Il valore della troponina in calo o in aumento non ha la stessa capacità predittiva dell'infarto miocardico. Il valore predittivo nel sospetto di infarto a 1 e 3 ore è molto inferiore nei pazienti con troponina in calo (FP) rispetto a quelli con troponina in aumento (RP). I primi, di conseguenza, hanno un rischio molto più alto di infarto miocardico e di morte.
È la conclusione di uno studio pubblicato sul Journal of American Heart Association firmato da Johannes Neumann, cardiologo presso l'Heart and Vascular Center all'University Medical Center Hamburg-Eppendorf di Amburgo in Germania. «Gli algoritmi diagnostici basati sulla troponina cardiaca ad alta sensibilità (hs-cTn) sono di uso comune nei pazienti con sospetto infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST, e nonostante rispecchino la lesione miocardica in fasi diverse, valori di FP e di RP sono spesso considerati allo stesso modo», scrivono gli autori che hanno confrontato l'efficienza dei protocolli diagnostici per troponina in aumento o in calo separatamente.
Sono stati selezionati 3.523 pazienti con sospetto infarto miocardico nei quali sono stati campionati separatamente la troponina I (hs-cTnI) e la troponina T (hs-cTnT) stratificandone i valori in stabili, in calo (FP) e in aumento (RP), confrontando i valori predittivi positivi per infarto miocardico a 1 ora e a 3 ore secondo i criteri della Società Europea di Cardiologia.
I dati sono stati illuminanti: anche se i livelli di troponina sono presi in considerazione allo stesso modo quando in calo o in aumento, in realtà il valore predittivo positivo per infarto miocardico è risultato significativamente ridotto nei pazienti con valori di troponina in calo rispetto a quelli con troponina in aumento.
«In altri termini, i pazienti con pattern FP avevano una prognosi peggiore rispetto a quelli con pattern RP in termini di mortalità e rischio di infarto del miocardio durante il follow-up. Un dato che dovrebbe indurre i medici a eseguire un iter diagnostico esteso nei casi di calo della troponina e incertezza della diagnosi finale», conclude Neumann.
Fonte: JAHA 2023. Doi: 10.1161/JAHA.122.027166
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