Neuroscienziati della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica, Campus di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs hanno scoperto che l'esercizio fisico intensivo potrebbe rallentare il decorso della malattia di Parkinson e hanno anche compreso i meccanismi biologici sottostanti, una scoperta importante che potrebbe aprire la strada a nuovi approcci non-farmacologici.
È il risultato di uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Science Advances che vede coinvolti, oltre all'Università Cattolica, campus di Roma e alla Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS, diversi istituti di ricerca: Università telematica San Raffaele Roma, CNR, TIGEM, Università degli studi di Milano, IRCCS San Raffaele Roma.
La ricerca, resa possibile da finanziamenti da parte del Fresco Parkinson Institute to New York University School of Medicine and The Marlene and Paolo Fresco Institute for Parkinson's and Movement Disorders, del Ministero della Salute e del MIUR (sia relativi al bando PRIN 2017, sia quelli CNR-MUR, due grant differenti), ha individuato un nuovo meccanismo responsabile degli effetti positivi dell'esercizio fisico sulla plasticità cerebrale.
Sebbene questi risultati siano stati ottenuti su un modello sperimentale di malattia, gli autori intravedono importanti implicazioni per il paziente. “La novità del nostro studio - sottolinea il professor Paolo Calabresi, corresponding author dello studio, Ordinario di Neurologia all'Università Cattolica e direttore della UOC Neurologia al Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs - risiede nell'aver scoperto un meccanismo mai osservato prima, attraverso il quale l'esercizio fisico effettuato nelle fasi precoci della malattia induce effetti benefici sul controllo del movimento volontario che possono durare nel tempo anche dopo l'interruzione dell'allenamento. La scoperta - prosegue Calabresi - suggerisce che un'attività fisica intensiva effettuata in maniera regolare è in grado di indurre modificazioni funzionali e strutturali nei neuroni e consente di contrastare gli effetti di eventi che provocano tossicità neuronale. Questo nuovo meccanismo individuato può permettere di identificare nuovi target terapeutici e marcatori funzionali da tenere in considerazione per sviluppare trattamenti non-farmacologici da adottare in combinazione con terapie farmacologiche attualmente in uso”.
Precedenti lavori hanno mostrato che l'attività fisica intensiva si associa a un aumento della produzione di un fattore di crescita fondamentale per la sopravvivenza dei neuroni, il brain-derived neurotrophic factor (BDNF).
In questo studio gli autori hanno osservato lo stesso fenomeno in risposta ad un protocollo di allenamento su tapis roulant e per la prima volta hanno dimostrato il meccanismo attraverso cui questo fattore neurotrofico agisce nel determinare gli effetti benefici dell'attività fisica a livello cerebrale e quindi comportamentale.
Quindi gli esperti hanno dimostrato che un protocollo di esercizio fisico della durata di quattro settimane può rallentare la progressione di malattia in un modello animale di Parkinson in fase iniziale (ottenuto con la somministrazione intracerebrale di alfa-sinucleina umana, una proteina che nella sua forma aggregata ha un ruolo importante nella malattia).
Lo studio, che vede come principali autrici le dottoresse Gioia Marino e Federica Campanelli, ricercatrici della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica, campus di Roma, ha utilizzato diverse tecniche per misurare un effetto neuroprotettivo dell'esercizio fisico sul comportamento motorio e sulla cognizione visuo-spaziale.
L'effetto principale, osservato in risposta all'allenamento giornaliero su tapis roulant per quattro settimane, è stato la riduzione della diffusione degli aggregati patologici di alfa-sinucleina, che nella malattia di Parkinson porta alla graduale e progressiva degenerazione delle cellule nervose di alcune aree cerebrali (la sostanza nera pars compacta e lo striato - la cosiddetta via nigrostriatale), deputate al controllo del movimento.
L'effetto neuroprotettivo dell'attività motoria è associato alla sopravvivenza dei neuroni che rilasciano il neurotrasmettitore dopamina e alla capacità dei neuroni del nucleo striato di continuare a svolgere la loro funzione, aspetti altrimenti compromessi dalla malattia.
Anche il controllo motorio e l'apprendimento visuo-spaziale, funzioni dipendenti dall'attività nigrostriatale, risultano intatte negli animali sottoposti ad allenamento intenso.
I neuroscienziati hanno anche scoperto che il BDNF, che aumenta con l'esercizio fisico, interagisce con il recettore NMDA per il glutammato, consentendo ai neuroni dello striato di rispondere agli stimoli in modo efficace, con effetti che perdurano nel tempo anche oltre l'interruzione dell'esercizio fisico.
Per quanto riguarda i possibili sviluppi di questa ricerca il professor Paolo Calabresi aggiunge che: “il nostro gruppo di ricerca è coinvolto in uno studio clinico per verificare se l'esercizio fisico possa rallentare la progressione della malattia di Parkinson nei pazienti in fase precoce e individuare nuovi marcatori in grado di seguire il decorso della patologia. Considerato che la malattia di Parkinson è caratterizzata da una importante componente neuroinfiammatoria e neuroimmune, che riveste un ruolo chiave nelle prime fasi della malattia, la ricerca proseguirà grazie all'apporto determinante dei modelli animali, che ci permetteranno di indagare anche il coinvolgimento delle cellule della glia, popolazioni cellulari che supportano l'attività dei neuroni, oltre a essere implicate nella risposta immunitaria. Ciò consentirà di identificare meccanismi molecolari e cellulari alla base degli effetti benefici osservati”.
