Mieloma multiplo, efficace belantamab mafodotin

Importante opzione terapeutica certificata da studi real life

Il trattamento del mieloma multiplo rappresenta una sfida complicata per i medici. I vari farmaci immunomodulatori, inibitori del proteasoma e anticorpi monoclonali anti-Cd38 hanno mostrato nel tempo una certa efficacia, ma anche la tendenza a subire fenomeni di resistenza.
Per questo, risulta fondamentale l'introduzione di una nuova terapia, belantamab mafodotin, il primo coniugato anticorpo-farmaco (ADC) mirato all'antigene di maturazione delle cellule B (BCMA) a essere approvato per il trattamento di pazienti con Mm recidivante/refrattario (RRMM) che hanno precedentemente ricevuto almeno quattro linee di terapia.
Nello studio di fase 3 Dreamm-2, il farmaco ha mostrato un tasso di risposta globale (ORR)/endpoint primario del 32%; raggiungimento di una risposta parziale (PR) molto buona (VGPR) o superiore nel 19% dei pazienti (58% dei responder); nei pazienti che hanno raggiunto una VGPR maggiore la sopravvivenza globale (OS) stimata è stata di 30,7 mesi, un periodo di tempo mai riscontrato prima in monoterapia su questi pazienti altamente compromessi; il principale evento avverso è stata la cheratopatia ma i cambiamenti della migliore acuità visiva corretta (BCVA) e la visione offuscata erano transitori; fino all'86% di tutti i pazienti che avevano manifestato visione offuscata o peggioramento della BCVA aveva una risoluzione entro la fine del follow-up. Nel complesso il trattamento con belantamab si è tradotto in risposte rapide, profonde, durature e clinicamente significative con un profilo di sicurezza gestibile.
Sono stati poi condotti vari studi di vita reale i cui risultati sono stati presentati nel corso del 64esimo Congresso dell'American Society of Hematology (ASH), che si è tenuto a New Orleans nei mesi scorsi.
Uno studio italiano dell'Azienda ospedaliero-universitaria Ospedali riuniti di Ancona diretto dal dott. Massimo Offidani ha valutato l'efficacia e la sicurezza di belantamab in monoterapia su pazienti con RRMM trattati secondo programmi di uso compassionevole come Named patient program (NPP) ed Expanded access program (EAP) in 18 centri italiani sotto l'egida dell'European myeloma network (EMN). L'endpoint primario di questo studio era il tasso di pazienti che raggiungevano un beneficio clinico (CBR, almeno una risposta minima secondo i criteri IMWG [International myeloma working group]). Gli endpoint secondari erano l'ORR (almeno PR), la durata della risposta (DoR), la PFS, l'OS e la sicurezza. I pazienti eleggibili dovevano avere 18 anni di età con una diagnosi di MM secondo i criteri IMWG, aver ricevuto almeno 4 precedenti terapie ed essere refrattari ad almeno un PI, un IMID e un anticorpo anti-Cd38. Inoltre, i pazienti dovevano avere un performance status ECOG = 2 e un'adeguata funzione degli organi.
Nel complesso, sono stati trattati 67 pazienti con belantamab mafodotin in monoterapia in 18 centri italiani. La loro età mediana era di 66 anni (range 42-82) e avevano ricevuto da 2 a 10 precedenti linee di terapia (mediana 5). Dopo un follow-up mediano di 12 mesi, il Cbr è stato del 37%, l'ORR del 31% e Vgpr del 18%. La PFS mediana è stata di 3,7 mesi, l'Os mediana di 12,8 mesi con una DoR mediana di 13,8 mesi. Anche i pazienti che hanno avuto una stabilizzazione della malattia hanno tratto beneficio dal trattamento, in quanto la durata mediana della stabilizzazione è risultata di circa 7 mesi. Per quanto riguarda la sicurezza, nei 30 minuti di infusione in day hospital le reazioni sono state molto blande. La cheratopatia e la riduzione dell'acuità visiva (effetti collaterali peculiari di belantamab) sono state abbastanza frequenti ma non tali da determinare un'interruzione del trattamento (avvenuto in meno del 10% dei casi). L'altro effetto collaterale più frequente, la trombocitopenia, è stata osservata nell'87,5% dei pazienti, nel 50% dei quali era di grado 3, ma sempre reversibile. Nel complesso sono stati trovati risultati simili al Dreamm-2 in termini di ORR e OS, ma PFS e DoR mediane sono sembrate più lunghe.
