Uno studio del King's College di Londra svela le curiose proprietà di un farmaco anti-Alzheimer. Il medicinale si chiama Tideglusib, e sembra in grado di agire in maniera positiva contro la carie grazie alla capacità di stimolare la ricrescita naturale della dentina.
Paul Sharpe, primo autore dello studio, commenta intervistato da Repubblica: «Oggi quando si vuole rimediare alla dentina distrutta dalla carie si usano paste inorganiche basate su calcio o composti minerali del silicio: ma siccome sono materiali che non si degradano nel tempo, rimangono nel dente e ostacolano la ricrescita naturale della dentina. Invece di questo approccio “inorganico†usato oggi, noi abbiamo ideato un sistema "biologico". Si basa su un tessuto spugnoso di collagene biodegradabile, noto come Kolspon, e già usato clinicamente, quindi sicuro, che contiene piccole dosi di un farmaco che, a contatto con le cellule staminali mesenchimali del dente, fa incrementare nettamente la produzione di dentina. Proprio perché questo collagene è spugnoso e biodegradabile, si restringe via via facendo spazio alla nuova, naturale dentina. È la prima volta che si mostra che è possibile stimolare tramite una molecola la naturale ricostruzione del dente».
Tideglusib è un farmaco noto per la sua attività di inibizione dell'enzima GSK-3, fondamentale nei processi associati alla formazione delle placche di proteine amiloidi tipica dell'Alzheimer.
«Tra i suoi vari effetti, questo farmaco ha anche quello di potenziare e moltiplicare il naturale segnale di ricostruzione della dentina che l'organismo - attraverso un sistema di segnali noti come Wnt - manda alle cellule staminali non appena ci spezziamo un dente», precisa Sharpe. «I segnali Wnt sono gli stessi che guidano in modo appropriato, negli embrioni, la formazione dei tessuti ossei. Negli esperimenti condotti finora non abbiamo trovato alcun effetto collaterale: a differenza di altri studi ed esperimenti con le staminali, noi non trapiantiamo nuove staminali. Facciamo soltanto lavorare meglio e più rapidamente quelle che già si trovano nel dente», conclude il ricercatore britannico.
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