Un grande studio realizzato su 20 milioni di persone in Europa chiarisce il rapporto fra Covid, vaccini e rischio di complicazioni cardiache. Nello specifico, i dati dimostrano che fra i soggetti che avevano ricevuto una vaccinazione c'era una netta diminuzione dei rischi di complicanze cardiache in seguito all'infezione da Covid rispetto a chi non aveva ricevuto alcun tipo di immunizzazione.
L'indagine, realizzata da scienziati delle università di Catalogna, Oslo ed Estonia, “ha registrato un sostanziale calo dei pericoli di gravi eventi tromboembolici e cardiovascolari acuti durante e in seguito all'infezione con il virus del Covid-19", come spiega una nota a supporto della pubblicazione.
Lo studio, pubblicato sul British Medical Journal, mostra in particolare una riduzione dei casi di insufficienza cardiaca del 55% dopo 1 mese dalla vaccinazione e del 39% dopo 6 mesi/1 anno.
Per quanto riguarda lo sviluppo di emboli dopo un mese dalla vaccinazione, il calo del rischio è risultato del 78% e del 47%, rispettivamente per i trombi venosi e arteriosi.
Dopo 6 mesi/1 anno la diminuzione del pericolo di trombi è risultata tra il 47 e il 28%. I vaccini studiati nella ricerca hanno incluso: Moderna, Pfizer, AstraZeneca e Johnson & Johnson.
I vaccini anti COVID-19 non hanno causato un aumento del rischio di eventi avversi come infarto, ictus, arresto cardiaco, miocarditi, pericarditi e trombosi venose profonde. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Vaccines e coordinato da Lamberto Manzoli, medico epidemiologo e professore al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell'Università di Bologna.
La ricerca - che ha coinvolto anche studiosi dell'Università di Ferrara e dell'ASL di Pescara - ha seguito per diciotto mesi, da gennaio 2021 a luglio 2022, l'intera popolazione della provincia di Pescara. Sono stati raccolti i dati sanitari dei residenti ed è stata analizzata la frequenza di alcune malattie gravi come malattie cardiovascolari, embolie polmonari e trombosi. Al termine dell'indagine, nessuna delle patologie esaminate è risultata più frequente tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati.
"I risultati che abbiamo ottenuto mostrano in modo netto che tra i vaccinati non c'è stato un aumento di rischio di malattie gravi", dice Manzoli. "Vi sono stati casi isolati negativi, ma il profilo di sicurezza dei vaccini utilizzati durante la pandemia è stato confermato: sarà ora importante continuare il follow-up su un periodo più lungo".
Lo studio è al momento l'unico al mondo che ha potuto seguire la popolazione per più di un anno, prendendo in considerazione numerosi fattori tra cui l'età , il sesso e il rischio clinico dei partecipanti. I risultati ottenuti mostrano, in particolare, che sia i decessi registrati che l'insorgenza delle patologie prese in esame sono stati meno frequenti tra le persone vaccinate, indipendentemente dal sesso, dall'età e dal profilo di rischio clinico.
L'analisi ha anche confermato che le persone vaccinate che hanno contratto il COVID-19 sono più protette contro il coronavirus rispetto a chi è guarito dopo aver contratto la malattia ma non è vaccinato. Una maggiore incidenza delle patologie considerate è invece emersa tra chi non ha contratto il COVID-19 e ha solo una o due dosi di vaccino, rispetto a chi ha tre o più dosi.
"Questo dato controintuitivo è dovuto a un bias epidemiologico causato dalle restrizioni attuate durante l'emergenza", spiega Manzoli. "I dati raccolti mostrano che l'83,2% delle persone vaccinate che non ha contratto il COVID-19 ha ricevuto almeno tre dosi di vaccino: chi ha ricevuto solo una o due dosi non ha completato il ciclo vaccinale o perché è deceduta o perché è stata scoraggiata dall'insorgenza di una malattia".
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