Anoressia e Bulimia -
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Anoressia e Bulimia
Di riccardosimoni (del 24/10/2013 @ 14:01:38, in Lettera A, visto n. 1203 volte)


Psichiatra Firenze ANORESSIA E BULIMIA: I DISTURBI PSICOPATOLOGICI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE Aspetti anatomo-fisiologici della fame e della sazietà. Perché mangiamo? Perché abbiamo fame! è la risposta immediata, oltremodo ovvia, degna degli scudieri del cavaliere di La Palice, “che se non fosse morto, sarebbe ancora vivo”. In realtà le ragioni che ci portano a mangiare sono numerose e tra loro interconnesse: fattori di tipo genetico, biologico, psicologico, familiare e sociale concorrono a creare le nostre abitudini alimentari e di vita, tanto che la alimentazione rappresenta un comportamento complesso all’interno di una rete di motivazioni. Nel 1940 Hertherington e Ranson descrivono un “doppio centro” della fame e della sazietà all’interno dell’ipotalamo: due zone circoscritte, scoperte tramite studi di lesione su animali. Sperimentalmente piccole lesioni anatomiche a livello dell’ ipotalamo laterale provocavano grave diminuzione del desiderio di cibo, anoressia e deperimento. In maniera speculare, provocando lesioni a livello dell’ipotalamo mediale, si verificava la comparsa di alimentazione eccessiva e obesità. Si è quindi ipotizzato che nell’ipotalamo laterale risiedesse il centro della fame e nell’ipotalamo ventromediale il centro della sazietà. Dall’ipotesi del “doppio centro” giungiamo oggi all’attuale modello “dinamico” anatomofisiologico: le sensazioni di fame e sazietà si generano e si modulano all’interno di un sistema omeostatico complesso organizzato a rete, con numerosi nodi di interscambio e altrettanti meccanismi di autoregolazione. La “centralina” di tale network, fondamentale ai fini della traduzione dei segnali periferici e loro elaborazione e la integrazione di risposte omeostatiche è la area ièpotalamica : la moderna neurobiologia considera l’ipotalamo l’area privilegiata ai fini della regolazione dei comportamenti motivati, quindi, tra i comportamenti motivati primari, la regolazione del comportamento alimentare. La natura ci ha dotato, inoltre, di un “programma” per resistere con grande efficienza alla carestiapiù che alla iperalimentazione: gli individui in grado di ripristinare, accumulare e conservare con facilità le riserve energetiche sono dotati di un adattamento decisamente migliore in termini di evoluzione per la sopravvivenza. L’ipotesi secondo la quale il Sistema Nervoso Centrale tiene sotto controllo la quantità di grasso corporeo e agisce per conservare un giusto livello di riserve energetiche viene definita “ipotesi lipostatica” descritta da Kennedy nel 1953. Dati sperimentali successivi su topi geneticamente obesi ob/ob, carenti di una proteina non identificata, suggeriscono l’ipotesi di una comunicazione omeostatica tra il SNC e tessuto adiposo. Friedmann e Halaas nel 1998 identificano la proteina sintetizzata dal gene ob: è l’ormone leptina ( dal greco “leptos”, sottile) secreto dalle cellule adipose e in grado di regolare a feedback negativo la massa grassa corporea agendo direttamente sui neuroni dell’ipotalamo. In sostanza, la leptina è il “messaggero” che informa il nostro SNC della presenza di adeguate riserve energetiche di grasso e che, di conseguenza, innesca una risposta di inibizione dell’alimentazione. La leptina circolante, secreta dagli adipociti, innesca tramite i propri recettori sul niclea arcuato dell’ipotalamo, un meccanismo omeostatico a feedback negativo a cui partecipano anche vari altri peptidi ipotalamici, alcuni ad azione anoressizzante che inibiscono la ricerca di cibo (ormone alfa-melanocita-stimolante o MSH; trascritto e regolato dalla anfetamina e cocaina, CART); altri di tipo oressigeno, che stimolano la ricerca e l’assunzione di cibo (neuropeptide Y, NPY; peptide associato all’Argouti, AgRP). Analizzando la complessità e l’efficienza dei meccanismi di regolamentazione alimentare si capisce quanto sia ingrato il compito del dietologo: pensare di ridurre la propria massa grassa tramite il solo atto volontario del “mangiar meno” rappresenta poco più che una illusione. Tale atto viene interpretato dall’organismo come uno stato di carestia parziale e quindi l’organismo difende le proprie riserve di grasso e cerca in ogni modo di ricostituirle. A complicare ulteriormente la situazione vi sono le risposte multiple che l’organismo mette in atto per difendersi dalle carenze di energia. In effetti, avalle del nucleo arcuato dell’ipotalamo, i peptici anoressizzanti e oressigeni innescano una risposta integrata a tre livelli: 1° livello umorale: attraverso i neuroni ipotalamici del nucleo paraventricolare, si ha una secrezione di TSH e ACTH e di conseguenza una modificazione della attività metabolica di base. In breve: meno mangiamo e più il metabolismo si rallenta per ridurre le perdite energetiche. 2° livello attraverso i neuroni pregangliari del midollo spinale, con aumento dell’attività orto e para-simpatica e conseguente ulteriore modificazione del metabolismo. Ad esempio, se mangiamo poco, aumenta l’attività viscerale parasimpatica deputata alla assimilazione degli alimenti. 3° livello motorio somatico, attraverso l’area ipotalamica laterale , con proiezioni diffuse a livello corticale e conseguente aumento o diminuzione dei comportamenti motivati coscienti per la ricerca del cibo. Quindi, in caso di scarse riserve energetiche, non solo risparmiamo energie con i meccanismi 1° e 2°, ma siamo biologicamente spinti a ricercare e assumere più cibo! Il livello più alto di tipo motorio somatico è fondamentale ai fini della programmazione dei comportamenti alimentari motivati. E’ da sottolineare l’importanza dell’area ipotalamica laterale all’interno della quale sono state identificate due ulteriori sostanze aressigene: l’MCH ( ormone melanina-concentratore) e l’oressina. Dati sperimentali evidenziano come la stimolazione elettrica dell’ipotalamo laterale e l’iniezione intratecale di MCH evocano la stessa risposta: una stimolazione di comportamenti volti alla ricerca di cibo anche in animali sazi.

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