Le possibilità di eradicare un'infezione ricorrente da Clostridium difficile (rCDI) sono più alte con il trapianto di microbiota fecale (FMT) rispetto alla somministrazione di antibiotici. È la conclusione di uno studio pubblicato su Cochrane Database of Systematic Reviews da un team del Valley Children's Hospital di Madera, in California, guidato dal gastroenterologo pediatrico Nathan Minkoff.
«La terapia consueta prevede il ricorso agli antibiotici, che tuttavia potrebbero aggravare le alterazioni microbiche intestinali», scrivono gli autori, che ricordano la possibilità di utilizzare il trapianto di microbiota fecale per ripristinare l'equilibrio del microbioma intestinale.
Per valutare il rapporto rischio-beneficio, tuttavia, servono ricerche più approfondite. I ricercatori hanno quindi esaminato i dati esistenti sul trapianto rispetto alle terapie standard, in particolare gli antibiotici.
«Sono stati inclusi nella revisione 6 studi randomizzati controllati per un totale di 320 adulti con rCDI che soddisfacevano la definizione di FMT, ossia la somministrazione a persone con rCDI attraverso il tratto gastrointestinale di materiale fecale contenente microbiota intestinale distale proveniente da donatori sani, a fronte di gruppi di controllo formati da soggetti trattati con placebo, FMT autologo, nessun intervento o antibiotici», spiega Minkoff.
I risultati indicano che fra gli adulti immunocompetenti con rCDI, l'impatto del trapianto di microbiota fecale è più positivo rispetto alle terapie alternative in termini di possibilità di eradicazione dell'infezione.
Non sono tuttavia emerse prove conclusive riguardo alla sicurezza del trapianto fecale. Sono stati segnalati infatti eventi avversi e decessi per qualsiasi causa in numero troppo limitato per poter stabilire un dato statisticamente significativo.
Anche uno studio italiano sembra confermare l'efficacia dell'approccio.
La ricerca pubblicata su Annals of Internal Medicine da un team del Gemelli di Roma presenta dati in grado di modificare la pratica clinica ospedaliera, come afferma Antonio Gasbarrini, Direttore dell'Area Medicina Interna, Gastroenterologia e Oncologia medica della Fondazione, che ha coordinato il lavoro.
I dati indicano l'aumento della sopravvivenza a lungo termine di oltre un terzo rispetto alla terapia antibiotica classica e il dimezzamento dei giorni di degenza, con relativa diminuzione del rischio di sepsi.
Il Clostridium difficile è in realtà molto comune, tanto che è presente in circa il 30% delle persone. L'infezione si manifesta solo quando il microbiota intestinale è debilitato, ad esempio dopo l'assunzione di terapie antibiotiche.
"I nostri precedenti studi ne avevano già dimostrata la maggiore efficacia rispetto agli antibiotici nel curare non solo le forme ricorrenti, ma anche i quadri clinici gravi di infezione da C. difficile", commenta un altro autore del lavoro, Giovanni Cammarota, responsabile del Day Hospital di Gastroenterologia e Trapianto di Microbiota presso il Policlinico Gemelli. "Tuttavia, si sapeva ancora poco circa l'utilità di tale metodica nel prevenire le complicanze legate all'infezione. Con questo studio abbiamo aggiunto un tassello importante a favore di tale procedura".
Allo studio hanno partecipato 290 pazienti ricoverati per l'infezione, dei quali 181 trattati con gli antibiotici e 109 con il trapianto di microbiota. I pazienti trattati con il trapianto hanno avuto un rischio di sepsi 4 volte inferiore rispetto a quelli trattati con antibiotici (5% vs 22% dei pazienti); inoltre, la degenza media dei pazienti trattati con FMT è stata meno della metà (13 giorni vs 30 giorni) rispetto agli altri; infine, il dato più interessante è che i pazienti trattati con FMT hanno un tasso di sopravvivenza complessiva di circa un terzo maggiore rispetto ai pazienti trattati con antibiotici (92% vs 61%).
"Per la prima volta abbiamo dimostrato che il trapianto migliora la sopravvivenza complessiva di questi pazienti - sostiene Gianluca Ianiro, primo autore dello studio - che mediamente sono di per sé molto fragili e a rischio".
Fonte: Cochrane Database Syst Rev 2023. Doi: 10.1002/14651858.CD013871.pub2
Cochrane Reviews
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