Atezolizumab per il cancro del rene

Studio di fase I evidenzia risultati promettenti

Un nuovo farmaco per il cancro del rene è in fase di sperimentazione. Si tratta di Atezolizumab, indicato per i pazienti affetti da carcinoma renale avanzato. Uno studio di fase I pubblicato sul Journal of Clinical Oncology ha evidenziato i primi confortanti risultati della molecola.
David McDermott, ricercatore presso il Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, spiega: «Nei pazienti con carcinoma a cellule renali reduci da precedenti terapie, la sopravvivenza mediana libera da progressione (Pfs) è stata di 5,6 mesi, la sopravvivenza mediana globale (OS) di 28,9 mesi, e il tasso di risposta del 15%».
Atezolizumab, noto anche con la sigla MPDL3280A, è un anticorpo monoclonale che attacca il checkpoint immunitario PD-1/PD-L1, utilizzato da molti tumori per bloccare l'azione delle cellule T killer.
Il legame di PD-L1 al recettore PD-1 sulla superficie linfocitaria inattiva le cellule T del sistema immunitario, creando un ambiente immunosoppresso ideale per la crescita neoplastica.
Atezolizumab si lega alla proteina PD-L1 prevenendo il legame con PD-1, consentendo alle cellule T di attivarsi e all'organismo di reclutare altre cellule immunitarie in grado di aggredire la neoplasia.
«Sfortunatamente, nonostante il beneficio clinico, spesso si sviluppa resistenza entro il primo anno di trattamento, fatto che sottolinea la necessità di mettere a punto strategie che producano remissioni durature a fronte di un'accettabile tossicità», sottolinea il ricercatore.
L'analisi condotta da McDermott ha coinvolto 70 pazienti trattati in precedenza e affetti da carcinoma a cellule renali avanzato o metastatico. 63 pazienti mostravano un'istologia a cellule chiare. Per quanto concerne la sicurezza, nel 43 per cento dei casi si sono verificati rash cutanei e ipotiroidismo.
«In conclusione, Atezolizumab ha dimostrato un profilo di sicurezza e un'attività antitumorale gestibili e promettenti nei pazienti con carcinoma renale metastatico, aprendo la strada a ulteriori ricerche», scrivono gli autori.

Fonte: Journal of Clinical Oncology

16/02/2016 12:18:51 Andrea Piccoli


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