Dopo esserci fatti curare dal “Dr Google”, ci affideremo ora al “Dr Hal 9000”? Pare fantascienza ma è già realtà: nel Regno Unito, la società Babylon Health, che fornisce servizi di cure primarie in convenzione con il Servizio sanitario nazionale inglese, offre ai suoi assistiti la possibilità di utilizzare un 'Symptom Checker Chatbot', vale a dire una chat automatizzata capace di fornire, sulla base dei sintomi descritti, una valutazione del proprio stato di salute.
Ma davvero, in un prossimo futuro, un algoritmo potrà sostituire a tutti gli effetti il medico?
“Mai come nei mesi della pandemia abbiamo avuto conferma del ruolo strategico della professione medica - spiega Filippo Anelli, presidente della Fnomceo - e dell'urgenza di un nuovo rapporto del medico con il malato. La vera rivoluzione è nella rivalutazione del ruolo del medico, della sua funzione sociale, anche come garante dei diritti democratici. C'è da dire che siamo di fronte a una straordinaria opportunità: se riusciremo a integrare l'innovazione digitale e la migliore assistenza al malato, tutelando l'autonomia del professionista e la libertà di scelta del paziente, saremo stati capaci di avvicinare il servizio sanitario ai cittadini e, soprattutto, di aumentare la fiducia di questi ultimi nel sistema sanitario”.
E anche la scienza chiede cautela: “Mancano completamente le prove di una superiorità dell'intelligenza artificiale rispetto al processo decisionale del medico. Questo vale per qualsiasi disciplina, non solo per la radiologia”, replica infatti Dottoremaeveroche, letteratura alla mano, al paziente che gli riferisce di un articolo di stampa, secondo il quale la lettura di un esame diagnostico da parte di un medico radiologo sarebbe meno precisa di quella di una macchina.
“Diversi segnali - leggiamo in un'analisi dettagliata del Washington Post - indicano che l'applicazione dell'intelligenza artificiale in medicina non si sta dimostrando all'altezza delle promesse. Numerosi studi clinici pubblicati lo scorso anno hanno mostrato che quasi tutti gli strumenti di intelligenza artificiale utilizzati per cercare di prevedere una diagnosi di Covid-19 non garantivano alcun reale vantaggio o erano potenzialmente dannosi. Uno studio pubblicato sul British Medical Journal nel 2021 ha anche rilevato che il 94% dei sistemi di intelligenza artificiale utilizzati per valutare un possibile cancro della mammella era meno accurato di quanto poteva garantire l'analisi di un medico radiologo. Anche per questo alcuni dei grandi player dell'informatica hanno ridotto i propri investimenti nel settore e alcune aziende - come la Babylon Health (che produce una app che dovrebbe integrare il lavoro dei medici di medicina generale britannici) - hanno visto crollare negli ultimi mesi il valore delle proprie azioni”.
“Intelligenza artificiale e telemedicina non dovrebbero diventare un'alternativa al ruolo e alle competenze del medico - interviene nuovamente Anelli -. Laddove, come in Gran Bretagna, sono state tentate delle scorciatoie per introdurre sistemi informatici o applicazioni per alleggerire il carico di lavoro dei medici - oppure per ridurre i costi dell'assistenza - i risultati sono stati pessimi. Algoritmi ben costruiti o sistemi informatici capaci di elaborare un grande volume di dati anche in tempo reale possono rivelarsi strumenti fondamentali per il sistema sanitario. Computer e intelligenza artificiale diventeranno un supporto essenziale per una sempre maggiore precisione della diagnosi e della terapia. L'informatica e più in generale l'innovazione tecnologica dovranno aiutare il medico a svolgere ancora meglio la sua attività”.
Il “cittadino monitorato” potrebbe, infatti, essere un buon alleato del medico. “L'accesso diretto da parte della persona monitorata con delle applicazioni informatiche o con la telemedicina può permettere anche al paziente (o al cittadino sano) di monitorare il proprio stato di salute - constatano i dottori antibufale - riuscendo a ottenere una partecipazione attiva e responsabile al proprio processo di cura o al mantenimento dello stato di salute, il cosiddetto “patient digital empowerment”. Però, c'è anche il rischio di una sorta di medicalizzazione della vita quotidiana, che potrebbe portare con sé un carico di ansia nella persona monitorata e, come si è visto da alcune ricerche, un eccesso di diagnosi non clinicamente motivate”.
E non sono queste le uniche questioni aperte. “Altri aspetti importanti - spiega Dottoremaeveroche - sono legati alla qualità delle tecnologie, alla riservatezza e alla tutela dei dati personali. Se l'integrazione tra telemedicina e intelligenza artificiale consente di ripensare alle soluzioni che sono offerte tradizionalmente nei percorsi di cura, innovazioni di questa portata devono essere sostenute da prove rigorose e da riflessioni etiche che riguardano l'uso dei dati del paziente e le modalità con le quali possono essere sostenute alcune decisioni cliniche”. A partire dalla partecipazione attiva del paziente nella scelta della tipologia di cura più adatta alle sue esigenze.
“La partecipazione pubblica è fondamentale - conclude Anelli - e dobbiamo augurarci anche che il processo di progettazione della sanità digitale veda i cittadini, i pazienti e i professionisti partecipare attivamente alla determinazione delle priorità e al co-design delle soluzioni utili al miglioramento degli obiettivi di salute e alla promozione della qualità di vita”.
Le informazioni di medicina e salute non sostituiscono
l'intervento del medico curante
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