Problemi alla vista possono annunciare l'Alzheimer

Legati a una variante poco nota della malattia

C'è una variante dell'Alzheimer poco nota, ma che colpisce con una certa frequenza. Si chiama atrofia corticale posteriore (PCA, posterior cortical atrophy) ed è legata a problemi di vista.
Uno studio dell'Università della California di San Francisco pubblicato su Lancet Neurology ha indagato i meccanismi di questa malattia, che secondo i ricercatori colpirebbe circa il 10 per cento dei pazienti con Alzheimer.
Il campione oggetto di studio era formato da 1.092 pazienti con PCA provenienti da 16 diversi paesi. È emerso che la sindrome comincia a colpire i pazienti all'età di 59 anni, cioè 5-6 anni prima rispetto alla maggior parte dei pazienti colpiti dalla forma più comune di Alzheimer. Il 94% dei pazienti con PCA presentava Alzheimer mentre il restante 6% era affetto da condizioni come la malattia dei corpi di Lewy e la demenza frontotemporale.
«Una cosa che abbiamo scoperto dal nostro studio - sottolinea Gil D. Rabinovici, uno degli autori del lavoro e direttore del Centro di ricerca sulla malattia di Alzheimer dell'Università della California - è che quando viene diagnosticata la malattia i pazienti ne sono affetti da molti anni e quindi c'è molto lavoro da fare per aumentare la consapevolezza sulla sindrome».
Dallo studio è emerso che la PCA viene diagnosticata in media 4 anni dopo la comparsa dei sintomi visivi, quando cioè cominciano a manifestarsi anche i primi segnali della perdita di memoria. Una particolarità emersa è che i pazienti con PCA mostrano l'accumulo di proteina amiloide e di tau in un'area diversa del cervello, nello specifico nella parte posteriore, quella responsabile dell'elaborazione delle informazioni visive.
I primi sintomi a comparire sono la difficoltà nella lettura e nella guida. Gli automobilisti infatti mostrano difficoltà a valutare le distanze. In alcuni casi, i pazienti sperimentano anche allucinazioni, oltre a difficoltà nell'esecuzione di calcoli o nell'ortografia.
«Questi pazienti riferiscono di non vedere gli oggetti in una zona del campo visivo, di non riconoscere più oggetti insieme e spesso non percepiscono le distanze tra un oggetto e l'altro, tutte situazioni che non hanno a che vedere con la funzione oculare», conferma Paolo Nucci, professore Ordinario di Oftalmologia all'Università Statale di Milano.
La diagnosi oggi è possibile con test per le abilità cognitive o esami strumentali come risonanza magnetica dell'encefalo (RM) o tomografia computerizzata (TAC). «Il primo controllo medico per un sintomo visivo aspecifico avviene giustamente con un oculista - sottolinea Paolo Nucci, che è anche Presidente della Società Italiana di Oftalmologia Pediatrica e Strabismo - il quale certifica come l'occhio, dal punto di vista funzionale, ha normali capacità e non ci sono problemi di sdoppiamento dell'immagine o alterazioni del campo visivo che possano giustificare delle dispercezioni, cioé situazioni in cui la percezione visiva è alterata. Generalmente la maggior parte degli oculisti, nel corso della visita, capisce subito se le dispercezioni visive sono di natura periferica, quindi oculari, o se le dispercezioni sono di natura centrale, quindi di area neurologica. È un bene che ci sia una stretta collaborazione tra oculista e neurologo. Attenzione però al troppo allarmismo: alcune di queste sintomatologie possono essere legate a lesioni vascolari nell'area posteriore del cervello».
Anche per l'atrofia corticale posteriore non esiste una cura, ma alcuni accorgimenti possono migliorare le condizioni di vita dei pazienti, ad esempio facilitare la visione illuminando meglio gli ambienti o evidenziando le superfici irregolari, come le scale, con del nastro adesivo fluorescente.
Alcuni pazienti possono trarre beneficio da trattamenti volti a migliorare i sintomi dell'Alzheimer come gli inibitori della colinesterasi o gli antagonisti del recettore NMDA. «L'identificazione precoce della PCA potrebbe tuttavia avere importanti implicazioni per il trattamento dell'Alzheimer», ha detto Renaud La Joie, neurologo, primo autore dello studio.

07/02/2024 15:20:00 Andrea Sperelli


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