È una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale. La degenerazione è intesa come perdita lenta ma progressiva di neuroni. Avviene in varie parti del cervello, ma in modo particolare a livello della sostanza nera, i cui neuroni producono un neurotrasmettitore, la dopamina, che regola il funzionamento dei movimenti involontari attraverso l’attività dei nuclei della base. Insorge abitualmente tra i 50 e i 60 anni e ha andamento progressivo con durata che può superare i 20 anni. Esistono forme più giovanili che insorgono anche ai 40 anni e forme senili presenti in età molto avanzata. A tutt'oggi l'eziologia del morbo di P. è sconosciuta, mentre la patogenesi è stata ampiamente identificata nella drastica diminuzione a livello di alcune strutture del sistema extrapiramidale (sostanza nera, striato) della dopamina, uno dei principali neurotrasmettitori del sistema extrapiramidale. Tale carenza è responsabile di un'alterazione fondamentale dell'equilibrio con altri neurotrasmettitori attivi in queste strutture anatomiche, soprattutto con l'acetilcolina, la cui attività, non più bilanciata dalla dopamina, diventa prevalente. Sembra inoltre certo che anche altri neurotrasmettitori quali, p. es., l'acido gamma-amminobutirrico, l'acido glutammico e la serotonina, svolgano un ruolo non trascurabile, anche se non ancora sondato con precisione.
La malattia inizia in modo lento e subdolo con lieve tremore al capo o alle mani oppure a un emilato, il tremore è detto “a riposo” e in particolare quello delle mani si definisce “a contar monete”; la scrittura diviene tremula e con caratteri minuscoli (micrografia); il tremore dagli arti superiori si propaga a quelli inferiori e quando è molto accentuato può generalizzarsi o colpire un solo lato del corpo; la rigidità muscolare provoca di solito un atteggiamento in flessione e una particolare immobilità statuaria del viso (facies parkinsoniana); l'andatura è a piccoli passi e a gambe lievemente piegate; la parola è scandita, esitante all'inizio ed esplosiva in seguito; fra le alterazioni secretorie sono importanti la scialorrea, l'aumento della secrezione sudorale e sebacea, la poliuria; il carattere spesso peggiora e subentra una facile irritabilità.
La diagnosi del morbo di P. si basa sui caratteristici segni clinici di rigidità, tremore e bradicinesia (lentezza nei movimenti). Caratteristica è anche l'andatura che si può osservare facendo camminare la persona per un breve tratto.
La terapia del morbo di P. prevede l'uso di farmaci combinati variamente fra loro in diversi schemi terapeutici. Il principale è costituito dalla L-DOPA, precursore della dopamina, che è trasformato in dopamina da una carbossilasi presente sia nel cervello sia nel fegato e da farmaci anticolinergici, utili per smorzare l'aumento di attività dell'acetilcolina. A questi si sono progressivamente aggiunti negli ultimi anni l'amantadina, farmaco antivirale capace di stimolare la sintesi e il rilascio di dopamina, la bromocriptina, avente azione dopamino-agonista, e gli inibitori delle monoamminossidasi, che riducono il catabolismo della dopamina, prolungandone quindi l'effetto. Tutti questi farmaci sono spesso usati in maniera alternata per ridurre gli effetti collaterali che in una terapia così prolungata inevitabilmente tendono a manifestarsi. L'intervento chirurgico, che consiste nella lesione delle strutture extrapiramidali responsabili, è riservato ai casi con tremore grave o associato a ipertonia emilaterale e resistente alla terapia medica. Nel 1994 è stata sperimentata la prima terapia genica contro il morbo di P. su animali da laboratorio. La ricerca ha avuto come obiettivo l'induzione, con un trapianto di geni, della produzione di un enzima che a sua volta stimolasse la produzione di dopomina. Nel 1996, ricercatori italiani e statunitensi hanno identificato nel braccio lungo del cromosoma 4 una zona dove, con molta probabilità, si trova uno o più geni coinvolti nel morbo di P. I ricercatori hanno studiato un gruppo familiare individuando la regione cromosomica attraverso l'analisi di numerosi indicatori molecolari. Da qualche tempo è noto che circa il 15% dei malati ha parenti affetti dalla stessa malattia, fenomeno che fa sospettare una possibile base genetica del morbo. Da questa ricerca si spera ora di individuare il gene o i geni associati alla malattia, sulla base della quale realizzare, inizialmente, un test predittivo.
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