Anche secondo uno studio olandese su 4.000 pazienti alcuni tipi di sport avrebbero l'effetto di ridurre i sintomi di Parkinson. Le attività indicate sono la danza, lo yoga, il nordic walking, il nuoto e il Qigong.
«Oggi lo sport è da considerarsi imprescindibile nella cura della malattia di Parkinson» spiega al Corriere della Sera Michele Tinazzi, Presidente della Società italiana Parkinson e disordini del movimento (LIMPE - DISMOV). «Tanto che nella nostra Società abbiamo istituito una commissione Esercizio fisico e sport».
«Un primo importante studio randomizzato e controllato in doppio cieco, realizzato da ricercatori olandesi, ha confrontato due gruppi di persone in fase inziale-intermedia di malattia che per sei mesi hanno praticato esercizio aerobico a domicilio su bici da spinning per 45 minuti, almeno tre volte alla settimana (gruppo di intervento aerobico), oppure stretching (gruppo di controllo attivo)», spiega Tinazzi. «I dati raccolti hanno dimostrato che nel gruppo di intervento aerobico i sintomi motori erano significativamente migliorati rispetto all'altro gruppo. Quindi l'esercizio fisico di tipo aerobico consentirebbe alle persone affette da Parkinson di ottenere benefici per la salute, con una ridotta incidenza di malattie cardiovascolari, minore mortalità e migliore metabolismo osseo. Sembra, inoltre, che i miglioramenti riscontrati siano maggiori dopo un allenamento ad alta intensità rispetto a quello a intensità moderata. Questo tipo di azione terapeutica viene oggi definita Attività fisica adattata, programmi di esercizi fisici calibrati per le condizioni funzionali delle persone a cui sono destinati, e che sono eseguiti in gruppo sotto la supervisione di un professionista dotato di specifiche competenze. L'attività è svolta in strutture di natura non sanitaria, per migliorare non solo il livello di attività fisica, ma anche il benessere e la qualità della vita. Per le fasi più avanzate della malattia l'attività va adattata e differenziata ancora di più da persona a persona, perché probabilmente alcuni tipi di esercizi iniziano a risultare più complessi e difficili da eseguire.»
Alcune attività in particolare sembrano produrre migliori effetti. «Ad esempio il ballo è un esercizio ottimale per i sintomi motori generali, il nordic walking è più efficace per la mobilità e l'equilibrio, il Qigong migliora la destrezza manuale», dice ancora Tinazzi. «Efficaci anche danza, yoga, allenamento multimodale, allenamento acquatico ed exergaming, un'attività fisica connessa a videogiochi. Nuoto, ciclismo, boxe e Tai chi offrono una combinazione di esercizio cardiovascolare, rafforzamento muscolare, allenamento della coordinazione e impegno mentale. Qualche esempio pratico di allenamento: pedalare su bici da spinning o cyclette per 30-45 minuti almeno tre volte alla settimana; praticare nordic walking per 60 minuti due o tre volte alla settimana; seguire lezioni di danza, in particolare di tango argentino, per un'ora due volte alla settimana; fare esercizi in acqua, in sessioni di 45-60 minuti, tre volte alla settimana; svolgere esercizi di stabilizzazione passiva e attiva del tronco, per 30 minuti al giorno, cinque giorni a settimana».
Secondo un'altra ricerca, svolgere un'attività fisica consentirebbe alle donne di ridurre del 25% il rischio di sviluppare il Parkinson. A dimostrarlo sono i dati di un nuovo studio pubblicato su Neurology da un team dell'Università Saclay di Parigi, dell'Ospedale universitario Salptrière e dell'Università di Bordeaux.
L'analisi ha coinvolto 95.354 donne con età media di 49 anni che non avevano il Parkinson quando è iniziata la ricerca. I ricercatori hanno preso in esame l'esercizio fisico delle partecipanti per tre decenni, includendo sport, cammino, bicicletta, giardinaggio, salire le scale e pulire la casa.
Nei successivi 30 anni, 1.074 donne hanno sviluppato la malattia. Dai dati emerge che all'aumento del livello di esercizio fisico corrisponde una riduzione proporzionale del rischio di Parkinson. Le donne che facevano più esercizio hanno mostrato un rischio di sviluppare la malattia inferiore del 25% rispetto a quelle più sedentarie. Secondo i ricercatori, dunque, «l'attività fisica può aiutare a prevenire o ritardare l'insorgenza della malattia».
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso, causando tremori, rigidità muscolare e problemi di andatura ed equilibrio, oltre a disturbi del sonno, depressione, stanchezza e deficit di memoria. A causare i sintomi è in genere l'insufficiente produzione di dopamina. Nonostante al momento non esista una cura, lo studio conferma l'importanza dell'esercizio fisico per il miglioramento delle funzioni cognitive, della qualità del sonno e della qualità di vita in generale.
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