Le due fasi dell'Alzheimer

Alla prima fase lenta segue una seconda fase distruttiva

La malattia di Alzheimer si insinua lentamente nel cervello prima di manifestarsi in tutta la sua distruttività. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Neuroscience da un team coordinato dai neuropatologi Mariano I. Gabitto e Kyle J. Travaglini dell'Allen Institute for Brain Science di Seattle.
«Una delle maggiori sfide nella diagnosi e nel trattamento dell'Alzheimer è che gran parte dei danni al cervello si verifica ben prima che si manifestino segni e sintomi. La capacità di rilevare questi cambiamenti precoci significa che, per la prima volta, si potrà vedere cosa sta accadendo al cervello di una persona durante i primi periodi della malattia e capire se questa persona ha imboccato il binario della demenza alzheimeriana», afferma Richard J. Hodes, direttore del National Institute on Aging USA. «I risultati di questa ricerca modificano in modo radicale le convinzioni degli scienziati su come la malattia di Alzheimer danneggia il cervello e guideranno lo sviluppo di nuovi trattamenti per questo disturbo devastante».
Per lo studio i ricercatori hanno analizzato il cervello di 84 donatori deceduti all'età media di 88 anni. Dai risultati emerge che il danno al neurone inibitorio durante la fase iniziale può scatenare le alterazioni del circuito neurale alla base della malattia.
Grazie ad avanzati strumenti di analisi genetica i ricercatori hanno studiato le cellule del giro temporale medio, una parte della corteccia cerebrale che controlla il linguaggio, la memoria e la vista. Hanno così scoperto che il giro è suscettibile ai cambiamenti che si osservano nei casi di Alzheimer. Grazie al confronto fra i dati dei donatori e quelli dei malati di Alzheimer è stato possibile creare una cronologia genetica e cellulare di quanto accade durante la malattia.
Secondo i dati ottenuti, la malattia modifica il cervello in due tempi diversi, con la maggior parte dei cambiamenti che riconosciamo come tipici che si concentrano nella seconda fase.
Durante la prima fase, infatti, i cambiamenti si verificano in maniera graduale e silenziosa, in particolare l'accumulo di placche amiloidi, l'attivazione del sistema immunitario, i danni all'isolamento cellulare che aiuta i neuroni a inviare segnali e la morte di cellule chiamate «neuroni inibitori della somatostatina».
Proprio quest'ultima scoperta ha sorpreso più di tutto i ricercatori. Secondo la dottrina tradizionale, l'Alzheimer ha l'effetto di danneggiare soprattutto i neuroni eccitatori, cioè quelli che inviano i segnali utili ad attivare altre cellule. Secondo il nuovo studio, invece, la perdita di neuroni inibitori della somatostatina potrebbe innescare i cambiamenti nei circuiti neurali del cervello che sono alla base della malattia.
Un recente studio separato di mappatura del cervello compiuto dalla Brain Initiative dei NIH ha scoperto che un gene chiamato REELIN potrebbe essere associato alla vulnerabilità di alcuni neuroni all'Alzheimer. Dallo studio emerge anche che gli astrociti - le cellule cerebrali a forma di stelle - potrebbero fornire una sorta di protezione al danno causato dalla malattia.
«Questa ricerca dimostra quanto potenti nuove tecnologie stiano cambiando il nostro modo di comprendere malattie come l'Alzheimer. Con questi strumenti, gli scienziati sono stati in grado di rilevare i primi cambiamenti cellulari nel cervello per creare un quadro più completo di ciò che accade durante l'intero corso della malattia», afferma il direttore della BRAIN Initiative John Ngai. «Le nuove conoscenze fornite da questo studio potrebbero aiutare scienziati e farmacologi in tutto il mondo a sviluppare diagnosi e trattamenti mirati a stadi specifici dell'Alzheimer e di altre demenze».

29/10/2024 11:20:00 Andrea Sperelli


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