Nuovi biomarcatori per il cancro al seno

Per capire l'andamento delle cure

Uno studio italiano diretto da Michelino De Laurentiis si è concentrato sulla combinazione di due biomarcatori per ottenere informazioni sul tumore del seno.
In particolare, lo studio BioltaLEE ha analizzato pazienti con tumore della mammella avanzato o metastatico positivo per i recettori ormonali e negativo per il recettore 2 del fattore umano di crescita epidermica (HR+/HER2-).
Le pazienti sono state trattate in prima linea con ribociclib, inibitore di CDK4/6, in combinazione con letrozolo (terapia ormonale). L'obiettivo della ricerca è studiare biomarcatori che possano, dopo solo 15 giorni, aiutare a comprendere l'andamento delle cure. Per biomarcatori si intendono caratteristiche del tumore che consentano di identificare i pazienti che rispondono o meno a un determinato trattamento.
Allo studio hanno partecipato 287 pazienti di 47 centri italiani.
"Il trattamento standard dei tumori mammari positivi per i recettori ormonali è la combinazione di un inibitore di cicline con il trattamento ormonale - afferma De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare, Istituto Nazionale Tumori G. Pascale di Napoli -. Ribociclib è l'unico farmaco della classe degli inibitori CDK4/6 in grado di vantare una totale coerenza e solidità di risultati. Ha infatti dimostrato un vantaggio in sopravvivenza globale in donne in pre/peri e postmenopausa e con diverse combinazioni ormonali. I dati di BioItaLEE non sono ancora definitivi, ma vanno nella direzione della conferma dell'efficacia già dimostrata nello studio MONALEESA-2, con metà delle pazienti vive oltre 5 anni. BioItaLEE per la prima volta al mondo ha considerato la combinazione di due biomarcatori, misurati con prelievi del sangue, cioè con biopsia liquida".
I due biomarcatori rappresentano un'opzione migliore della TAC per il monitoraggio dell'andamento della cura. Se i dati dello studio venissero confermati, allora si potrebbero identificare le mutazioni responsabili del Dna tumorale e indirizzare quindi le pazienti verso trattamenti alternativi.
"Siamo di fronte - sottolinea Grazia Arpino, professoressa di Oncologia Medica all'Università Federico II di Napoli, presente anche lei a Chicago - a dati preliminari che possiamo definire generatori di ipotesi perché tracciano una strada che dovrà essere confermata con ulteriori studi clinici. La loro utilità però potrebbe essere importante perché, dopo solo 15 giorni dall'inizio della terapia, potremmo essere in grado di capire come sta rispondendo la paziente e far fronte a eventuali resistenze".

17/05/2023 Andrea Piccoli


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