Tecnicamente è un anticorpo monoclonale coniugato, composto cioè da due molecole: un anticorpo monoclonale umanizzato (belantamab) specializzato a trovare la falla: un recettore espresso sulla superficie delle plasmacellule mielomatose, chiamato BCMA, antigene di maturazione dei linfociti B. Una volta legatosi alla superficie cellulare, belantamb entra rapidamente nella plasmacellula e “sgancia” mafodotin, un chemioterapico che blocca i processi vitali della plasmacellula, provocandone la morte attraverso un meccanismo definito di “apoptosi”. In senso figurato, belantamab mafodotin si comporta come un “cavallo di Troia”. A questa azione principale se ne affiancano altre di attivazione del sistema immunitario del paziente, che potenziano l'effetto anti-mielomatoso.
Il dato signiticativo è che questa nuova cura ha dimostrato negli studi clinici, e nella real life, di saper tenere a bada il mieloma e di aumentare la sopravvivenza in pazienti pluritrattati, per i quali non esistono ad oggi ulteriori possibilità terapeutiche.
In base alle indicazioni approvative, attualmente ne possono beneficiare circa 200 pazienti, dei circa 5700 a cui ogni anno viene diagnosticato un mieloma. Per tutto il 2021, in attesa del via libera dell'AIFA, GSK ha messo a disposizione gratuitamente belantamab ai centri che ne hanno fatto richiesta, grazie a un progetto di Expanded Access Program. Questo ha permesso di dare più tempo e qualità alla vita a molti pazienti con pochissime opzioni terapeutiche efficaci o altrimenti sarebbero stati destinati alla palliazione.
Entriamo nel merito cercando di dare concretezza all'aggettivo “significativo”.
«Nel nostro gruppo di pazienti con mieloma multiplo recidivante refrattario» afferma l'ematologa Roberta Della Pepa, dell'AOU Federico II di Napoli, dirigente medico UOC Ematologia e Trapianti di Midollo «abbiamo raccolto dati riguardanti una casistica di pazienti trattati con belantamab mafodotin, provenienti da studi clinici, in parte da compassionevole o expanded access permesso dall'azienda. Stiamo aggiornando i dati e allargando la casistica: l'ultima raccoglie dati del nostro centro, quindi dell'Ematologia Federico II, ma anche di altri centri campani che sono l'Ospedale Cardarelli di Napoli e l'Università di Salerno; l'Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona e l'ospedale Tortora di Pagani. E' stata fatta quindi una piccola rete per raccogliere informazioni un po' più esaustive e verificare realmente la bontà del dato in real life».
«Il primary endpoint è stato valutare la risposta (overall response rate, ORR e come obiettivi secondari abbiamo valutato la progression free survival (PFS), l'overall survival (OS), il clinical benefit rate (CBR), la duration of response (DoR), il time-to-response (Ttr), il time-to-best-response e la tossicità» specifica Della Pepa. «Da Giugno 2020 a Marzo 2022 sono stati arruolati in tutto 27 pazienti, ma la popolazione valutabile, che ha cioè ricevuto almeno due somministrazioni di belantamab mafodotin, è di 21 pazienti, con un'età mediana di 67 anni. Tutti hanno ricevuto terapie con immunomodulanti (talidomide, lenalidomide, pomalidomide), trattamento con anticorpi monoclonali (in particolare daratumumab) e un trattamento con un inibitore del proteasoma (il 100% bortezomib e l'86% carflizomib). Nella popolazione valutabile il 76% era già stato sottoposto a un trapianto di cellule staminali e il 12% il doppio trapianto di staminali. Prima di iniziare il trattamento con belantamab mafodotin la concentrazione mediana di componente monoclonale era di circa un grammo. Il 77% della popolazione si presentava a noi prima di iniziare il belantamab con lesioni osteolitiche, il 43% aveva trombocitopenia e in mediana i pazienti in studio hanno ricevuto quattro cicli di belantamab, con un range che va da 2 a 21».
Quanto tempo è passato, più o meno, dal momento della prima diagnosi alla ricezione del belantamab? «Facendo una stima, mediamente sono passati sette anni» risponde la specialista «con un range che vada 1 a 19 anni. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad esame oculistico, con valutazione della acuità visiva ed esame della lampada a fessura, eseguito da uno specialista oftalmologo al basale, prima di ogni ciclo per i successivi tre cicli di trattamento e poi come clinicamente indicato. A tutti i pazienti sono state prescritte lacrime artificiali da applicare almeno quattro volte al giorno per tutta la durata del trattamento e colliri a base di corticosteroidi da applicare tre volte al giorno per i primi sette giorni di ogni ciclo».
