Uno dei big killer nei confronti del quale la ricerca scientifica non riesce a trovare soluzioni apprezzabili. Parliamo del cancro del pancreas, che mostra un tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di appena il 20-25%. Molto dipende dal fatto che la diagnosi arriva tardi, nel 90% dei casi quando il tumore è già in fase avanzata.
Dallo Yale Cancer Center, però, arrivano buone notizie da uno studio che sta cercando di individuare i gruppi di persone maggiormente a rischio.
James Farrell, direttore dello Yale Center for Pancreatic Diseases, spiega: “Siamo molto impegnati per cambiare le cose e crediamo che i progressi più significativi si avranno migliorando la diagnosi precoce”.
Il team guidato da Farrell si è concentrato su 3 fattori di rischio per battere il cancro sul tempo: "Il primo gruppo è formato da quelli che hanno una storia familiare di malattia o sono portatori di una mutazione che li espone a un rischio maggiore", ha spiegato Farrell: "Su queste persone eseguiamo regolarmente esami di diagnostica per immagini e test del sangue alla ricerca di marcatori che aiutino a scoprire il tumore appena si sviluppa".
Molto più grande è il secondo gruppo, quello di chi soffre di cisti pancreatiche, la maggior parte delle quali non evolverà in tumore. In alcuni casi, però, è ciò che avviene.
“È in corso una ricerca per trovare nuovi biomarcatori tumorali nel sangue o nelle cisti”, ha aggiunto l'oncologo. Il terzo gruppo è costituito dalle persone che si ammalano di diabete di tipo 2 intorno ai 50 anni. C'è un meccanismo che lega le due malattie, e i ricercatori stanno cercando di capirlo: “Questa associazione potrebbe essere presente anche tre anni prima che a un paziente venga diagnosticato il tumore", spiega Farrell.
Tutto ciò potrebbe aiutare ad abbattere i tempi della diagnosi e si tradurrebbe in un presumibile aumento significativo del tasso di sopravvivenza. “C'è più di una ragione per cui la prognosi è spesso infausta”, commenta al Corriere della Sera Stefano Cascinu, direttore del Cancer Center del San Raffaele di Milano: “Certamente la diagnosi tardiva è fondamentale, ma c'è anche il fatto che questo tumore ha una biologia e un'anatomia particolare”.
Il pancreas è vicino a vasi sanguigni importanti, quindi anche la presenza di una piccola lesione può essere decisiva. La probabilità che le cellule cancerose siano entrate in circolo e che si siano formate metastasi è del 30%. “Dobbiamo cercare pazienti con tumori di un centimetro al massimo, ma oggi in oltre il 90% dei casi al momento della diagnosi il centimetro è superato”.
“Da un anno e mezzo circa abbiamo capito che anche la familiarità per tumore del pancreas è sorretta dai geni BRCA 1 e 2 e che, come risulta da un'analisi italiana condotta al San Raffaele, il 7-8% dei pazienti con tumore pancreatico è portatore di queste mutazioni”, continua l'oncologo: “Quando individuiamo nuclei familiari con queste mutazioni dovremmo approfondire le indagini, non solo per il carcinoma mammario e ovarico, ma anche per il pancreas. Poi ci sono tutti i pazienti con alterazioni dell'organo, per esempio tutti quelli che hanno pancreatiti autoimmuni o pancreatiti familiari che, in quanto fenomeni infiammatori, possono predisporre allo sviluppo di questa forma di cancro. Anche questi pazienti vanno studiati attentamente e con specifici programmi di diagnosi”.
C'è infine il nesso tra diabete e tumore: “Sappiamo da tempo che quando le due patologie sono associate, il diabete si manifesta da sei mesi a un anno prima del tumore. E per questo, quando ci imbattiamo in un 50enne che sostanzialmente non ha fattori di rischio, né uno stile di vita sedentario e magari è anche magro, dovremmo sempre studiare il suo pancreas, perché è probabile che ci sia anche un tumore sottostante, che però verrà diagnosticato un anno dopo o anche più di un anno dopo, in fase ormai avanzata”.
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