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alla 1° pagina..) del 54% dell’incidenza dell’Alzheimer nel database MarketScan e a una riduzione del 30% della prevalenza di AD nel database Clinformatics rispetto allo spironolattone.
Questa osservazione è stata ulteriormente supportata da studi meccanicistici che hanno mostrato una diminuzione dei livelli di proteine neurotossiche nelle cellule cerebrali esposte all'inibitore della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5i).
Il sildenafil sembra anche ridurre l'iperfosforilazione della proteina Tau (pTau181 e pTau205) in modo dose-dipendente sia nei neuroni pluripotenti indotti da cellule staminali (iPSC) sia nei pazienti con AD familiare che sporadica.
È stato inoltre dimostrato che il farmaco mira specificamente a geni correlati all'AD e a vie patobiologiche, supportando meccanicamente l'effetto benefico del sildenafil nell'AD.
"Abbiamo utilizzato l'intelligenza artificiale per integrare i diversi dati indicando così il potenziale del sildenafil contro questa devastante malattia neurologica", ha osservato Cheng. "Crediamo che le nostre scoperte forniscono le prove necessarie per sperimentazioni cliniche per esaminare ulteriormente la potenziale efficacia del sildenafil nei pazienti con malattia di Alzheimer e riprogettare questo farmaco verso una patologia che ha grande bisogno di nuove terapie".
I ricercatori - spiega a Repubblica Federica Agosta, associato di Neurologia all'Università Vita-Salute San Raffaele e responsabile dell'unità di Neuroimaging delle malattie neurodegenerative dell'Irccs Ospedale San Raffaele - hanno analizzato i dati sui sinistri assicurativi di oltre sette milioni di persone negli Stati Uniti e valutato il rischio di sviluppare malattia di Alzheimer in 6 anni. Tra questi soggetti hanno in particolare analizzato anche coloro che assumevano sildenafil, tendenzialmente uomini visto che il principio attivo è utilizzato soprattutto per contrastare la disfunzione erettile".
Dopo aver escluso vari fattori confondenti - razza, età, sesso - i ricercatori hanno scoperto che la prescrizione del farmaco era associata a una riduzione del 69% del rischio di diagnosi di Alzheimer dopo 6 anni di follow up.
"In effetti, nei soggetti che hanno assunto per sei anni il farmaco si è riscontrato quasi il 70% in meno di rischio di Alzheimer rispetto a chi non lo ha preso. Ma attenzione: il disegno dello studio - prosegue Agosti - non può dimostrare una relazione diretta tra l'uso del farmaco e il rischio di Alzheimer. È fondamentale chiarire che i ricercatori non hanno testato l'efficacia del sildenafil nei pazienti ma solo una possibile associazione statistica tra assunzione del farmaco e rischio di malattia rispetto all'assunzione di altri farmaci. I ricercatori - prosegue la neurologa - hanno osservato un aumento dei prolungamenti neuronali e una riduzione dei livelli di proteina tau fosforilata, che insieme ad amiloide rappresenta la causa della malattia, suggerendo un possibile effetto benefico del farmaco nell'interrompere il processo neurodegenerativo. Quest’analisi apre la strada a nuove ricerche più approfondite”.
"Non esiste a oggi uno studio che ne testi gli effetti sui pazienti con Alzheimer, ma alcuni studi preclinici in vitro e su modello animale - spiega Agosta - suggeriscono come il sildenafil possa esercitare un effetto protettivo specifico nei confronti dell'Alzheimer sopprimendo l'azione dell'enzima beta-secretasi che partecipa alla formazione dei frammenti di beta-amiloide che sono causa di Alzheimer. Il sildenafil agirebbe quindi sui meccanismi che precedono la formazione della placca di amiloide. Altri studi in vitro hanno valutato la sua efficacia antiossidante. Inoltre, il sildenafil aumenterebbe l'apporto di sangue al cervello e favorirebbe la neurogenesi, quindi potrebbe essere utile per le demenze in generale", prosegue la neurologa che aggiunge: "Sui pazienti è stato condotto uno studio con una singola dose che, però, non ha testato l'efficacia clinica ma ha dimostrato un aumento dell'afflusso sanguigno al cervello. Dunque, nessuna conclusione può essere tratta sull'efficacia clinica e sulla progressione della malattia".
Lo studio presenta comunque dei limiti oggettivi: il Viagra infatti non viene prescritto ai cardiopatici, il che fa supporre che il campione sia statisticamente “viziato”. I fattori di rischio cardiovascolari, infatti, sono associati a maggiori probabilità di Alzheimer.
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26/03/2024 Andrea Sperelli
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