Test del Psa, meglio limitarne l'uso

Andrebbe evitato in assenza di sintomi chiari

Il test dell'antigene prostatico specifico (PSA) andrebbe limitato agli uomini con chiari sintomi e non prescritto in maniera generalizzata. A dirlo è uno studio pubblicato sul British Medical Journal da un team del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York guidato da Andrew Vickers, che spiega: «La maggior parte dei paesi ad alto reddito, incluso il Regno Unito, non dispone di un programma nazionale di screening del cancro alla prostata, ma agli uomini viene semplicemente consentito, dopo un consulto con il proprio medico, di sottoporsi al test del PSA. Non era ben chiaro se i benefici dello screening con test PSA, come attualmente praticato, superassero i danni della diagnosi eccessiva e del trattamento eccessivo, dato in questo modo vengono rilevati e trattati inutilmente tumori a basso rischio, che non causerebbero sintomi e non accorcerebbero la vita.
Nel Regno Unito, ad esempio, si stima che ogni anno a circa 10.000 uomini venga diagnosticato il cancro alla prostata in eccesso, che espone a potenziali effetti collaterali del trattamento senza ricevere alcun beneficio», prosegue l'esperto.
L'incertezza ha spinto di fatto la maggior parte dei paesi ad alto reddito a fare affidamento su un processo decisionale condiviso fra medici e pazienti, il che ha però portato a un aumento spropositato del numero dei test, soprattutto fra gli uomini più anziani, che hanno più probabilità di essere danneggiati e meno possibilità di trarne beneficio.
Secondo gli autori, l'ideale sarebbe implementare un programma di diagnosi precoce del cancro alla prostata completo e basato sul rischio che gestisca i test, ma anche le biopsie e i successivi trattamenti. Ciò ridurrebbe i danni derivanti dalla diagnosi e dal trattamento eccessivi che finora hanno accompagnato lo screening basato sul PSA.
L'alternativa è limitare il test del PSA agli uomini che presentano sintomi, con l'eccezione degli uomini ad alto rischio.
«Per fare un uso migliore dei test del PSA, i responsabili politici dovrebbero scegliere tra un approccio completo e adattato al rischio, specificamente progettato per ridurre la diagnosi eccessiva e il trattamento eccessivo, o limitare il test del PSA alle persone indirizzate agli urologi con sintomi. Questa scelta dovrà tenere conto di una prospettiva più ampia del paziente e del pubblico, nonché delle preoccupazioni economiche sanitarie», concludono gli esperti.
Da parte loro, tuttavia, gli urologi americani riuniti sotto la sigla Aua (American urological association), hanno emanato alcune linee guida specifiche sull'argomento:
- lo screening non va effettuato fra gli uomini di età inferiore ai 40 anni;
- negli uomini fra i 40 e i 54 anni lo screening va limitato a quelli con un rischio elevato, ad esempio gli uomini di razza nera o quelli con una familiarità alla malattia;
- nella fascia d'età fra i 55 e i 69 anni va avviato un percorso di condivisione con il paziente stesso, che deve partecipare alla decisione finale;
- lo screening di routine va evitato anche in quegli uomini sopra i 70 anni o con un'aspettativa di vita inferiore ai 15 anni;
- infine, va presa in considerazione la possibilità di una cadenza biennale dell'esame anziché annuale.
Interessanti in tal senso anche i risultati di uno studio pubblicato sul British Medical Journal, che confermano quanto da più anni si va dicendo: focalizzare lo screening per il tumore della prostata sugli uomini a rischio elevato potrebbe aumentare il rapporto tra i benefici e i rischi legati al test, per esempio quando è meglio cominciare lo screening e con che frequenza sottoporvisi. Una collaborazione tra ricercatori svedesi e statunitensi ha cercato le prove su cui basare un possibile schema di screening, disegnando uno studio caso-controllo su una coorte di più di 21.000 individui tra 27 e 52 anni, arruolati nel Malmö Preventive Project (MPP) tra il 1974 e il 1984.
“In precedenza, sulla stessa coorte abbiamo dimostrato che il livello di PSA misurato intorno ai 60 anni ha un alto valore predittivo per la mortalità da cancro prostatico entro gli 85 anni. Ora, per capire quando sia meglio cominciare lo screening, ci siamo concentrati su altre tre fasce d'età: meno di 40 anni, 45-49 e 51-55 anniâ€, spiega Hans Lilja, coordinatore del progetto, che continua: “sia per l'insorgenza sia per la mortalità, le concentrazioni di PSA sono tanto più predittive quanto più l'età cresceâ€.
Dall'analisi si evince che il 44% delle morti per tumore prostatico avveniva in coloro che tra i 45 e i 49 anni avevano un PSA nel più alto percentile della distribuzione. Ma quando iniziare lo screening? Si è visto che, a meno di un rischio elevato dovuto per esempio a mutazioni nei geni Brca1 e 2 o Hoxb13, il test non è giustificabile a 40 anni perché a quest'età, anche con un Psa nel percentile più alto, il rischio di tumore era molto basso (0,6% dopo 15 anni). Invece, lo stesso rischio aumentava di 3 (1,7%) e 10 (5,2%) volte rispettivamente per gli uomini di 45-49 anni e 51-55 anni. Quindi iniziare lo screening dopo i 50 anni significherebbe non identificare il cancro della prostata in una proporzione significativa di uomini, ai quali verrebbe trovato solo successivamente un tumore in fase più avanzata e quindi più difficile da curare.
“Il miglior modo per determinare il rischio di tumore è effettuare un singolo test prima dei 50 anni. Poi, i programmi di screening dovrebbero focalizzarsi sui soggetti a rischio più elevato, con 3 test del PSA tra i 45 e i 60 anni sufficienti almeno per la metà della popolazione maschile. Questo schema dovrebbe riuscire a ridurre il rischio di sovradiagnosi consentendo allo stesso tempo la diagnosi precoce tra coloro che hanno un rischio alto all'indagine inizialeâ€, conclude il ricercatore.

Fonte: British Medical Journal 2023. Doi: 10.1136/bmj-2022-071082
British Medical Journal

20/06/2023 10:54:00 Andrea Sperelli


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