(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) conviventi con persone non affette da cancro, tutti con un'età media di circa 60 anni. Dall’analisi dei dati è risultato che nel corso di 8,4 anni hanno sviluppato un disturbo psichiatrico 7 coniugi di pazienti oncologici su 100 contro 5 nei compagni di persone senza cancro.
Nel corso dell’anno successivo alla diagnosi, il rischio di incappare in disturbi psichiatrici è stato più alto del 30% per i caregiver rispetto a quello rilevato nella popolazione generale. Nel corso del follow-up, il rischio è risultato maggiore del 14%.
Nei primi mesi l’incremento di rischio ha riguardato soprattutto depressione e disturbi correlati allo stress, mentre nel corso del follow-up si è aggiunto il rischio di abuso di sostanze. Il fenomeno si accentua in caso di malattia avanzata o decesso.
Nel sottogruppo dei caregiver con problemi psichiatrici preesistenti, inoltre, il rischio di andare incontro a problemi di salute mentale di cui prima non si era mai sofferto è più alto del 23% rispetto a quello rilevato nel campione controllo.
“Questo appena pubblicato è un lavoro interessante, ben fatto e che si presta a parecchie riflessioni", commenta a Repubblica Massimo Di Maio, Segretario Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e Direttore Oncologia dell’Ospedale Mauriziano, Università di Torino. “La maggior parte degli studi pubblicati sulla salute mentale dei caregiver indaga il livello di depressione utilizzando questionari ad hoc somministrati in maniera puntuale, cioè una tantum. Invece, in questo caso gli autori hanno condotto uno studio di popolazione: hanno calcolato il rischio nel primo anno di malattia e nel corso del follow-up, cioè sono andati a vedere cosa succede nel tempo”.
Pochi mesi fa è stata pubblicata su Psyco-Oncology una revisione di 35 studi sull’argomento: “In quel caso – riprende l’oncologo – si arrivava alla conclusione che il problema psichiatrico era nettamente maggiore nelle donne caregiver che non negli uomini. Qui invece emerge il contrario: rispetto alla popolazione generale il rischio depressivo è più alto negli uomini, ed è tutt’altro che trascurabile”.
Tra i motivi del fenomeno emerge innanzitutto quello puramente psicologico legato alla prognosi della malattia. Poi c’è una difficoltà socioeconomica che finisce per influenzare lo stato emotivo del paziente e di chi se ne prende cura. I problemi economici sono molto più rilevanti nel caso in cui il malato è un lavoratore autonomo o atipico, quindi non garantito in alcun modo. “È molto probabile che una quota del peso psicologico che il caregiver deve sostenere, e che lo studio appena pubblicato ha messo in luce, sia ascrivibile a questo fenomeno – ragiona l’esperto – oltre che, naturalmente, all’impegno fisico e organizzativo che, specialmente in alcune fasi di malattia, favorisce il senso di solitudine, di isolamento. Chiunque si occupi oggi di cancro è consapevole che c’è bisogno di supporto psicologico anche per il caregiver, come Aiom e Fondazione Aiom hanno più volte enfatizzato in varie occasioni – conclude l’oncologo – Ma la sensazione è che il nostro tessuto assistenziale e sociale sia ancora debole rispetto a questo bisogno: molti caregiver rischiano l’isolamento, la solitudine per via del carico dovuto alla gestione familiare, vivendo loro stessi la loro condizione di sofferenza psicologica come se fosse quasi inevitabile, un destino. Ma non dovrebbe essere così, ci vorrebbe una rete di sostegno di protezione della salute mentale del caregiver, perché è giusto per il caregiver, e anche per il paziente”.


Notizie specifiche su: cancro, caregiver, depressione, 12/01/2023 Andrea Sperelli


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