Dormire di più per stare meglio

Cinque o meno ore a notte sono troppo poche

Dormire appena cinque o meno ore per notte comporta un aumento del rischio dal 30 al 45% di ammalarsi di più malattie croniche nei soggetti con oltre 50 anni. A dirlo è un nuovo studio pubblicato su Plos One da un team dell'Université Paris Cité, dell'Inserm, dell'University College London e dell'Università di Helsinki guidato da Séverine Sabia.
I ricercatori hanno raccolto i dati di uno studio britannico iniziato nel 1985, esaminando la durata del sonno autoriferita all'età di 50, 60 e 70 anni di 7.864 uomini e donne e le loro condizioni di salute nei successivi 25 anni.
È emerso che chi all'età di 50 anni dormiva 5 o meno ore per notte aveva un rischio di multimorbilità più alto del 30% rispetto a chi ne dormiva 7. L'aumento saliva al 32% nelle persone che dormivano cinque ore o meno a 60 anni e al 40% tra quelle che dormivano 5 ore o meno a 70.
Inoltre, chi a 50 anni dormiva poco ha anche mostrato un aumento del rischio del 25% di morire prima rispetto a chi dormiva un giusto quantitativo di ore. "Il nostro lavoro, basato sui dati relativi a oltre 7.000 uomini e donne seguiti per 25 anni, indica che una durata breve del sonno dalla mezza età alla terza età si associa al rischio di malattie croniche e alla successiva multimorbilità", ha spiegato Sabià.
Lo studio ha però scoperto che i rischi per la salute venivano anche da un eccessivo riposo. Il rischio infatti aumentava anche in quei soggetti - pochi per la verità, solo 122 - che dormivano 9 o più ore a notte.
L'insonnia rappresenta il 90% dei disturbi del sonno, nella forma cronica ne soffre dal 10 al 13% della popolazione italiana e fino al 60% nelle forme acute e transitorie (della durata di settimane), legate ad esempio a un evento traumatico: un lutto, un litigio, la fine di una relazione.
Anche uno studio pubblicato sul Journal of the American Geriatrics Society segnala la necessità di dormire il numero giusto di ore per evitare un rischio di demenza e di morte prematura.
L'analisi ha coinvolto 1.517 soggetti seguiti per 10 anni: 294 hanno sviluppato una forma di demenza e 292 sono morti. Dopo aver tenuto conto di altri fattori come l'età, il genere, è emerso che il tasso di mortalità e di demenza è maggiore se il soggetto dorme meno di 5 o più di 10 ore al giorno.
I ricercatori hanno anche scoperto che l'attività fisica riesce a contrastare l'effetto negativo della mancanza di sonno. "Dato l'effetto benefico dell'attività fisica sui problemi legati al poco sonno, questi risultati indicano che non solo fare attenzione alla durata del sonno, ma anche modificare lo stile di vita può costituire una strategia efficace per prevenire demenza e morte prematura negli anziani", concludono gli autori.
Un'altra ricerca sottolinea la pericolosità della mancanza di riposo. Il cervello, infatti, è pronto ad autodistruggersi nei soggetti che subiscono una carenza cronica di sonno. Lo dimostra uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience da Michele Bellesi dell'Università Politecnica delle Marche.
Il ricercatore italiano, in collaborazione con i colleghi dell'Università del Wisconsin, ha certificato - nello stato di privazione del sonno - la condizione di iperattività delle cellule normalmente deputate alla pulizia degli scarti cerebrali. In altre parole, le cellule cerebrali diventano troppo efficienti e cominciano a eliminare anche ciò che non dovrebbero.
Per arrivare a tale conclusione, lo scienziato italiano ha messo a confronto il cervello di topi da laboratorio in tre condizioni differenti: nel primo caso potevano dormire a piacimento, nel secondo i ratti rimanevano svegli per 8 ore in più rispetto al normale, infine nel terzo caso le cavie erano costrette a non riposare per 5 giorni di fila, simulando quindi una condizione di carenza cronica di sonno.
Gli effetti erano visibili in specifiche aree del cervello. Le cellule della glia sono responsabili della manutenzione dell'ambiente cellulare neurale. Una parte di esse, gli astrociti, si incarica di tagliare le sinapsi non più necessarie dando nuova forma alle connessioni neurali. Altre cellule, quelle della microglia, vanno alla ricerca dei neuroni danneggiati, di placche e di agenti infettivi da eliminare.
In condizioni di normalità, gli astrociti apparivano attivi nel 6 per cento delle sinapsi, mentre nei topi privati di 8 ore di sonno la percentuale saliva all'8%. Tuttavia, nel terzo gruppo gli astrociti attivati erano il 13,5 per cento.
Lo stesso fenomeno è stato riscontrato fra le cellule della microglia. In questo caso, l'iperattività cellulare sembra più preoccupante, perché un'attivazione del genere è stata verificata anche in malattie neurodegenerative come l'Alzheimer. Ciò spiegherebbe il motivo per cui chi è affetto da carenza cronica di sonno mostri anche maggiori probabilità di sviluppare forme di demenza.

20/10/2022 17:00:00 Andrea Piccoli


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