Efficace non solo fino a dieci anni dalla somministrazione. Ma con ogni probabilità (spesso) anche oltre.
Il trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche sembra confermarsi come una possibile opzione terapeutica per i pazienti affetti dalla sclerosi multipla, nella forma più diffusa: quella recidivante-remittente.
Il dato emerge da uno studio svedese pubblicato sulla rivista Journal of Neurology Neurosurgery & Psychiatry, che va a consolidare le conclusioni analoghe già emerse da (poche) altre ricerche.
In questo caso i ricercatori (capofila del lavoro l'Università di Uppsala) hanno testato sicurezza ed efficacia del trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche in un gruppo di 174 pazienti (due terzi di loro erano donne), trattati tra il 2004 (primo caso) e il 2020.
Tutti erano a conoscenza della malattia da almeno tre anni e avevano affrontato almeno due linee terapeutiche: con esiti ritenuti non soddisfacenti. Da qui l'ipotesi di sottoporli al trapianto, con l'obiettivo di valutare l'efficacia della procedura nel garantire il mantenimento dello stato di remissione della malattia in un contesto di pratica clinica e non di sperimentazione, come invece sempre accaduto finora.
Di fatto, un trattamento off-label nella maggior parte dei Paesi occidentali, dove il trapianto non è ancora inserito nella maggior parte delle linee guida per il trattamento della sclerosi multipla.
Le evidenze raccolte nell'ultimo decennio hanno portato invece la Svezia ad allargare i criteri di accesso alla procedura: da trattamento di salvataggio a opportunità anche per i pazienti con malattia attiva (nonostante un adeguato ciclo di cure con la terapia modificante) o con sclerosi multipla recidivante-remittente grave in rapida evoluzione (ed evidenza di attività alla risonanza magnetica).
Come primo endpoint, i ricercatori hanno valutato l'assenza di attività della malattia a cinque anni dal trattamento (rilevata nel 73 per cento dei pazienti) e la mortalità correlata (nessun decesso).
Soddisfacenti pure le risposte ottenute dagli endpoint secondari: tra cui l'assenza di malattia a dieci anni (65 per cento), il tasso annuo di recidive dopo il trapianto (pari a zero nel 79 per cento dei pazienti a due lustri dalla procedura) e la quota di pazienti con un miglioramento significativo della disabilità (rilevata nell'87 per cento dei pazienti, dopo dieci anni) indotta dalla sclerosi multipla.
Risultati assolutamente positivi, che secondo i ricercatori confermano le conclusioni dell'unico studio randomizzato (a differenza di quest'ultimo) condotto per misurare l'efficacia del trapianto autologo di staminali emopoietiche con la terapia modificante (qui i dati pubblicati nel 2019 sul Journal of the American Medical Association).
“I dati pubblicati evidenziano una risposta duratura, ottenibile con un trattamento una tantum rispetto alle terapie immunosoppressiveâ€, è quanto messo nero su bianco dagli autori, coordinati dal neurologo Joachim Burmann.
Rassicurante anche la gestione degli effetti collaterali: a partire dalla neutropenia febbrile (rilevata nel 68 per cento dei pazienti) e dall'aumento rischio di contrarre infezioni virali (13 per cento, ma senza alcun caso di riattivazione di pregresse infezioni da citomegalovirus e virus di Epstein-Barr).
Appena cinque pazienti hanno avuto bisogno del ricovero in terapia intensiva nei tre mesi successivi all'infusione, nessun decesso è stato invece correlato al trapianto.
Molti studi sono attualmente in corso per valutare i rischi correlati all'utilizzo delle cellule staminali (e volti quindi a migliorarne il profilo di sicurezza) e l'efficacia della procedura.
Grazie alla loro versatilità , una volta prelevate dai tessuti che le contengono, le staminali possono essere stimolate in laboratorio (in vitro) per crescere, proliferare e differenziarsi. Per poi essere trapiantate - raggiunta una quantità sufficiente per il successo della procedura terapeutica - con un'iniezione endovena o attraverso più complesse e mirate a concentrare le cellule in un particolare organo.
I trattamenti con cellule staminali già approvati e disponibili riguardano la terapia delle neoplasie ematologiche (leucemie, linfomi, mielomi) e di altre malattie del sangue ereditarie.
Ma la comunità scientifica guarda con grande interesse anche alla possibilità di trattare malattie autoimmuni come la sclerosi multipla, in cui la somministrazione delle staminali potrebbe determinare un beneficio con un meccanismo d'azione (immunosoppresione, neuroprotezione, riemielinizzazione) ancora da definire con certezza.
Nella ricerca di nuovi possibili trattamenti con le staminali per la sclerosi multipla, sono tre i filoni di ricerca aperti. Il primo - che è anche quello che finora ha dato i risultati migliori, come dimostra l'ultimo lavoro - è quello che riguarda le potenzialità delle cellule staminali emopoietiche.
Un dato pressoché analogo a quello riportato dai ricercatori lo avevano pubblicato nel 2021 anche i colleghi italiani degli Irccs ospedale San Raffaele di Milano e Policlinico San Martino di Genova sulla rivista Neurology, anche se in quel caso la forma di sclerosi multipla trattata era quella progressiva.
Altri due filoni riguardano invece il possibile uso delle cellule staminali mesenchimali (estratte dal midollo osseo e destinate a dare origine a muscoli, ossa, cartilagini e tessuto connettivo) e di quelle neurali (derivate dal sistema nervoso centrale). Nel primo caso, però, i risultati finora ottenuti non sono stati molto incoraggianti.
Mentre sembra essere partita al meglio la ricerca sulle staminali neurali. Al San Raffaele si è conclusa la fase 1 della sperimentazione sui pazienti con sclerosi multipla progressiva avanzata.
I clinici stanno ora lavorando al disegno dello studio di fase 2, nel quale verranno arruolati più pazienti e il cui obiettivo sarà la conferma dei dati di efficacia.
Fonte: AboutPharma
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