(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) di Neurologia presso la Scuola di Medicina dell'Università di Harvard e membro dell'Ann Romney Center for Neurologic Diseases dell'Ospedale di Boston, hanno sintetizzato il probiotico identificando un percorso biochimico nel sistema nervoso dei topi. Hanno cioè scoperto come fanno le cellule dendritiche a fermare le altre cellule del sistema immunitario, impedendo loro di attaccare l'organismo e quindi di scatenare malattie autoimmuni come la sclerosi multipla. Le cellule dendritiche sono cellule immunitarie specializzate nella presentazione dell'antigene, ma giocano un ruolo anche nel gestire la risposta immunitaria. Il loro coinvolgimento nelle malattie autoimmuni non è ancora del tutto compreso ed è proprio studiandole a fondo che è emerso il percorso biochimico scoperto dagli scienziati americani.
“Il meccanismo che abbiamo trovato è come un freno per il sistema immunitario. Nella maggior parte di noi è attivato, ma nelle persone con malattie autoimmuni ci sono problemi con questo sistema frenante, il che significa che il corpo non ha modo di proteggersi dal proprio sistema immunitario”, ha dichiarato il professor Quintana.
Dopo averlo individuato, i ricercatori hanno cercato una molecola che potesse replicare lo stesso meccanismo e l’hanno trovata nel lattato, il sale dell'acido lattico che si forma durante i processi metabolici che coinvolgono i carboidrati.
Gli scienziati hanno ingegnerizzato dei batteri buoni affinché producessero lattato e li hanno impiantati nell'intestino dei topi affetti dal modello murino della sclerosi multipla, osservandone gli effetti benefici.
“Il probiotico messo a punto sopprime l'autoimmunità delle cellule T attraverso l'attivazione della segnalazione HIF-1α-NDUFA4L2 nelle DC (cellule dendritiche)”, hanno scritto i ricercatori nell'abstract dello studio.
Il probiotico sperimentale è efficace sui topi, ma i ricercatori pensano possa dare buoni risultati sia contro la sclerosi multipla umana sia contro altre malattie autoimmuni.
“La capacità di utilizzare le cellule viventi come fonte di medicina nel corpo ha un enorme potenziale per realizzare terapie più personalizzate e precise. Se questi microbi che vivono nell'intestino sono abbastanza potenti da influenzare l'infiammazione nel cervello, siamo fiduciosi che saremo in grado di sfruttare il loro potere anche altrove”, spiega il professor Quintana.
Notizie specifiche su: sclerosi, multipla, batteri, 29/08/2023 Andrea Sperelli


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