Passando ai dati di risposta nella popolazione valutabile «abbiamo avuto una ORR del 52%» afferma Della Pepa. «Più in dettaglio, il 10% di risposte complete, il 14% di risposte parziali molto buone, il 28% di risposte parziali e il 14% dei pazienti ha avuto una malattia stabile. Confrontando questi dati con quelli del DREAMM-2, lo studio registrativo, ci siamo resi conto che la realtà ha superato di molto quello che è stato lo studio. Nel DREAMM-2, infatti, il numero di pazienti che arrivavano a Belantamab dopo lo stesso numero lo stesso numero di linee di terapia (da 2 a 6) l'ORR era del 34%».
Riguardo gli endpoint secondari? «La mediana della PFS in mesi è stata 5, con un range da 1 a 20 - a fronte di 2.9 mesi dello studio DREAMM-2. La mediana di sopravvivenza non è ancora raggiunta, così come la mediana della DoR. Nella nostra casistica il tempo per ottenere la risposta è stato di 2 mesi (range: 1-5 mesi) e il tempo per ottenere la migliore risposta sempre in mesi è stato di 5,5 (range: 1-9)». Passando ai dati di sicurezza, prosegue Della Pepa, «abbiamo avuto il 43% dei pazienti che ha avuto cheratopatia ma soltanto un 14% ha dovuto sospendere il trattamento per una cheratopatia di grado 3-4. Il resto dei pazienti sostanzialmente è stato seguito con terapia medica e aggiustamento dei dosaggi di belantamab. Altro evento avverso che è stato rilevato in questa casistica è stata la trombocitopenia nel 33% dei casi (con il 14% di grado 3-4) ma nessun ha dovuto interrompere definitivamente il trattamento».
Nel complesso, quali sono gli outcome della casistica? «Dei 21 pazienti valutabili, 7 sono ancora in corso di terapia, 11 pazienti hanno interrotto per progressione di malattia, 3 hanno interrotto per tossicità oculare e altri tre invece hanno interrotto perché - per ottenimento di una buona risposta - hanno effettuato poi auto o allotrapianto (in particolare due sono stati avviati ad autotrapianto e uno ha effettuato un trapianto allogenico di cellule staminali. I nostri dati real life non solo sono allineati, ma addirittura superano l'aspettativa dei dati riportati dallo studio DREAMM-2. La tossicità di belantamab è, tutto sommato, accettabile perché soltanto tre pazienti hanno avuto discontinuare per problemi oculari mentre gli altri sono stati comunque gestiti con riduzione di dosaggio, oppure allungamento degli intervalli di somministrazione. Tutte le tossicità oculari si sono rivelate reversibili alla sospensione del trattamento e con nessuna sequela a lungo termine. La nostra casistica può arricchirsi di un follow-up più lungo e di ulteriori caratteristiche per ulteriormente caratterizzare i pazienti in studio».
Come spiega i dati di efficacia in real life superiori a quello dello studio DREAMM-2? «Il dato registrativo si basa comunque su una popolazione selezionata,cosa che invece nella realtà clinica non avviene equesto nella maggior parte dei casi potrebbe portare a un peggioramento del dato in quanto imedici tendono a dare il farmaco anche a pazienti che magari non rientrano nei criteri dei trial clinici che hanno molti paletti. A mio avviso» sostiene Della Pepa «allargare la casistica dà la possibilità di individuare pazienti che magari hanno caratteristiche che possono giovarsi della possibilità di ricevere il farmaco per motivi che andrebbero indagati nella real-life. Nella real life il medico si trova di fronte alla necessità clinica e può succedere che un paziente che non poteva entrare nel trial invece risponda al trattamento».
