Un esame del sangue per il Parkinson

Diagnosi più rapida ed economica

Finalmente basterà un semplice esame del sangue per diagnosticare il morbo di Parkinson. Il risultato è frutto del lavoro dei ricercatori dell'Università di Kobe e di Hiroshima che ne hanno pubblicato i dettagli su Scientific Reports.
Il Parkinson è fra le malattie che nel prossimo futuro vedranno aumentare sensibilmente la propria incidenza a causa del progressivo allungamento dell'età media.
Gli scienziati giapponesi hanno individuato un nuovo biomarcatore in grado di diagnosticare la malattia. La tecnica si basa su un enzima che metabolizza i farmaci - il citocromo P450 - ma serve anche come catalizzatore per l'ossidazione di varie sostanze.
L'espressione di P450 nell'organismo si modifica a seconda dell'insorgenza delle varie malattie. Nel corso della sperimentazione, 12 diversi P450 umani sono stati miscelati con un campione di siero e un substrato fluorescente per provocare una reazione.
Nel siero dei pazienti sani i metaboliti associati a P450 inibiscono l'ossidazione del substrato fluorescente, cosa che avviene in misura limitata in chi è affetto da Parkinson. P450 reagisce con il substrato fluorescente per generare una sostanza fluorescente quando il test viene eseguito sui sieri di individui sani.
Quando il test viene condotto su malati di Parkinson la reazione ottenuta è diversa, consentendo di capire se è presente o meno la malattia.
Anche uno studio dei ricercatori dell'IRCCS Fondazione Don Gnocchi, pubblicato dalla rivista Neurobiology of Disease, punta allo stesso obiettivo.
Oggi la diagnosi precoce di Parkinson - una delle patologie neurodegenerative più diffuse, che si stima colpisca oggi in Italia quasi mezzo milione di persone - è possibile solo con un complesso prelievo di liquor o con una costosa analisi di risonanza nucleare. Il gruppo di ricerca della “Don Gnocchi” - coordinato da Cristina Agliardi - ha isolato e analizzato nel sangue gli esosomi neurali, piccole vescicole rilasciate dalle cellule, di un gruppo di pazienti affetti da Malattia di Parkinson arruolati presso il Centro Parkinson dell'IRCCS “Don Gnocchi” di Milano.
Analizzando tali esosomi, i ricercatori del Laboratorio di Medicina molecolare e Biotecnologie e dello stesso Centro Parkinson hanno individuato un profilo molecolare che definisce la Malattia di Parkinson (aumento della proteina α-sinucleina oligomerica - il cui accumulo nelle cellule cerebrali è direttamente responsabile della loro distruzione - e diminuzione delle proteine SNARE VAMP-2 e sintaxina-1, coinvolte nel rilascio dei neurotrasmettitori). «I risultati sono innovativi e importanti - spiega Cristina Agliardi - poiché offrono la possibilità di creare futuri test diagnostici sul sangue. Questo permetterebbe interventi tempestivi e mirati che aiuterebbero a rallentare il decorso della malattia».
Un altro team di ricercatori italiani ha scoperto un gruppo di marcatori in grado di segnalare precocemente l'insorgenza della malattia di Parkinson. Si tratta di uno studio traslazionale condotto da neurologi e biochimici guidati dal prof. Leonardo Lopiano dell'ospedale Molinette di Torino e dal prof. Mauro Fasano dell'Università dell'Insubria.
La ricerca ha adottato un approccio di proteomica, ovvero la scienza che studia le modificazioni dell'espressione delle proteine, in base al quale sono stati identificati alcuni marcatori utili per distinguere i malati di Parkinson sia dai soggetti sani sia da soggetti affetti da altre patologie neurodegenerative. Ciò potrebbe portare a breve alla messa a punto di un esame del sangue che riesca a individuare in anticipo sui tempi standard la presenza del morbo di Parkinson.
Il carattere innovativo di questo approccio sta nel cercare i marker nei linfociti, le cellule del sistema immunitario nel sangue. Queste cellule condividono alcune caratteristiche peculiari con i neuroni che sono soggetti a degenerazione nella malattia di Parkinson e potrebbero riflettere a livello periferico alcune delle alterazioni biochimiche caratteristiche della malattia. A cosa servono i marker precoci? Al momento la malattia si manifesta quando la degenerazione non permette più terapie in grado di rallentare la progressione, ma solo di contrastare i sintomi. Se si potesse arrivare prima alla diagnosi, quando ancora i sintomi classici non si sono ancora manifestati, si potrebbero provare diversi farmaci che si ritiene possano avere un'azione protettiva in grado di modificare il decorso cronico-progressivo della malattia, ma che non hanno più efficacia se la diagnosi è tardiva.

01/06/2022 09:40:00 Andrea Sperelli


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