Nuovo anticorpo contro l'Hiv

Aderisce alle cellule CD4 ostacolando l'ingresso del virus

Scienza al lavoro su HIV e Sars-CoV-2: nuove soluzioni all'orizzonte dopo gli straordinari progressi degli ultimi mesi. Se per il Covid i vaccini hanno permesso di ridurre i contagi e i casi gravi di malattia, l'HIV già da qualche anno si può considerare un'infezione cronica grazie all'avvento della terapia antiretrovirale a elevata efficacia che permette il controllo della replicazione virale e la conseguente soppressione virologica, sintetizzata nello U=U, Undetectable=Untransmittable: l'HIV non viene trasmesso se la viremia del partner HIV positivo non è più determinabile nel sangue, grazie alla corretta assunzione di una efficace terapia antiretrovirale. I nuovi orizzonti terapeutici offrono ulteriori spunti: sia per l'HIV che per il Covid, infatti, ulteriori soluzioni potrebbero essere negli anticorpi monoclonali. Questo è uno degli spunti che emerge dalla 13a edizione del Congresso ICAR - Italian Conference on AIDS and Antiviral Research di Riccione.
Gli anticorpi monoclonali sono diventati uno dei prodotti farmaceutici più importanti anche in ambito infettivologico: il primo monoclonale in tal senso è stato impiegato per il virus respiratorio sinciziale, poi per il Clostridium difficile; recentemente sono iniziati gli studi e le prime applicazioni per l'HIV e per il Covid. Nella recente pandemia, questo approccio terapeutico si è rivelato fondamentale per evitare che la patologia innescata dal Covid degenerasse nelle sue forme più gravi. In HIV, vi è un anticorpo monoclonale, l'ibalizumab, che ha superato la fase 3 di sperimentazione, è già stato approvato da FDA ed EMA ed è in corso di approvazione AIFA proprio questi giorni, e che a breve sarà disponibile nei nostri ambulatori.
“Questo anticorpo monoclonale si attacca alle cellule CD4 impedendo l'ingresso del virus nella cellula - spiega la Prof.ssa Anna Maria Cattelan - Questo approccio terapeutico è stato studiato per i pazienti con alle spalle una lunga storia di terapia antiretrovirale ed in fallimento virologico. I dati a 96 settimane di trattamento indicano che anche in soggetti pluri-falliti vi è stata una risposta virologica nel 56% dei casi; direi un risultato importante per futuri sviluppi della molecola. Questo è solo l'inizio, visto che questi anticorpi monoclonali potrebbero essere usati anche in altri contesti, come nella terapia iniziale e addirittura nella prevenzione dell'HIV. Uno studio pubblicato quest'anno sul New England Journal of Medicine nella prevenzione dell'infezione da HIV su più di 4mila soggetti ad elevato rischio di infezione, pur non dimostrando un'efficacia nel raggiungimento di questo ambizioso risultato, ha rappresentato un importante “proof of conceptâ€, sia per lo sviluppo di futuri vaccini, che per la programmazione di ulteriori futuri studi che dovranno prevedere la contemporanea combinazione di più anticorpi monoclonali capaci di aggredire il virus in modo definitivo. Certamente si sta aprendo un decennio che vedrà lo sviluppo di molte strategie terapeutiche avanzate, tra cui certamente la terapia genicaâ€.
Tra le non poche analogie che caratterizzano Covid e HIV, si sta facendo spazio una ricerca inerente all'effetto che entrambi i virus hanno sull'invecchiamento dell'individuo, inteso come condizione di fragilità rispetto all'accumulo di deficit nel corso della nostra vita. “L'HIV è un modello raffinato di accentuazione e accelerazione del fenomeno dell'invecchiamento - sottolinea il Prof. Giovanni Guaraldi, medico infettivologo dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena e Professore Associato presso la locale Università. - Nell'ultimo anno, tra gli effetti della pandemia, abbiamo osservato anche il Post Acute Covid Syndrome - PACS, spesso