È una variante genetica la ragione per cui alcune persone sono di fatto immuni a Covid-19. Questi soggetti vengono infettati come gli altri, ma non soffrono la comparsa di alcun sintomo.
Uno studio della University of California di San Francisco pubblicato su Nature ne spiega le ragioni biologiche. "Se hai un esercito in grado di riconoscere il nemico in anticipo, questo è un enorme vantaggio. È come avere soldati preparati per la battaglia e che sanno già cosa cercare", ha affermato la coordinatrice dello studio Jill Hollenbach.
I ricercatori americani si sono concentrati sul sistema di etichettatura che l'organismo utilizza per distinguere le proprie componenti da quelle estranee, il sistema Hla, che sta per antigeni umani leucocitari.
In circa il 20% degli asintomatici era presente una mutazione all'interno di uno dei geni Hla (denominata HLA-B*15:01), rispetto al 9% di chi mostrava sintomi. Se la mutazione era presente in duplice copia, allora le probabilità di manifestare i sintomi della malattia erano 8 volte più basse.
In ogni caso, secondo un altro studio pubblicato su Plos Medicine da un team dell'Università di Berna, abbiamo sovrastimato il rischio delle infezioni asintomatiche da Covid-19.
La coordinatrice della ricerca Diana Buitrago-Garcia spiega: «Gli studi che valutano le persone in un solo momento possono sovrastimare la proporzione di vere infezioni asintomatiche perché coloro che in seguito sviluppano sintomi sono classificati erroneamente come asintomatici piuttosto che come pre-sintomatici. Altri studi invece possono sottovalutare le infezioni asintomatiche con progetti di ricerca che hanno maggiori probabilità di includere partecipanti sintomatici. Questo documento è un aggiornamento di una revisione sistematica regolarmente aggiornata pubblicata per la prima volta nell'aprile 2020. L'aggiornamento include studi aggiuntivi e più recenti fino a luglio 2021».
Nella revisione sono stati inclusi 130 studi, con dati su un totale di 28.426 persone colpite da Sars-CoV-2 in 42 paesi diversi, fra cui 11.923 soggetti definiti asintomatici.
È stato difficile stabilire un tasso preciso di infezione asintomatica, ma secondo i ricercatori si attesterebbe fra il 14 e il 50% delle infezioni.
Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che il tasso di attacco secondario, una misura del rischio di trasmissione di SARS-CoV-2, era di circa due terzi inferiore nelle persone senza sintomi rispetto a quelle con sintomi. «Se sia la percentuale di infezioni asintomatiche che la loro trasmissibilità sono relativamente basse, le persone con infezione da SARS-CoV-2 asintomatica dovrebbero rappresentare una percentuale minore della trasmissione complessiva rispetto agli individui pre-sintomatici», sostengono gli autori.
Ciononostante, secondo gli autori in presenza di elevati livelli di trasmissione in comunità è bene mantenere le misure di distanziamento e l'uso delle mascherine, al fine di prevenire la trasmissione da contatto con persone colpite sia da infezione asintomatica che pre-sintomatica.
Anche uno studio italiano ha individuato l'esistenza di mutazioni genetiche rare che indeboliscono i geni coinvolti nei processi di attivazione del sistema immunitario, predisponendo a forme asintomatiche di COVID-19. Lo hanno dimostrato i ricercatori del CEINGE analizzando i campioni di DNA di circa 800 individui che erano stati contagiati dal virus SARS-CoV-2, ma che non avevano sviluppato sintomi gravi pur avendo fattori di rischio come l'età avanzata.
Il gruppo diretto da Mario Capasso e Achille Iolascon, professori di genetica medica dell'Università degli Studi di Napoli Federico II e ricercatori del CEINGE, ha aggiunto un nuovo tassello al complesso puzzle della predisposizione genetica ai diversi fenotipi clinici del COVID-19 con uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Genetics in Medicine.
È noto che fattori di rischio come l'età , sesso e malattie pregresse hanno un ruolo rilevante nel determinare la gravità della malattia COVID-19 in soggetti infetti da SARS-CoV-2. Meno conosciuti sono, invece, i fattori genetici dell'uomo che possono contribuire a determinare le diverse forme della malattia COVID-19, a partire da quelle asintomatiche fino a quelle clinicamente gravi.
«Sono stati analizzati tutti i geni finora conosciuti utilizzando sequenziatori di ultima generazione e ottenendo così un enorme mole di dati genetici», spiega Mario Capasso. «Strategie di analisi bioinformatiche avanzate, messe a punto grazie al contributo del giovane ricercatore Giuseppe D'Alterio e del team di esperti bioinformatici del CEINGE, hanno poi permesso di identificare mutazioni patogenetiche rare che erano significativamente più frequenti nei soggetti infetti e asintomatici e non in una grande casistica di circa 57000 soggetti sani».
La ricerca si è avvalsa della collaborazione con Pellegrino Cerino (Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno) e Massimo Zollo (coordinatore della Task-Force COVID del CEINGE, professore di genetica dell'Università degli Studi di Napoli Federico II).
Tre geni MASP1, COLEC10 e COLEC11, appartenenti tutti e tre alla famiglia delle proteine della lectina e noti avere un ruolo di difesa contro le infezioni, erano colpiti da mutazioni genetiche che attenuavano la loro funzione. «Oggi è ampiamente dimostrato che l'eccessiva risposta immunitaria all'infezione da SARS-CoV-2 e la successiva iper-attivazione dei processi pro-infiammatori e pro-coagulativi sono la causa principale del danno agli organi come polmoni, cuore, rene ecc.», chiarisce il professor Capasso. «La nostra ricerca dimostra che le mutazioni del genoma umano che attenuano questa eccessiva reazione immunitaria possono predisporre a un'infezione senza sintomi gravi».
Una scoperta che potrà incidere sui futuri approcci diagnostici e terapeutici. «Abbiamo reso disponibili, in un database online, tutti i dati genetici ottenuti che altri studiosi potranno liberamente consultare per sviluppare nuove ricerche - fa sapere Achille Iolascon -. Possiamo utilizzare queste mutazioni per individuare soggetti che sono predisposti a sviluppare forme meno gravi o asintomatiche della malattia COVID-19. Inoltre i livelli sierici dei tre geni individuati potrebbero essere utilizzati come marcatori prognostici della malattia grave. Infine, oggi sappiamo qualcosa in più sulle basi biologiche di questa malattia e dunque abbiamo qualcosa su cui lavorare per sviluppare nuovi trattamenti farmacologici».
Fonte: PLOS Medicine 2022. Doi: 10.1371/journal.pmed.1003987
Plos Medicine
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