Le apnee ostruttive del sonno possono provocare danni a lungo termine al cervello, favorendo il declino cognitivo. A dirlo è un nuovo studio pubblicato su Frontiers in Sleep da un team del King's College di Londra guidato da Ivana Rosenzweig, che spiega: «Negli uomini con apnea ostruttiva del sonno (OSA) abbiamo rilevato un funzionamento esecutivo e una memoria visuospaziale più scarsi, oltre a deficit di vigilanza, di attenzione e di controllo psicomotorio e degli impulsi. La maggior parte di questi deficit era stata precedentemente attribuita a comorbilità».
Lo studio ha preso in esame 27 uomini fra i 35 e i 70 anni con nuova diagnosi di OSA da lieve a grave, ma senza comorbilità. I soggetti non erano né fumatori né alcolisti, e non avevano problemi di peso. Il gruppo di controllo era formato da 7 uomini simili per età, indice di massa corporea e livello di istruzione, ma senza OSA.
La funzione cognitiva dei soggetti è stata testata con il CANTAB (Cambridge Neuropsychological Test Automated Battery).
I dati indicano che i pazienti con OSA grave avevano una vigilanza, un funzionamento esecutivo, una memoria di riconoscimento visivo a breve termine e un riconoscimento sociale ed emotivo inferiori rispetto ai controlli abbinati.
I pazienti con OSA lieve hanno ottenuto risultati migliori rispetto a quelli con OSA grave, ma peggiori rispetto ai controlli, fornendo la prova di un effetto diretto della patologia sulle performance cerebrali.
I problemi maggiori riguardano la capacità di corrispondenza visiva simultanea e la memoria di riconoscimento visivo a breve termine per schemi non verbalizzabili, test di funzionamento esecutivo e attenzione stimolata, e la cognizione sociale e riconoscimento delle emozioni.
Secondo i ricercatori, i deficit cognitivi evidenziati sarebbero dovuti alla scarsa disponibilità di ossigeno e agli alti livelli di anidride carbonica nel sangue, a cambiamenti nel flusso sanguigno e più in generale alla frammentazione del sonno e allo stato costante di neuroinfiammazione.
«Ciò che resta da chiarire negli studi futuri è se le comorbilità abbiano un effetto additivo o sinergico su questi deficit, e se vi sia una differenza nei circuiti cerebrali nei pazienti con OSA con o senza comorbilità», concludono gli autori.
Anche una ricerca condotta dall'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e pubblicata sull'American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine conferma questi risultati. Lo studio è stato coordinato dalla Dottoressa Vincenza Castronovo.
I ricercatori milanesi hanno scoperto che i deficit sono dovuti a difetti della materia grigia causati da ipossia. Osservando, attraverso la risonanza magnetica, il cervello di pazienti non in cura e confrontandolo con quello di coetanei sani, gli studiosi hanno individuato che la materia grigia, in alcune regioni del cervello (aree legate a memoria, capacità di pianificazione, ragionamento) presenta delle anomalie strutturali, come se si fosse ritirata.
Inoltre hanno verificato che queste anomalie possono regredire se il paziente si sottopone alla terapia standard, con la maschera. Se invece non viene trattata l'apnea notturna può avere effetti su volume e funzionalità del cervello.
Oltre alla terapia con la maschera anche una dieta potrebbe aiutare chi soffre di questo disturbo. È la soluzione proposta da uno studio svedese del Karolinska Institute pubblicato sulle pagine del British Medical Journal. I medici svedesi hanno sottoposto i volontari a un regime alimentare piuttosto rigido, basato sull'assunzione di liquidi per le prime otto settimane e sulla graduale reintroduzione di cibi solidi per altre due.
Una soluzione forse un po' estrema, ma funzionale. I soggetti sottoposti a questo tipo di dieta hanno perso in media 19 chili e hanno mostrato una riduzione netta dei casi di apnee notturne, da 37 a 12 nel corso di un'ora di sonno. Un altro gruppo di volontari ha invece continuato ad alimentarsi in maniera consueta e i livelli di apnee sono rimasti identici.
Com'è noto, il peso incide in maniera sostanziale sulla presenza di questo disturbo della respirazione.
Quando si è sdraiati, le vie aeree superiori non riescono più a lavorare correttamente e per qualche momento si chiudono, provocando appunto il fenomeno del respiro trattenuto come si fa in caso di apnea.
La soluzione che viene dal nord è quindi quella di eliminare la causa principale del problema, ovvero i chili di troppo, ma secondo alcuni l'approccio sarebbe esagerato e controproducente.
Innanzitutto bisogna verificare che la perdita di peso rimanga tale anche col passare del tempo e non si trasformi invece nella “riconquista” dei chili perduti. In secondo luogo, una dieta così rigida come quella proposta dai medici del Karolinska Institute può rappresentare paradossalmente un pericolo dal punto di vista cardiaco. Se è vero che le apnee aumentano il rischio di infarti e ictus, è altrettanto vero che il paziente debilitato da un regime alimentare drastico è più soggetto all'eventualità di traumi del genere.
È tuttavia evidente la necessità per chi soffre di apnee notturne di perdere peso. L'importante è che ciò avvenga in maniera costante e nei tempi giusti, attraverso un'alimentazione certamente ipocalorica, ma allo stesso tempo equilibrata.
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