(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) paziente mantenuta o migliorata, grazie alla limitata tossicità del farmaco.
“Il tumore della vescica è una malattia che interessa 313.600 soggetti in Italia (di cui l’80% uomini). In oltre il 90% dei casi il tumore origina dall’urotelio, ossia l’epitelio che riveste la vescica, ma anche altri organi dell’apparato urinario come la pelvi renale, l’uretere e l’uretra, e viene quindi definito, più genericamente, carcinoma uroteliale - dichiara il Dottor Roberto Iacovelli, Dirigente Medico presso l’UOC Oncologia Medica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCSS. Nel 2021 questa neoplasia è stata diagnosticata in 25.500 persone e ha causato oltre 6.000 decessi. Questo tumore si sviluppa inizialmente nel rivestimento interno della vescica (urotelio), e può successivamente diffondersi alla parete muscolare che la circonda e raggiungere i linfonodi, o altri organi come polmoni, fegato, ossa. Per questo motivo, la diagnosi tempestiva è fondamentale, perché influenza la sopravvivenza futura, così come l’approccio terapeutico che, a seconda dello stadio del tumore, prevede interventi combinati tra chirurgia, chemioterapia, radioterapia e immunoterapia.
Fino ad ora, il trattamento standard di prima linea del carcinoma uroteliale in stadio avanzato era caratterizzato dalla sola chemioterapia a base di derivati del platino, generalmente per un massimo di 6 cicli. Nei pazienti in cui si osservava almeno una stabilità della malattia al termine della chemioterapia, seguiva poi un periodo di osservazione clinica e strumentale per individuare precocemente la nuova progressione di malattia cui far seguire un nuovo trattamento, questa volta di seconda linea. Fino ad oggi - conclude il Dottor Iacovelli - non vi erano evidenze scientifiche sufficienti per proporre una terapia farmacologica di mantenimento con l’intento di mantenere il risultato raggiunto dalla prima linea di chemioterapia, ritardare la progressione, ed infine l’evoluzione della malattia”.
Avelumab è, quindi, la risposta a un’esigenza terapeutica, quella del mantenimento, per la quale fino ad ora non esistevano soluzioni.
L’immunoterapia rappresenta un approccio terapeutico relativamente nuovo in oncologia, ed è considerata la “nuova arma” per la cura del cancro dopo chirurgia, chemioterapia e radioterapia. Riattiva e rinforza il sistema immunitario del paziente, spingendolo ad attaccare le cellule malate.
“Avelumab è un anticorpo monoclonale che si lega alla cosiddetta proteina checkpoint PD-L1, un target specifico che permette ad alcune cellule tumorali di eludere l’attività del sistema immunitario – afferma il Dottor Sergio Bracarda, Direttore del Dipartimento di Oncologia e della S.C. di Oncologia Medica e Traslazionale dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni e Presidente incoming della SIUrO (Società Italiana di Uro-Oncologia)- Il farmaco inattiva il PD-L1, presente sulla superficie delle cellule tumorali, bloccando questo effetto protettivo e consentendo al nostro Sistema Immunitario di combattere il tumore.
Per i tumori uroteliali, dopo quasi tre decenni senza sostanziali ‘novità’, avelumab rappresenta realmente un punto di svolta nella pratica clinica – aggiunge il Dottor Bracarda - Il farmaco, non solo si è rivelato efficace nel controllo della malattia, e con risultati in sopravvivenza aumentati rispetto a quelli comunicati in precedenza, ma è anche ben tollerato. Elemento, quest’ultimo, di estrema importanza, alla luce della tipologia dei pazienti trattati, spesso anziani e affetti da molte altre patologie.
Il più recente aggiornamento dei risultati dello Studio JAVELIN Bladder 100, presentati all’ASCO-GU 2022, relativi a un follow-up mediano di 38 mesi (cut off dei dati: 4 giugno 2021 - 19 mesi in più rispetto all'analisi primaria iniziale) hanno dimostrato un ulteriore incremento della sopravvivenza mediana globale (OS, Overall Survival) a 23,8 mesi (95% CI, da 19,9 a 28,8) nei pazienti trattati con avelumab più la migliore terapia di supporto (BSC - Best Supportive Care) nel setting di mantenimento di prima linea, rispetto ad una OS mediana di 15,0 mesi (95% CI, da 13,5 a 18,2) nei casi trattati con la sola BSC (HR 0,76; 95% CI, da 0,631 a 0,915), con incremento ulteriore, quindi, della mediana di OS dai circa 7 mesi iniziali agli 8.8 mesi attuali nei casi trattati con avelumab”.
Sulla base di questi risultati, il regime di mantenimento in prima linea con avelumab è stato fortemente raccomandato nelle linee guida NCCN - National Comprehensive Cancer Network, ESMO - European Society for Medical Oncology, EAU - European Association of Urology e AIOM – Associazione Italiana Oncologia Medica.
“L’introduzione in Italia di avelumab nella pratica clinica per le persone affette da tumore uroteliale localmente avanzato o metastatico consente di rispondere ad un urgente bisogno terapeutico insoddisfatto – ha dichiarato Jan Kirsten, Presidente e Amministratore Delegato, Healthcare, Merck Italia. Nell’ambito dell’alleanza con Pfizer, siamo davvero lieti di poter mettere a disposizione dei professionisti della salute e dei loro pazienti una soluzione terapeutica in grado di apportare un importante cambiamento nella storia naturale di una patologia così severa. Questo è sicuramente un ulteriore impulso a proseguire con passione l’impegno di Merck nella ricerca oncologica, per poter offrire sempre più soluzioni all’avanguardia in grado di migliorare e prolungare significativamente la vita delle persone”.
“Nell’ambito del nostro più ampio programma di ricerca e sviluppo in oncologia, in Pfizer siamo impegnati da più di quindici anni nel campo dei tumori urogenitali, con un focus sul tumore renale che ha portato allo sviluppo di farmaci che hanno contribuito a cambiare la storia naturale di questa patologia – ha dichiarato Alberto Stanzione, Direttore Oncologia di Pfizer Italia. Con avelumab estendiamo il nostro impegno al carcinoma uroteliale avanzato, una forma tumorale che si caratterizza per gli elevati tassi di recidiva e di progressione, proponendo in alleanza con Merck un farmaco innovativo in grado di cambiare il paradigma di trattamento e stabilire, per la prima volta in questo tumore, la terapia di mantenimento come nuovo standard di cura, con risultati di efficacia senza precedenti. L’alleanza su questo farmaco è quindi pienamente in linea con la missione di Pfizer di proporre innovazioni che cambiano la vita dei pazienti, e siamo orgogliosi di poter mettere a disposizione delle persone affette da carcinoma uroteliale e dei loro medici una nuova opzione terapeutica finalizzata a migliorare significativamente il loro percorso di cura”.

11/05/2022 Andrea Sperelli


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