I rischi dell'inquinamento per cuore, polmoni e cervello

Le polveri fini aumentano i rischi di ricovero

Il rischio di finire in ospedale per problemi cardiovascolari o polmonari aumenta con l'esposizione allo smog. A confermarlo sono due studi pubblicati sul British Medical Journal secondo cui l'esposizione a breve e a lungo termine all'inquinamento da polveri fini Pm2,5 risulta associata a un maggior rischio di ricovero per gravi malattie cardiache e respiratorie. Secondo gli esiti degli studi, non esisterebbe una soglia di inquinanti sicura per la salute di cuori e polmoni.
Lo smog però minaccia anche il cervello. Le persone esposte all'inquinamento, infatti, mostrano una probabilità maggiore di presentare alte quantità di placche amiloidi al cervello. "Questi risultati aggiungono una prova al fatto che il particolato fine derivante dall'inquinamento atmosferico legato al traffico influenza la quantità di placche amiloidi nel cervello. Sono necessari ulteriori studi per indagare i meccanismi alla base di questo collegamento", afferma Anke Huels della Emory University di Atlanta, autore del lavoro pubblicato su Neurology.
I ricercatori hanno preso in esame il tessuto cerebrale di 224 persone con età media di 76 anni, nella maggior parte dei casi residenti ad Atlanta, che hanno accettato di donare il proprio cervello dopo la morte per contribuire alla ricerca sulle demenze. Gli autori hanno messo a confronto l'esposizione allo smog con la presenza di segni cerebrali dell'Alzheimer, ad esempio placche amiloidi e grovigli di proteina tau.
È così emerso che le persone più esposte all'inquinamento atmosferico 1 anno e 3 anni prima del decesso avevano maggiori probabilità di presentare livelli più alti di placche amiloidi nel cervello.
Gli scienziati hanno anche studiato un'eventuale relazione fra smog e spie cerebrali della malattia in rapporto alla variante genetica principale associata all'Alzheimer. È emersa una relazione più forte tra inquinamento atmosferico e segni di Alzheimer nel cervello delle persone senza la variante Apoe e4. "Ciò suggerisce - spiega Huels - che fattori ambientali come lo smog potrebbero contribuire all'Alzheimer nei pazienti in cui la malattia non può essere spiegata dalla genetica".
I limiti dello studio sono sostanzialmente due: l'esposizione all'inquinamento atmosferico è stato misurato solo in base all'indirizzo di residenza al momento del decesso, il che potrebbe aver portato a una classificazione errata dell'esposizione stessa; inoltre, le osservazioni hanno riguardato principalmente persone bianche con un alto livello di istruzione. I risultati, quindi, potrebbero non essere rappresentativi di altre popolazioni.
Per quanto riguarda i danni a cuore e polmoni, i ricercatori hanno collegato i livelli medi di Pm2,5 ai codici postali di residenza di quasi 60 milioni di adulti statunitensi over 65 (84% bianchi, 55% donne) dal 2000 al 2016. Dopo le dovute correzioni, è stato stabilito che l'esposizione media al Pm2,5 nell'arco di 3 anni era associata a un aumento delle probabilità di un primo ricovero per 7 tipi di patologie cardiovascolari: cardiopatia ischemica, malattia cerebrovascolare, insufficienza cardiaca, cardiomiopatia, aritmia, cardiopatia valvolare, aneurismi dell'aorta toracica e dell'aorta addominale.
Considerando le concentrazioni giornaliere di Pm2,5 a livello di contea e i dati relativi alle richieste mediche, sono stati considerati i ricoveri e gli accessi al pronto soccorso per cause naturali, malattie cardiovascolari e respiratorie di 50 milioni di adulti americani over 18 dal 2000 al 2016. Nel corso del follow up sono stati registrati 10 milioni di ricoveri e 24 milioni di visite in pronto soccorso. Gli autori hanno così osservato che l'esposizione a breve termine al Pm2,5, anche a concentrazioni inferiori a quelle fissate dall'Oms, era associata in maniera significativa a tassi di ricovero più alti per cause naturali, patologie cardiovascolari e respiratorie, nonché ad accessi al pronto soccorso per cause naturali e malattia respiratoria.
Dall'analisi è emerso che l'esposizione media di 3 anni al Pm2,5 è stata associata a un aumento del rischio relativo di primi ricoveri ospedalieri per cardiopatia ischemica, malattia cerebrovascolare, insufficienza cardiaca, cardiomiopatia, aritmia e aneurismi dell'aorta toracica e addominale. La curva esposizione-risposta ha mostrato un aumento del rischio associato a Pm2,5. Su scala assoluta il rischio di ricovero ospedaliero per queste patologie cardiovascolari è aumentato dal 2,59% associato a esposizioni uguali o inferiori ai 5 microgrammi per metro cubo al 3,35% con esposizioni comprese tra 9 e 10 microgrammi/m 3. Gli effetti persistevano per almeno 3 anni dopo l'esposizione al Pm2,5. E un altro elemento rilevato dai ricercatori è che l'età, l'istruzione, l'accessibilità all'assistenza sanitaria e il livello di deprivazione del quartiere sembravano modificare la suscettibilità al Pm 2,5.

01/03/2024 12:45:00 Andrea Piccoli


Notizie correlate