Il termine “psicosi” è in uso nella letteratura psichiatrica a partire dal XIX secolo per indicare le malattie mentali in generale. Successivamente è emersa, sul piano concettuale, la necessità di suddividere alcune di queste malattie con la denominazione nevrosi. Da allora l'evoluzione dei due termini si è espressa su piani diversi, ma entrambi validi. Il gruppo delle nevrosi si è a poco a poco delineato sino a comprendere le affezioni nelle quali, in mancanza di lesioni organiche, si imputava il disturbo a un cattivo funzionamento dell'apparato psichico (malattie funzionali). Questo concetto si basava principalmente sul criterio di disturbo di una sola funzione, sulla sua reversibilità e su alcune caratteristiche intrinseche del disturbo stesso, che seguiva leggi differenti dalle malattie a carattere organico. A loro volta queste ultime erano contraddistinte con il termine psicosi. Successivamente questo criterio è stato mitigato, e molte classificazioni moderne usano il termine psicosi anche per alcune affezioni senza reperto anatomico (psicosi funzionali) che rientrano però più specificamente nella competenza della psichiatria poiché si traducono in una sintomatologia essenzialmente psicopatologica per caratteristiche di gravità, di molteplicità dei fenomeni morbosi e di irreversibilità dei disturbi. Attualmente nella psichiatria clinica il concetto di psicosi è estremamente ampio e comprende tutta una gamma di malattie mentali sia manifestamente organiche sia con eziologia ancora discussa e non sufficientemente chiarita. Il raggruppamento di queste malattie sotto il termine psicosi si basa su criteri psicopatologici e sociali. Dal punto di vista psicopatologico il concetto di psicosi rimane definibile in modo presuntivo sia per la gravità dei disturbi psichici sia per il decorso progressivo e per lo più irreversibile con modificazione non solo quantitativa ma anche qualitativa nei confronti della normalità. Sotto un profilo sociale la psicosi è definibile in base al contegno spesso imprevedibile e genericamente alienato dello psicotico, con scarsa partecipazione alla psicologia normale. Per queste ragioni spesso compaiono nelle definizioni correnti delle psicosi criteri diversi, come l'incapacità di adattamento sociale, la maggiore o minore gravità dei sintomi, la perturbazione delle facoltà di comunicazione, la mancanza di consapevolezza della malattia, la perdita del contatto con la realtà, il carattere non comprensibile dei disturbi, le alterazioni più o meno profonde e irreversibili dell'Io. Il contributo sperimentale al chiarimento del concetto di psicosi non sempre ha potuto basarsi su dati obiettivi di anatomia clinica e di psicofisiologia, poiché la psicosi è strettamente legata a un profondo disturbo della personalità in genere, e non riducibile a elementi semplici. Pertanto i dati sperimentali, che si sono potuti utilizzare a questo riguardo, hanno un significato vago e di valore molto particolare. Le osservazioni principali si riferiscono all'azione di alcune sostanze tossiche (psicodislettici) capaci di produrre disturbi psicotici inquadrabili nelle psicosi modello. Questi disturbi tuttavia si sono rivelati per lo più transitori e non hanno sufficientemente chiarito i presupposti anatomoclinici sopra enunciati. Anche il contributo dato dalle varie correnti psichiatriche e psicologiche alla definizione del concetto di psicosi si è espresso in termini variabili a seconda dell'indirizzo seguito e non ha permesso di ricavare una definizione unitaria, per cui è opportuno esaminare i vari punti di vista per meglio chiarire il problema nei suoi termini generali. Gli indirizzi organogenetici si mantengono su un piano biologico anche riguardo alle forme in cui la lesione organica non è dimostrata; ammettono dunque che pure in questi casi l'anatomia e la fisiologia del cervello possono essere alterate da un agente morboso occasionale o da un fattore costituzionale. Gli indirizzi a impostazione psicologica non ammettono invece l'intervento organico in questi ultimi casi: l'alterazione psichica sarebbe legata a cause psicologiche che evolvono in senso psicopatologico. In questa dimensione stimoli psichici, con particolari modalità di azione e di elaborazione, potrebbero portare a disturbi mentali non solo