Consumare più verdure e pesce e meno zuccheri a un anno di età ha un effetto protettivo rispetto alle malattie infiammatorie intestinali nel corso della vita. A dirlo è uno studio pubblicato su Gut da un team della University of Gothenburg guidato da Annie Guo, che spiega: «L'aumento globale delle malattie infiammatorie intestinali (IBD) non ha una spiegazione chiara. Si ritiene che un fattore determinante siano le abitudini alimentari che influenzano il microbiota intestinale, che è particolarmente sensibile durante i primi anni di vita. Precedenti ricerche hanno esaminato i modelli alimentari e le IBD negli adulti, ma le ricerche sui bambini sono scarse».
I ricercatori hanno valutato i dati relativi alla dieta di 81.280 bambini di un anno in Svezia e Norvegia arruolati in due studi di popolazione: All Children in Southeastern Sweden (ABIS) e Norwegian Mother, Father and Child Cohort Study (MoBa).
I genitori hanno risposto a domande sulla dieta dei figli a 12-18 e a 30-36 mesi di età . La qualità della dieta è stata valutata come bassa, media o alta in base all'apporto di verdura, frutta, latticini e pesce, e carne, dolci, snack e bevande zuccherate. La salute dei bambini è stata monitorata dall'età di un anno e per una media di 21 anni per ABIS e di 15 anni per MoBa.
Nel corso di questo periodo 307 soggetti hanno ricevuto una diagnosi di IBD, 131 una diagnosi di morbo di Crohn, 97 di colite ulcerosa e 79 di una IBD non classificata.
Il consumo di pesce a un anno è risultato associato a un rischio inferiore del 54% di colite ulcerosa, mentre un elevato consumo di verdure a un anno è stato associato a un rischio ridotto di IBD. Un elevato consumo di bevande zuccherate ha portato invece a un aumento del rischio di IBD del 42%. Non sono emerse associazioni evidenti tra IBD e nessuno degli altri gruppi alimentari. A 3 anni di età , solo un elevato consumo di pesce era associato a un ridotto rischio di IBD, in particolare di colite ulcerosa.
«Poiché lo studio è stato condotto in paesi ad alto reddito, non è chiaro se i risultati possano essere generalizzati a paesi a basso o medio reddito con abitudini alimentari diverse», concludono i ricercatori.
Fonte: Gut 2024. Doi: 10.1136/gutjnl-2023-330971
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