definito semplicemente Long Covid, anch'esso un fenomeno di invecchiamento della persona, come si evince dal riscontro empirico in molti pazienti che dopo il Covid si sentono cambiati. HIV e PACS sono uniti da questo meccanismo biologico di accelerazione del fenomeno dell'invecchiamento con progressione della fragilità. Proprio sul tema dell'invecchiamento si è delineata da alcuni anni una nuova scienza, la geroscience, secondo cui l'invecchiamento è una malattia su cui si dovrebbe intervenire con diagnosi precoci per favorire interventi mirati attraverso farmaci senolitici, che possono uccidere le cellule che invecchiano, e senomorfici, che possono modificare l'invecchiamento cellulare. Essendo HIV e Covid due malattie da invecchiamento, è interessante capire l'approccio della geroscience su queste patologie. Tuttavia, HIV può essere considerato già un modello in cui la geroscience è applicata, visto che la terapia antiretrovirale svolge di fatto una funzione senomorficaâ€.
Il Covid-19 ha fatto rivivere agli infettivologi l'incubo vissuto negli scorsi decenni proprio di fronte all'HIV. Eppure, le due infezioni hanno presentato profonde differenze, che si riflettono soprattutto nelle analisi di laboratorio. “Sars-CoV-2 e HIV differiscono per l'importanza dell'aspetto quantitativo, per il rapporto tra infezione e contagiosità, per il monitoraggio dell'immunità, per il ruolo delle varianti - sottolinea la Prof.ssa Maria Rosaria Capobianchi. - Nel Covid, che è un'infezione acuta, si è ridotta notevolmente l'importanza degli aspetti quantitativi della carica virale, cruciale invece per il monitoraggio dell'infezione nell'HIV, infezione cronica. Se un paziente affetto da HIV ottiene una riduzione quantitativa della carica virale può non essere più contagioso, come enunciato nel principio U=U; nel Covid invece vi possono essere persistenze prolungate del genoma virale nell'albero respiratorio, senza però che corrispondano a una persistenza della contagiosità. Inoltre, cambia il concetto di immunità: nell'HIV non è sintomo di guarigione, ma di infezione che si protrae per tutta la vita, mentre per il Covid la presenza di anticorpi è la testimonianza di aver incontrato il virus e di aver superato l'infezione. Gli anticorpi sono anche un parametro fondamentale per la valutazione della protezione indotta dal vaccino, in popolazioni modello da cui trarre informazioni sulla durata e l'entità della protezione, in modo da poter disegnare strategie flessibili e tempestive per le politiche vaccinali. Al momento sono disponibili molti strumenti per la misura dell'immunità, sia naturale che acquisita grazie al vaccino. Tuttavia non sono ancora chiari i livelli anticorpali che corrispondono allo stato di protezione, e in molti laboratori si sta lavorando al paragone fra i diversi metodi immunometrici e il test biologico che misura la capacità di neutralizzare l'infettività del virus. Infatti questo test, per la sua complessità, non può rappresentare lo standard di routine, e per questo, ai fini delle applicazioni quotidiane, vanno identificati strumenti più accessibili e semplici. Inoltre i dati più recenti focalizzano l'attenzione anche sull'immunità cellulare, che sembra avere una durata più prolungata rispetto alla immunità anticorpale. L'immunità cellulare sembra anche risentire in minor misura della variabilità virale. Collegato a questo, va detto che sul versante Covid c'è grande attenzione per le varianti del virus che potrebbero vanificare la protezione dell'immunità indotta dal vaccino. In HIV l'esperienza maturata in questi 40 anni ci ha insegnato che le mutazioni hanno importanza in un ambito diverso, principalmente legato alla efficacia dei farmaci antiretroviraliâ€.

25/10/2021 15:00:00 Andrea Sperelli


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