transitori ma anche stabili e progressivi. Tra gli indirizzi psicologici la psicoanalisi ha individuato fondamentalmente il denominatore comune delle psicosi in una perturbazione primaria delle capacità di investimento affettivo della realtà e considera la maggior parte dei sintomi psicotici come tentativi secondari di ripristinare questo legame oggettuale con la realtà. Alcune dottrine eclettiche, dal canto loro, hanno individuato la causa della psicosi in fattori psicobiologici; secondo queste correnti esisterebbero psicosi in senso biologico e in senso psicogenetico. Questi aspetti per lo più coesisterebbero in ogni esperienza psicotica, anche se in proporzioni molto variabili da individuo a individuo, e definirebbero in senso fenomenologico ed eziopatogenetico i vari tipi di psicosi. Le cause delle psicosi si possono considerare di tre ordini: organiche, costituzionali e psichiche. L'importanza delle cause organiche è ormai nota in molti esempi di psicosi. Infatti non c'è alcun dubbio che una psicosi acuta confusionale dipenda da una condizione tossica o tossinfettiva e che la paralisi progressiva sia dovuta all'infezione luetica. L'importanza della costituzione appare anch'essa sufficientemente manifesta nell'accertata eredità di talune psicosi, per esempio della psicosi maniaco-depressiva, o nel ripetersi di episodi psicotici nel corso della vita di uno stesso individuo. Molti fattori psichici possono essere causa di psicosi attraverso meccanismi diversi: nella psicosi maniaco-depressiva, ad esempio, episodi melanconici insorgono talvolta dopo una causa emotiva più o meno grave; analogamente una psicosi delirante può insorgere in seguito a un insuccesso professionale, a una delusione sentimentale o a un qualsiasi trauma psichico. II meccanismo patogenetico di queste affezioni consisterebbe in una particolare azione di difesa della personalità di fronte all'angoscia prodotta da determinate situazioni psicologiche che l'individuo non riesce ad affrontare e a superare. Quasi sempre, comunque, la psicosi, con tutto il suo corteo sintomatologico, è il risultato di fattori organici, psicologici e costituzionali e sarebbe un errore non cercare di rintracciare, nell'evoluzione e nella prognosi della malattia, ciascuno di questi fattori che potrebbero apparire di non chiara osservazione a un esame piuttosto superficiale. Classificazione. Una classificazione razionale delle psicosi appare difficile per la mancanza di un criterio unico al quale uniformarsi. Alcune psicosi sono dovute a cause determinate o hanno una base anatomopatologica conosciuta: si possono citare, ad esempio, la paralisi generale, le psicosi acute e quelle che accompagnano le malattie infettive, le malattie endocrine e dismetaboliche, alcune intossicazioni croniche (alcoolismo, tossicomania), le psicosi puerperali, le psicosi che si manifestano in corso di malattie organiche cerebrali (traumi, encefaliti e tumori) e le psicosi dell'età involutiva. Altre psicosi sono ancora troppo poco conosciute dal punto di vista eziologico e anatomopatologico per poterle inquadrare e delimitare in modo altrettanto preciso secondo un criterio biologico. Tuttavia alcune di queste forme hanno acquistato un'individualità nosologica incontestata, come la psicosi maniaco-depressiva e la schizofrenia. Una trattazione a parte è stata riservata dagli esperti alle psicosi deliranti caratterizzate da un delirio cronico sistematizzato non schizofrenico, quali la paranoia, le reazioni paranoidi e la parafrenia.
Non è facile fare una classificazione di questa patoloiga sia pure sommaria del vasto mondo delle psicosi con i particolari sintomi e le varie terapie. Ad ogni modo la caratteristica principale dei sintomi psicotici è che possono portare il malato a vedere la vita in modo distorto. Esistono fissazioni, allucinazioni, disturbi del pensiero, perdita dell'affettività, stati maniacali e depressione.
Da un'analisi del comportamento del paziente si può inquadrare di che tipo di psicosi si tratta.
Per manifestazioni evidenti di disturbi del comportamento evidenti è bene rivolgersi allo specialista, il quale potrà valutare sintomi spesso contraddittori e diversi da psicosi e psicosi e suggerire il trattamento più adatto.
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