Alzheimer, la stimolazione magnetica funziona

Rallenta la progressione della malattia migliorando i sintomi

È efficace il trattamento di stimolazione magnetica transcranica nelle persone affette da Alzheimer. Lo dimostra per la prima volta pienamente uno studio congiunto di Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma, Università di Ferrara e Università di Tor Vergata di Roma.
I dati sono relativi a uno studio di fase 2 realizzato su 50 pazienti per 6 mesi. "Il nostro è il primo studio in cui si utilizza la stimolazione cerebrale non invasiva nell'Alzheimer con lo scopo di rallentare la progressione della malattia", dice Giacomo Koch, professore ordinario di Fisiologia all'Università di Ferrara, direttore del laboratorio di Neuropsicofisiologia sperimentale al Santa Lucia di Roma e primo autore della pubblicazione. "Abbiamo dimostrato che applicando per 6 mesi la stimolazione magnetica transcranica si ottiene un effetto che non solo è sovrapponibile a quello dei farmaci, ma lo supera. Rallentare la malattia nell'arco di 6 mesi, è un risultato davvero importante".
I 50 pazienti con Alzheimer di grado lieve-moderato sono stati divisi in due gruppi in maniera casuale. Al primo è stata applicata la Tms per 6 mesi con frequenza settimanale, al secondo una stimolazione placebo.
I pazienti del primo gruppo hanno mostrato punteggi molto migliori degli altri in una serie di scale cliniche che misurano le funzioni cognitive, soprattutto nella scala clinica Clinical Dementia Rating-Sum of Boxes, quella utilizzata nei trial clinici che studiano i farmaci anti-amiloide contro l'Alzheimer. Rispetto al gruppo di controllo, i pazienti del primo gruppo hanno ottenuto una riduzione di circa l'80% nella progressione dei sintomi della malattia.
“Per sei mesi - riprende Koch - le scale che misurano l'autonomia della vita quotidiana sono rimaste sostanzialmente invariate nei pazienti trattati con Tms, mentre sono peggiorate in quelli sottoposti a stimolazione placebo. In pratica noi abbiamo visto l'effetto della stimolazione cerebrale non invasiva sulla malattia nella sua interezza: a livello clinico, perché l'attività cognitiva dei pazienti si stabilizzava, ma anche a livello quotidiano. Era la loro vita di tutti i giorni che migliorava".
La stimolazione magnetica transcranica agisce sulla plasticità sinaptica, il meccanismo alla base della formazione della memoria che progressivamente viene danneggiato dalla malattia.
I campi magnetici attraversano il cervello in maniera non invasiva e per il principio dell'elettromagnetismo, quando questi stimoli arrivano a livello dei neuroni inducono un campo elettrico che ri-attiva le cellule danneggiate dagli accumuli tossici.
I ricercatori hanno concentrato la Tms sul precuneo, regione del cervello che svolge un ruolo chiave nei processi di memoria e consapevolezza. "Noi abbiamo visto - riprende Koch - che trattando con Tms questa regione che viene danneggiata dall'accumulo della sostanza amiloide e degli aggregati di proteina tau, grazie alla plasticità cerebrale e alla elevata interconnessione del cervello, gli effetti positivi del trattamento si estendono anche ad altre aree dello stesso network".
Per individuare in maniera precisa e personalizzata i parametri della stimolazione, i ricercatori hanno utilizzato una combinazione di Tms elettroencefalogramma (Tms-eeg) e di un sistema di neuro-navigazione. In questo modo hanno potuto definire con precisione per ogni singolo paziente i confini della regione bersaglio e l'intensità giusta di campo elettromagnetico. "Questo della personalizzazione è un elemento importante - riprende Koch - perché i farmaci sono una pillola uguale per tutti, la Tms è un esempio di medicina personalizzata, si può modulare".
Grazie alla Tms-eeg i ricercatori hanno monitorato anche l'attività cerebrale come biomarcatore di risposta alla terapia, cioè come indicatore di efficacia della cura. Al termine dei 6 mesi i pazienti trattati con Tms mostravano un aumento dell'attività oscillatoria nella banda gamma, vale a dire che nel loro cervello si era rafforzato un circuito fondamentale per le funzioni cognitive come apprendimento e memoria.
"Questi risultati sono particolarmente rilevanti perché sono stati ottenuti in una popolazione di pazienti di fase lieve-moderata, in cui il declino cognitivo avanza più rapidamente ed è meno responsivo ai farmaci", ha detto Alessandro Martorana, professore associato all'Università di Roma Tor Vergata e coautore dello studio. "Inoltre - ha aggiunto Martorana - la terapia è stata ben tollerata e non si sono osservati seri eventi avversi per i pazienti trattati con Tms per sei mesi. Un fatto che rende questa terapia particolarmente sicura nei pazienti con Alzheimer, una popolazione fragile e ad alto rischio che presenta molteplici comorbidità".
"Crediamo che la stimolazione magnetica transcranica si potrebbe utilizzare in futuro sia da sola in combinazione - conclude Koch - potenziando gli effetti di altri farmaci che sono in fase di sviluppo e che, anche loro, mirano alla plasticità sinaptica. Oppure si potrebbe applicare in sinergia con molecole che hanno altri target, come gli anticorpi monoclonali, che mirano agli accumuli tossici di beta-amiloide e di tau".

25/10/2022 14:40:00 Andrea Sperelli


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