È difficile se non impossibile per i soggetti che hanno disturbi dello spettro autistico riuscire a interpretare i comportamenti degli altri. Ciò impedisce loro di avviare un'interazione normale con le altre persone.
A dimostrarlo è uno studio dell'Istituto italiano di tecnologia, dell'Ospedale Gaslini di Genova e dell'Università di Amburgo pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.
A confermare questo aspetto concorre anche la visione opposta del fenomeno: chi ha uno sviluppo tipico e non è affetto da autismo fa molta fatica a comprendere i comportamenti delle persone autistiche.
«Lo studio si è svolto in due fasi», spiega Cristina Becchio, ricercatrice dell'IIT e professore di Neuroscienze cognitive dell'Università di Amburgo, che ha coordinato il team di ricercatori. «In una prima fase, utilizzando tecniche di cattura del movimento, abbiamo videoregistrato azioni con intenzioni diverse, eseguite da bambini con sviluppo tipico e da bambini con autismo. Abbiamo chiesto loro di afferrare una bottiglia per poi versare dell'acqua (raggiungere per versare), oppure di afferrare la stessa bottiglia per poi metterla in una scatola (raggiungere per mettere). Nella seconda fase abbiamo usato i video registrati per studiare la capacità di bambini con sviluppo tipico e di bambini con autismo nel leggere l'intenzione espressa dal movimento. I bambini potevano vedere solo la prima parte dell'azione, fino al raggiungimento della bottiglia, e abbiamo chiesto loro di indovinare l'intenzione che osservavano: è per versare o per spostare?»
«Quanto emerso dalla ricerca è importante perché conferma l'osservazione aneddotica, riportata da molte persone con autismo, secondo la quale le loro difficoltà di interazione sociale riguarderebbero l'interazione con persone con sviluppo tipico, ma non l'interazione con persone autistiche», spiega Becchio.
«E suggerisce anche che le difficoltà nell'interazione sociale siano reciproche tra persone con autismo e persone con sviluppo tipico, e che quindi ogni intervento volto a superarle debba tenere conto non solo dell'individuo ma anche delle persone con cui interagisce», dice Lino Nobili, direttore della Neuropsichiatria infantile dell'Ospedale Gaslini, Università di Genova, e coautore dell'articolo su PNAS. «La sfida per il futuro», conclude Becchio, «sarà anche capire se sia possibile insegnare alle persone con autismo a leggere meglio le intenzioni insite nelle azioni degli altri. Un processo tutto sommato non molto diverso da quello utilizzato a scuola per insegnare a leggere».
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