In caso di diabete di tipo 2 è necessario avviare quanto prima la terapia prevista, con un controllo costante dei valori glicemici. A confermarlo sono i dati pubblicati su The Lancet riferiti alle oltre 5.000 persone arruolate per lo UK Prospective Diabetes Study.
Il campione era formato da soggetti che avevano appena ricevuto una diagnosi di diabete di tipo 2 e che erano stati suddivisi in due gruppi, il primo trattato con modifiche alimentari, il secondo con farmaci per un controllo intensivo e immediato della glicemia.
I dati a 10 anni hanno rivelato un vantaggio per la terapia precoce, che ha ridotto la mortalità e la probabilità di eventi cardiovascolari come l'infarto. I risultati più recenti - con alcuni soggetti seguiti fino a 24 anni - mostrano che il trattamento tempestivo riduce dal 10 al 20% il rischio di morte e il pericolo di attacchi di cuore del 31%.
L'approccio ridimensiona anche le complicanze microvascolari del diabete, ad esempio la retinopatia, che può causare cecità , la neuropatia periferica, che si associa a una maggior probabilità di amputazioni, la nefropatia, che conduce alla necessità di dialisi.
La terapia precoce ha l'effetto di ridurre del 26% le probabilità di queste complicazioni perché interrompe sul nascere la catena di modifiche indotte dall'iperglicemia in organi e tessuti.
«Oggi sappiamo che bastano due anni in cattivo controllo glicemico all'inizio della malattia per creare una “memoria metabolica†negativa, che aumenta il rischio di complicanze e resta anche se poi si raggiungono i giusti livelli di glicemia», commenta al Corriere della Sera Riccardo Candido, presidente dell'Associazione Medici Diabetologi (Amd). «Al contrario, chi dopo la diagnosi riesce a ridurre il glucosio nel sangue in maniera efficace resta a lungo con una minor probabilità di complicanze, anche se con gli anni il controllo glicemico dovesse peggiorare un poco. Tutto questo implica che dobbiamo diagnosticare prima possibile il diabete per ridurre il tempo trascorso con la glicemia alta, facendo screening di glicemia ed emoglobina glicata in chi ha più di 45 anni e ha fattori di rischio per il diabete come sovrappeso, sedentarietà , pressione o colesterolo alti».
«Una volta avuta la diagnosi - prosegue il dottor Candido - bisogna subito intervenire e oggi abbiamo farmaci ancora più sicuri ed efficaci rispetto a quelli usati quando fu iniziato questo studio, che quindi possono dare ulteriori vantaggi: i dati degli Annali Amd per esempio mostrano che l'impiego di farmaci come gli inibitori di SLGT1, ma anche gli agonisti GLP1, se vengono impiegati entro due anni dalla diagnosi di diabete di tipo 2 annullano la memoria metabolica negativa e quindi riducono il rischio di complicanze nel lungo periodo».
Tuttavia, dal momento che, almeno nelle fasi iniziali, il diabete non offre manifestazioni evidenti della sua presenza, è difficile convincere i pazienti a seguire le indicazioni necessarie, come ricorda Emilio Augusto Benini, presidente Fand - Associazione Italiana Diabetici: «I pilastri della terapia del diabete di tipo 2 sono dieta, esercizio fisico e farmaci. Ma i pazienti non capiscono realmente la necessità di un intervento precoce e incisivo: a un anno dall'inizio delle cure, 1 su 5 le abbandona. Spesso ci si rende conto della gravità del problema quando è tardi e ci sono già le complicanze: non si riesce a rinnovare la patente, e ci si accorge di avere una retinopatia. Serve far capire meglio che la terapia è essenziale».
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