Svitlana Gumenyuk, medico ematologo afferente alla UOSD di Ematologia dell'IRRCS IFO Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, propone dati osservazionali relativi all'impiego di belantamab mafodotin in pazienti con mieloma multiplo recidivante refrattario sui quali specifica «non possiamo ancora fornire dati consolidati real life poiché il farmaco è da poco in uso (dal febbraio-marzo di quest'anno) e, in tempi così ristretti, abbiamo un numero di pazienti limitato. È comunque un'esperienza importante, soprattutto visto le linee avanzate di trattamento in cui il coniugato farmaco-anticorpo è impiegato, ed il meccanismo d'azione caratterizzato dal riconoscimento di una nuova classe di antigeni di superficie chiamata BCMA». Nel complesso, i pazienti - di età avanzata (intorno ai 70 anni) - attualmente in trattamento sono quattro, tutti in fase avanzata di malattia (quinta linea di trattamento ed oltre), e refrattari ad altre terapie, come previsto dalle indicazioni del farmaco. «Nella nostra esperienza» riprende Gumenyuk «i pazienti che hanno iniziato il farmaco in quinta linea di terapia, anche se fortemente pretrattati, sono soggetti che hanno comunque un performance status abbastanza conservato (0-1) e possono aderire al trattamento in condizioni migliori, essendo ancora in grado di ricevere il trattamento in ambulatorio, ma soprattutto evidenziano una risposta migliore al farmaco rispetto a una somministrazione più tardiva, in sesta e settima linea». In altre parole, chi inizia il farmaco più precocemente, mostra più sensibilità al farmaco stesso. Sotto il profilo degli effetti collaterali, Gumenyuk afferma che non ne sono stati osservati tranne che di tipo oculare, la cui gestione però appare agevole in quanto impostata da un oftalmologo esperto con un protocollo specifico prima di utilizzare il farmaco in istituto. «Viene fatta una valutazione basale prima di iniziare la terapia, con instillazione di lacrime artificiali, a supporto di questa terapia» prosegue l'ematologa. «Abbiamo avuto due pazienti che al terzo ciclo hanno iniziato a presentare sintomi di cheratopatia lieve e un altro di cheratopatia di grado moderato. Abbiamo capito nei nostri incontri interdisciplinari - anche a livello regionale, confrontandoci con oftalmologi esperti - che in caso di cheratopatia moderata, allungando la fase di sospensione del farmaco tra un ciclo e l'altro, si riescono a riprendere i cicli successivi con lo stesso dosaggio senza osservare un peggioramento della cheratopatia: questa cioè potrebbe essere una strategia alternativa a quella prevista della riduzione del dosaggio. Effetti collaterali ematologici, come trombocitopenia e neutropenia, non sono stati osservati nei pazienti finora giunti a 4-5 cicli di terapia», aggiunge Gumenyuk. «Di questi, in base alla valutazione solo osservazionale, il 50% presenta dopo 3-4 cicli una risposta parziale mentre l'altro 50% mostra malattia stabile» sottolinea l'ematologa. «Il farmaco - nonostante la somministrazione endovenosa, ogni 21 giorni - è ben tollerato e maneggevole, facilmente gestibile da parte sia dei caregiver sia dei pazienti, pur provenendo questi ultimi da trattamenti orali o sottocutanei». Nel complesso, è possibile trarre qualche conclusione? «Essendo un trattamento continuativo, si tratta di una valutazione precoce per cercare di capire, anche nella nostra esperienza, come rispondono i pazienti in linea avanzata di trattamento» risponde Gumenyuk. «Facendo tale valutazione soprattutto in base alle caratteristiche umorali di malattia, possiamo dire che- dopo terzo, quarto e quinto ciclo - in metà dei pazienti osserviamo una risposta parziale e in metà almeno una malattia stabile, senza progressione. La prima metà dei pazienti potrà migliorare, approfondendo la risposta? Probabilmente sì. L'altra metà migliorerà? Questo si potrà valutare in seguito, perché i cicli di terapia finora condotti sono ancora pochi. In conclusione, si può dire che in una metà di pazienti che sono in linea avanzata di terapia osserviamo una risposta».
Numeri importanti, dunque, che aprono nuovi scenari nella lunga partita con il mieloma multiplo.
Una malattia, ricordiamo, per la quale non c'è ancora una cura definitiva. Il mieloma multiplo è al secondo posto fra le neoplasie ematologiche più frequenti dopo il linfoma non-Hodgkin ed è responsabile dell'1-2% di tutte le neoplasie e del 10- 15% dei tumori ematologici. Colpisce soprattutto gli anziani, con un'età media alla diagnosi di circa 70 anni (solo il 2% dei pazienti ha meno di 40 anni); inoltre, è leggermente più diffuso negli uomini. L'incidenza stimata è di circa 39000 nuovi casi ogni anno in Europa. La decima edizione de I numeri del cancro in Italia, pubblicata nel 2020 dall'Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), in collaborazione con l'Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), riporta che nel nostro Paese ogni anno si stimano circa 5700 nuovi casi di mieloma multiplo, con un'incidenza di 3019 casi negli uomini e 2740 nelle donne. In Italia, il mieloma multiplo rappresenta l'1,5% di tutti i tumori diagnosticati nella donna (7,7 casi ogni 100.000 abitanti per anno) e l'1,6% di tutti i tumori diagnosticati nell'uomo (11,1 casi ogni 100.000 abitanti per anno).

04/05/2023 10:40:00 Andrea Sperelli


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