Le persone affette da problemi intestinali potrebbero subire anche una diagnosi di Parkinson. Lo dice uno studio pubblicato su Gut da un team americano.
Lo studio si è basato sui dati di 24.624 persone colpite da Parkinson messi a confronto con quelli di persone con Alzheimer, emorragie cerebrali o coaguli e cervelli sani. Dalle risposte emerge che i soggetti con problemi intestinali avevano una probabilità maggiore di sviluppare il Parkinson.
Anche se non tutti quelli che accusano problemi gastrointestinali finiscono per sviluppare il Parkinson, è evidente l'esistenza di una connessione fra la salute dell'intestino e del cervello. Secondo gli esperti, il tratto gastrointestinale possiede milioni di cellule nervose che comunicano con il cervello, e di conseguenza una terapia volta a curare uno dei due organi finirebbe per offrire benefici anche all'altro.
Clare Bale, dell'Associazione Parkinson's UK, ha affermato che i risultati "aggiungono ulteriore peso" all'ipotesi che i problemi intestinali potrebbero essere un segno precoce della malattia. Il professor Kim Barrett, dell'Università della California, Davis, ha affermato che sono necessari ulteriori studi per capire se il collegamento è qualcosa che potrebbe essere utilizzato dai medici per aiutare i pazienti.
"Resta possibile che sia le condizioni gastrointestinali che il morbo di Parkinson siano indipendentemente collegate a un terzo fattore di rischio ancora sconosciuto, il lavoro riportato non può attribuire una causalità. Tuttavia, le conclusioni possono avere rilevanza clinica e certamente dovrebbero stimolare ulteriori studi".
Secondo Tim Bartels, del Dementia Research Institute del Regno Unito presso l'University College di Londra, il lavoro stabilisce fermamente che l'intestino potrebbe essere un "bersaglio primario" per la ricerca di biomarcatori del Parkinson, cambiamenti fisici misurabili che possono fungere da segnale di allarme precoce. Secondo lui, essere in grado di prevedere precocemente il Parkinson sarebbe "molto prezioso per un trattamento e un targeting farmacologico più tempestivi e quindi più efficaci".
Secondo un altro studio pubblicato su Neuron e firmato da scienziati della Johns Hopkins University di Baltimora guidati da Ted Dawson, il Parkinson avrebbe origine proprio nell'intestino.
Alcune ricerche in passato avevano evidenziato alterazioni del microbiota intestinale nei pazienti parkinsoniani e problemi intestinali quali la costipazione nel periodo che precede l'esordio della malattia.
I ricercatori hanno scoperto ora che nell'appendice si accumula la proteina alfa-sinucleina, quella responsabile dei danni prodotti dal Parkinson.
I medici della Johns Hopkins hanno iniettato la molecola nella pancia di un gruppo di topi, i quali hanno sviluppato il Parkinson nel giro di 7-10 mesi. Dall'intestino, la molecola si è diffusa accumulandosi nel cervello e causando la comparsa di disturbi motori e comportamentali.
Il potenziale responsabile di questo “contagio” sembra essere il nervo vago. Se il nervo viene reciso, i ratti non si ammalano di Parkinson nonostante l'iniezione della molecola.
Ora gli scienziati studieranno in maniera approfondita la maniera in cui il nervo consente la risalita della molecola tossica nel cervello.
Una ricerca apparsa su Science Translational Medicine conferma in maniera indiretta le conclusioni dei medici americani, suggerendo un collegamento fra l'insorgenza del morbo di Parkinson e l'appendice.
«La patogenesi della malattia di Parkinson comporta l'accumulo di alfa-sinucleina aggregata e si pensa che tale situazione possa avere origine dall'apparato gastrointestinale», spiega Bryan Killinger del Van Andel Research Institute di Grand Rapids, primo autore del lavoro.
L'analisi ha preso in esame 500.000 pazienti in Svezia sottoposti ad appendicectomia. Sono stati messi a confronto con persone dalle caratteristiche simili mai sottoposte allo stesso intervento.
I dati indicano che nel corso del follow up 2.200 soggetti hanno sviluppato la malattia di Parkinson, ma soprattutto che fra chi si era sottoposto ad appendicectomia il rischio risultava più basso del 19 per cento rispetto a chi non aveva fatto alcun intervento.
Inoltre, in chi si era sottoposto all'intervento, l'età dell'esordio della malattia si era spostato in avanti in media di 3,6 anni.
I ricercatori hanno anche scoperto che 46 su 48 appendici di uomini e donne sani mostravano nei loro tessuti la presenza di alfa-sinucleina.
«L'appendice umana sana contiene aggregati di alfa-sinucleina e un'abbondanza di prodotti di troncamento dell'alfa-sinucleina associati alla patologia del Parkinson che notoriamente si accumulano nei corpi di Lewy, il segno patologico del Parkinson. Lisati di tessuto di appendice umana hanno indotto una rapida scissione e oligomerizzazione dell'alfa-sinucleina ricombinante a lunghezza intera», spiegano gli autori.
L'ipotesi è quindi che l'appendice funzioni da serbatoio per forme patogene di alfa-sinucleina, le quali potrebbero contribuire all'inizio e allo sviluppo della malattia.
I composti che limitano l'accumulo della sostanza nell'appendice e in altri tessuti linfatici potrebbero rappresentare la base per ideare una nuova strategia terapeutica.
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