L'infarto miocardico è costituito dalla morte o necrosi di una zona di miocardio, una parte importante del cuore, dovuta all'improvvisa occlusione di uno o più rami delle arterie coronarie. L'occlusione del vaso, solitamente causata da trombosi, ha come base l’aterosclerosi coronarica di cui l'infarto è la complicanza maggiore e più grave. Questa condizione morbosa, contro la quale la scienza medica lotta ogni giorno di più, rappresenta oggi la più frequente fra le cause di morte ed è in costante aumento. Negli Stati Uniti, ad esempio, la mortalità per infarto è cresciuta a dismisura. Questo enorme incremento, dovuto in parte all'aumento della vita media, corrisponde anche a un incremento reale; ciò è particolarmente valido per le nazioni altamente industrializzate rispetto ai paesi economicamente arretrati e per la città rispetto alla campagna. L'infarto miocardico è, nel 98 per cento dei casi, conseguenza dell'aterosclerosi coronarica; altre cause eccezionali possono essere embolie, anomalie congenite, ecc. È più frequente nell'uomo che nella donna, almeno sino ai 40 anni, ed è strettamente legato a condizioni di surmenage psicofisico, abuso di tabacco, ipercolesterolemia, obesità, vita sedentaria. A questi elementi, che possono essere considerati predisponenti, vanno aggiunte alcune situazioni che talora possono risultare scatenanti quali sforzi, emozioni, interventi chirurgici e gravi emorragie.
L'infarto miocardico insorge con un violento dolore dietro lo sterno al centro del petto, spesso irradiato al braccio sinistro o al collo, cui si accompagnano senso di morte imminente e stato di agitazione. Il soggetto è pallido, ipoteso, tachicardico, con sudorazione fredda e spesso dispnoico. II dolore, che può durare anche parecchie ore, non cede ai composti nitrati come nell'angina pectoris e spesso nemmeno agli oppiacei. E questa la fase acuta, in cui è più alta la mortalità per le numerose e gravi complicanze che possono insorgere: shock cardiogeno, fibrillazione ventricolare o arresto cardiaco, gravi aritmie, blocchi atrio-ventricolari, insufficienza cardiaca. La fase acuta dell'infarto miocardico può assumere questi diversi quadri clinici che ne condizionano l'evoluzione e la prognosi per la loro alta pericolosità. L'infarto non complicato evolve solitamente in circa 40-50 giorni, durante i quali nella zona colpita si forma una vera e propria cicatrice. L'estensione della lesione e la modalità del decorso, complicato o meno, condizionano l'efficienza futura del soggetto colpito.
La diagnosi dell'infarto miocardico, oltre che sulla sintomatologia, si basa su vari esami del sangue. Dal tessuto del cuore colpito si versa nel sangue circolante una serie di enzimi il cui dosaggio permette di diagnosticare l'avvenuta lesione. I più importanti sono le transaminasi, la creatinfosfochinasi, la latticodeidrogenasi e altri. Gli elementi diagnostici essenziali vengono però forniti dall'elettrocardiogramma, che consente di accertare l'esistenza o meno dell'infarto, la sede di questo e l'evoluzione che ha subito. Sin dalle prime ore compaiono alterazioni caratteristiche con segni di lesione nella zona cosiddetta subepicardica accompagnati o meno da quello che è il segno caratteristico cioè l'onda Q di necrosi (primo stadio). Dopo alcuni giorni o dopo alcune settimane il quadro tende a cambiare per la progressiva riduzione dei segni di lesione e la progressiva comparsa dei segni di ischemia subepicardica e di necrosi (secondo stadio). Con il passare del tempo i segni di necrosi si fanno più evidenti e quelli di ischemia o si accentuano o tendono a regredire (terzo stadio). La diagnosi della sede colpita da infarto è possibile osservando in quali derivazioni elettrocardiografiche, che esplorano differenti zone del miocardio, i segni caratteristici compaiano ed evolvano. L'elettrocardiogramma è essenziale anche per l'accertamento di alcune complicanze dell'infarto quali i blocchi e le aritmie. Il controllo radiologico del volume del cuore, oltre che nella fase acuta, è utile nella fase di stabilizzazione per valutare gli esiti dell'infarto.
La terapia dell'infarto miocardico acuto si basa anzitutto sul riposo assoluto, sui dilatatori delle coronarie e sugli anticoagulanti. Vengono pure impiegati analgesici per lenire il dolore, sedativi e glicosidi cardioattivi nell'eventuale insufficienza cardiaca. Questa terapia si protrae sia durante l'evoluzione sia dopo la fase ospedaliera e spesso viene mantenuta per tutta la vita. II riposo a letto è importante nella prima fase ma, superato lo stadio acuto, si tende a far muovere precocemente il paziente. Se insorgono complicanze la relativa terapia viene aggiunta a quella in corso e adattata caso per caso e si può dire anche momento per momento. In particolare va sottolineato come l'alta mortalità dell'infarto sia dovuta soprattutto alle complicanze della fase acuta che, per la loro comparsa improvvisa e per la loro alta pericolosità, devono essere immediatamente affrontate o addirittura prevenute. A questo scopo oggi i pazienti colpiti da infarto miocardico acuto vengono ricoverati in reparti speciali, le cosiddette unità coronariche o unità di cura coronarica ove è possibile, grazie a particolari attrezzature, controllare in continuazione una serie di parametri clinici quali l'elettrocardiogramma, la pressione arteriosa, la pressione venosa, la temperatura cutanea e la diuresi, e dove esiste la possibilità di cogliere la complicanza al suo primo insorgere. L'infarto miocardico, per la sua notevole frequenza, rappresenta oggi un vero problema sociale. Il soggetto colpito, per quanto la lesione evolva benignamente, può restare compromesso ed è sempre un coronaropatico. Oltre alla terapia, quindi, ci si deve porre il problema della prevenzione, che consiste nel controllo di quei soggetti che per varie ragioni possono essere i candidati più probabili all'infarto. Adeguate regole di vita e il controllo di condizioni predisponenti quali l'ipertensione, il diabete, l'obesità e i disturbi del metabolismo lipidico, sono in definitiva il mezzo più efficace per combattere l'infarto miocardico.
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