervoso che hanno un ruolo chiave nella sindrome». Importante in questo senso è stato il supporto dell’associazione Sanfilippo Fighters, che fa parte della rete Telethon e nel 2021 ha finanziato il progetto di Fraldi selezionato nell’ambito del seed grant (l’iniziativa con cui Telethon mette a disposizione le proprie competenze nella valutazione della ricerca per quelle associazioni che vogliano investire le proprie risorse attraverso una selezione meritocratica e competitiva). Un seme che è “germogliato”, tanto che nel 2023 Fraldi ha ottenuto un nuovo finanziamento, questa volta nell’ambito del bando multi-round di Fondazione Telethon.
«Per quanto riguarda invece la prima sperimentazione nell’uomo – continua il ricercatore – dobbiamo affinare la produzione del farmaco su larga scala e completare gli studi sulla tossicità e la distribuzione nell’organismo. Sono molecole mai testate finora sui pazienti, ma confidiamo di completare questi studi entro tre anni, con il supporto di importanti finanziamenti internazionali. La nostra speranza è innanzitutto quella di ottenere un beneficio nei bambini con MPS 3A, ma in prospettiva l’impatto di questi nuovi farmaci potrebbe essere ben più ampio e riguardare svariate malattie neurodegenerative, non solo genetiche».
Notizie specifiche su: sindrome, Sanfilippo, bambini, 31/10/2024 Andrea Piccoli


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