Nel corso degli ultimi anni si è registrato un miglioramento significativo nella sopravvivenza associata a leucemia linfoblastica acuta (LLA) Philadelphia positiva (Ph+).
Il miglioramento è dovuto a una serie di fattori legati al trapianto, alle terapie di salvataggio post-trapianto e al miglioramento della terapia di supporto, secondo uno studio pubblicato su Clinical Cancer Research.
La prima causa di fallimento rimane la recidiva dopo trapianto di cellule ematopoietiche allogeniche (allo-HCT). «In altre neoplasie ematologiche, i progressi terapeutici hanno comportato un miglioramento significativo nel tempo della sopravvivenza dei pazienti che hanno una ricaduta dopo il trapianto», spiega Ali Bazarbachi dell'American University of Beirut Medical Center di Beirut, primo nome dello studio.
Lo studio ha analizzato gli esiti di 899 pazienti adulti con LLA Ph+ che hanno accusato una recidiva fra il 2000 e il 2019, dopo che l'allo-HCT ha mostrato la prima remissione completa, con un follow-up mediano di 56 mesi.
In tutto, 116 pazienti hanno avuto una recidiva tra il 2000 e il 2004, 225 tra il 2005 e il 2009, 294 tra il 2010 e il 2014 e 264 tra il 2015 e il 2019. Le caratteristiche dei
pazienti e dei trapianti erano simili nei quattro periodi di tempo, fatta eccezione per un progressivo aumento di donatori non imparentati, cellule staminali del sangue periferico, condizionamento a intensità ridotta e deplezione dei linfociti T in vivo, e una progressiva diminuzione dell'irradiazione corporea totale.
Due anni dopo la recidiva, la sopravvivenza globale è aumentata dal 27,8% nel periodo fra il 2000 e il 2004 al 54,8% fra il 2015 e il 2019.
Un secondo allo-HCT entro due anni dalla ricaduta è stato eseguito nel 13,9% dei pazienti, con una sopravvivenza globale a due anni del 35,9%. L'analisi multivariata ha mostrato che la sopravvivenza globale da recidiva è stata influenzata positivamente da un tempo più lungo dal trapianto alla recidiva e dall'anno della recidiva. «I nostri dati del mondo reale su larga scala possono fungere da punto di riferimento per studi futuri in questo contesto», concludono gli autori.
Fonte: Clinical Cancer Research
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