In attesa che la ricerca farmacologica compia un definitivo salto di qualità , le speranze di poter curare i tumori del pancreas sono affidate quasi interamente alla chirurgia.
Nell'ambito degli interventi che possono essere eseguiti per il trattamento di queste neoplasie, siano esse di origine esocrina (adenocarcinoma) o endocrina (Net), la duodenocefalopancreasectomia rappresenta una procedura complessa (prevede l'asportazione della testa del pancreas, del duodeno, di parte del digiuno, della colecisti e di una porzione della via biliare), che finora risulta essere stata poco condizionata dall'innovazione in chirurgia.
L'approccio laparotomico continua a rappresentare la prima scelta, a partire dai centri con maggiore esperienza nella gestione della malattia. Fino a questo momento, infatti, né la laparoscopia né la sua evoluzione (chirurgia robotica) hanno rappresentato soluzioni più efficaci (per il paziente) e al contempo pratiche (per l'equipe chirurgica).
Quello che era già emerso da diversi trial clinici randomizzati trova conferma in una metanalisi condotta dagli specialisti dell'unità di chirurgia pancreatica dell'azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Sant'Orsola di Bologna. Gli autori hanno passato in rassegna le conclusioni di sette studi randomizzati e per un totale di 1.428 pazienti coinvolti: 618 (46.5 per cento) operati in maniera tradizionale e 711 (53,5) con uno dei due approcci mininvasivi.
Molteplici gli obiettivi, tutti tesi a comparare l'efficacia delle due modalità di procedere a quella che è considerata la più complessa procedura di chirurgia addominale: dal confronto tra l'incidenza di morbilità , mortalità e R1 (infiltrazione dei margini, considerata un fattore prognostico negativo) alla frequenza con cui si sono manifestate complicanze chirurgiche (fistole pancreatiche e biliari, emorragie, ritardi nello svuotamento gastrico).
Fino alla comparazione di una serie di indicatori secondari (tassi di reintervento, durata del ricovero, tempo di recupero funzionale) riconosciuti come parametri affidabili per valutare la qualità di una simile procedura chirurgica.
I risultati, pubblicati su Annals of surgical oncology, hanno confermato la “non superiorità dell'approccio mini-invasivo rispetto alla chirurgia openâ€, è quanto messo nero su bianco dagli autori, sotto l'egida di Riccardo Casadei (direttore della divisione di chirurgia del pancreas del policlinico bolognese).
Nel dettaglio, l'incidenza di mortalità post-operatoria è risultata comparabile tra i due gruppi: 2.9 per cento (con laparoscopia e robotica) contro 2.6 per cento per l'approccio open.
Anche la frequenza di morbilità associata all'intervento ha premiato (seppur di poco) la chirurgia tradizionale (25,6 contro 29,4 per cento). Quanto al tasso R1, l'approccio mininvasivo (6.2 per cento) è risultato più efficace rispetto alla chirurgia laparotomica (sette per cento). Pressoché sovrapponibili gli altri dati relativi agli altri indicatori secondari oggetto dell'analisi.
La sintesi delle evidenze finora disponibili dimostra che “l'uso routinario dell'approccio minimamente invasivo negli interventi di duodenocefalopancreasectomia non ha finora fornito alcun vantaggio nel breve termine: né in termini di sicurezza né di maggiore efficacia, che nel caso specifico può essere dimostrata a fronte di un calo significativo della morbilità e della mortalità â€, aggiunge Claudio Ricci, chirurgo pancreatico del Sant'Orsola e prima firma della pubblicazione.
Fin qui passato e presente delle evidenze raccolte in ambito chirurgico, che non sembrano destinate a cambiare in maniera significativa nel prossimo futuro.
“Qualsiasi tentativo di dimostrare la superiorità della laparoscopia e della robotica richiede molto tempo ed è alto rischio di fallimento - precisa Ricci, che è anche segretario generale dell'Associazione italiana per lo studio del pancreas (Aisp) -. Le differenze rilevate in termini di sicurezza sono risultate talmente ridotte da richiedere un elevato campione di pazienti da randomizzare. Soltanto così, eventualmente, si potrebbe dimostrare che la chirurgia mininvasiva è sicura quanto quella open, in una procedura così complessaâ€.
Nessun particolare vantaggio è emerso anche in relazione ai tempi di degenza, che in altri ambiti risultano limitati dal ricorso alla chirurgia mininvasiva. Mentre nel caso della chirurgia pancreatica risentono - più che della tecnica operatoria - del verificarsi di quelle condizioni di comorbilità indicate e la cui ricorrenza è pressoché sovrapponibile tra i pazienti operati in maniera tradizionale e coloro che invece sono stati trattati con un approccio laparoscopio o robotico.
C'è un poi un problema legato ai costi di questo intervento, per cui è previsto un Drg già abbastanza molto alto (intorno ai 20-25 mila euro). Da uno studio di fase 2 pubblicato lo scorso anno su The Lancet regional health europe è emerso che il ricorso alla robotica comporta una spesa superiore di oltre 12 mila euro per paziente.
La spesa - sulla base delle conclusioni di un altro lavoro, pubblicato nel 2017 sul Journal of gastrointestinal surgery - è risultata maggiore anche ricorrendo alla laparoscopia.
Infine, è importante sottolineare la lunga curva di apprendimento richiesta per una procedura complessa e dai numeri sì in crescita, ma ancora contenuti (in Italia nel 2023 sono stati effettuati poco più di tremila interventi di questo tipo).
“Attualmente - conclude Ricci - non ci sono ragioni per credere che una duodenocefalopancreasectomia mininvasiva possa avere un impatto positivo nei pazienti alle prese con un adenocarcinoma duttale pancreatico. Detto ciò, l'evoluzione della tecnologia non può essere fermata e non deve essere sottovalutataâ€.
Fonte: AboutPharma
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