Una proteina all'origine dei parti pretermine

Il ruolo della proteina KDM6B

Ci sarebbe una singola proteina alla base dei meccanismi molecolari che favoriscono i parti pretermine. A scoprirlo è uno studio di ricercatori dell'Università della California di San Francisco pubblicato su Cell.
Le nascite pretermine riguardano circa il 10% delle gravidanze. Al momento, non esistono modi per prevederle, si conoscono soltanto eventuali fattori di rischio da monitorare durante la gestazione.
Gli scienziati californiani però pensano di aver individuato uno dei meccanismi chiave del fenomeno grazie all'analisi del funzionamento della proteina KDM6B, la cui inibizione su modello murino ha generato gravidanze più lunghe.
Ma la proteina non è l'unico fattore in gioco: dalla ricerca emerge anche l'influenza dei fibroblasti, cellule del tessuto connettivo, che producono molecole destinate a sostenere gli altri tessuti.
«I nostri risultati evidenziano un ruolo sorprendente dei fibroblasti uterini nella regolazione del momento del parto», racconta Tara McIntyre, tra gli autori dello studio. «Non era qualcosa che avevamo previsto e ha completamente rimodellato la nostra comprensione dei tipi di cellule e dei processi che regolano l'inizio del travaglio».
Poco dopo il concepimento, diversi gruppi metilici appaiono sugli istoni vicino a certi geni nei fibroblasti uterini. In risposta, questi geni rimangono inattivi, il che consente all'utero di supportare la gravidanza. I livelli di metilazione su questi istoni regrediscono in maniera lenta e graduale, raggiungendo alla fine livelli sufficientemente bassi da attivare i geni vicini, correlati a eventi della gravidanza come il travaglio.
Un meccanismo sofisticato e complesso che non ha bisogno dell'azione della proteina KDM6B. Quando quest'ultima è stata bloccata, i ricercatori si sono accorti che gli istoni hanno accumulato troppa metilazione all'inizio della gravidanza, di conseguenza non attivandosi in tempo e ritardando il travaglio.
«La nascita pretermine è un problema enorme in tutto il mondo e per molto tempo nessuno l'ha veramente capito. Ci auguriamo che il nostro lavoro possa iniziare a far luce sul meccanismo sottostante», dichiara il professor Adrian Erlebacher, autore senior dello studio. «La grande domanda è ora se questi stessi processi siano rilevanti negli esseri umani. Se lo sono, allora possiamo usarli per predire o controllare la durata della gravidanza?».

30/01/2025 09:41:25 Andrea Sperelli


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