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Di seguito tutti i lemmi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di riccardo (del 16/05/2014 @ 16:57:08, in Lettera E, visto n. 1659 volte)
Detta anche Esoforia, è una deviazione latente dell'asse visivo verso l' interno. E' spesso associata a ipermetropia. Quando si guarda un oggetto collocato a distanza finita, gli assi visivi dei due occhi sono costretti a modificare il loro assetto, da parallelo a convergente sul piano orizzontale fino a formare un angolo con il vertice sull'oggetto osservato. Quanto più vicino si trova l'oggetto osservato, tanto maggiore sarà la rotazione dei due bulbi oculari verso il naso. La rotazione dei bulbi oculari verso il naso è chiamata convergenza e si ottiene attraverso la contrazione dei muscoli estrinseci (oculomotori), in particolare dei retti mediali o interni. In situazioni normali, cioè quando la convergenza dei due assi avviene senza alcuna difficoltà, si ha ortoforia, ossia i due muscoli antagonisti di ogni singolo occhio, che controllano la rotazione dei bulbi oculari sul piano orizzontale, sono fra di loro in equilibrio. Se l' exoforia è di lieve entità e il soggetto possiede una sufficiente riserva fusionale di convergenza, è sufficiente non esagerare con i tempi di utilizzo continuativo della visione da vicino e rassegnarsi a convivere con l' exoforia. Se invece l'affaticamento è tale da non consentire una visione da vicino sufficientemente confortevole, si può ricorrere all'uso di occhiali che oltre alla compensazione del difetto refrattivo (presbiopia, ipermetropia, miopia, astigmatismo) riescono a ridurre di una determinata quantità la richiesta di convergenza, utilizzando opportunamente la correzione prismatica.
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Di riccardo (del 23/05/2014 @ 17:05:49, in Lettera H, visto n. 1768 volte)
Aids (Acronimo di Acquired Immuno Deficiency Syndrome, Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita). Malattia di tipo virale di recente scoperta (San Francisco, 1981). Il virus responsabile dell'aids fu isolato per la prima volta nel 1984 dal francese Montagnier e oggi è chiamato universalmente HIV, acronimo di Human Immunodeficiency Virus. Questo virus gradatamente provoca la distruzione degli anticorpi, predisponendo così l'organismo a infezioni e tumori del sistema linfatico. Si manifesta con infezioni frequenti, gravi anche se causate da agenti non particolarmente patogeni per individui sani. Il quadro clinico contempla linfoadenopatia, febbre, calo di peso. L'infezione da virus si trasmette tramite sangue, sperma e secreto vaginale. Entro qualche mese dal contagio si verifica la sieroconversione, cioè la comparsa di anticorpi inizialmente rivolti verso antigeni del pericapside e poi contro quelli interni. Fa seguito un lungo periodo di tempo che può arrivare anche a molti anni in cui l'individuo sieropositivo rimane del tutto asintomatico, dopodiché a causa dell'attivazione delle cellule che contengono il DNA virale si passa allo stadio di malattia conclamata. Quando un soggetto arriva a questa fase purtroppo non ha speranza, perché non è ancora stata individuata una cura che ne determini la guarigione. Si suppone che il ceppo del virus sia di origine centroafricana. Nel 1998 le persone infette, sieropositivi compresi, erano 30.000.000 ca., con sei contagi al minuto e quattro decessi al minuto. La zona più colpita era l'Africa subsahariana con il 70% degli infetti del mondo (nello Zimbabwe infatti nel 1999 il 25,9% della popolazione era sieropositivo). Nel 1998 in Italia vi erano 14.000 malati, 76.000 sieropositivi (contro gli 890.000 negli USA), con un'età media di trentadue anni. La profilassi tende a eliminare i fattori di rischio, cioè i rapporti anali, la promiscuità, le emotrasfusioni ripetute, lo scambio di siringhe soprattutto tra tossicodipendenti ecc. Il trattamento può essere sintomatico delle complicanze a carico dei vari organi; chemioantibiotico delle infezioni da agenti opportunisti; immunoterapico per cercare di correggere l'immunodeficienza acquisita cellulare e chemioterapico nei casi di neoplasie. Un notevole miglioramento si è registrato nel 1996 con il cocktail di farmaci che viene dosato individualmente utilizzando vari tipi di sostanze. Nel 1998 ha cominciato a essere sperimentato un vaccino su medici volontari statunitensi, mentre altre le ricerche sono svolte nei campi più diversi, dalla terapia genica a nuove sperimentazioni farmacologiche.
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Di Sintomi (del 16/11/2007 @ 18:15:19, in Lettera C, visto n. 2927 volte)
CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA DEL VENTRICOLO DESTRO L’ARVD è una cardiomiopatia, cioè una cardiopatia causata da un’alterazione del miocardio, il tessuto muscolare del cuore. La malattia è dovuta ad un processo di degenerazione del miocardio del ventricolo destro: in seguito alla morte delle cellule muscolari del cuore, il tessuto muscolare viene sostituito da tessuto adiposo e connettivo. Il processo è progressivo e percio’ nel corso del tempo l’area interessata dalla malattia aumenta, fino a coinvolgere tutta la parete del ventricolo destro, che via via si assottiglia. L’ARVD può essere asintomatica per lungo tempo. Il primo campanello di allarme è rappresentato dalla comparsa di aritmie (battiti irregolari) e senso di fatica. A volte le aritmie sono particolarmente gravi e possono essere fatali: spesso i casi di morte improvvisa di giovani atleti sono causati da ARVD, diagnosticata purtroppo solo in seguito all’esame autoptico. L’ARVD è una cardiomiopatia ancora non molto conosciuta e per questo motivo può accadere che non sia prontamente sospettata e diagnosticata. Le varie forme di ARVD: Sulla base dei geni finora localizzati si possono distinguere 6 diverse forme di ARVD, clinicamente molto simili tra loro: ARVD1 (cromosoma 14) ARVD2 (cromosoma 1) ARVD3 (cromosoma 14) ARVD4 (cromosoma 2) ARVD5 (cromosoma 3) ARVD6 (cromosoma 10) Vi e’ poi una forma descritta finora soltanto tra gli abitanti dell’isola di Naxos (Grecia), indicata come forma Naxos. I geni coinvolti nelle forme ARVD1, ARVD2 e ARVD4 sono stati localizzati su cromosomi diversi presso il Laboratorio di Genetica Umana dell’Università di Padova (responsabile prof. G.A.Danieli), grazie a progetti di ricerca finanziati anche da Telethon. I geni finora identificati (non solo localizzati ma noti anche per quanto riguarda le informazioni in essi contenute) sono: il gene responsabile della forma NAXOS che contiene le informazioni necessarie per la produzione di una proteina denominata placoglobina, importante per l’adesione tra cellule; il gene responsabile dell’ARVD2, identificato recentemente grazie ad uno studio multicentrico che ha avuto come protagonista il Laboratorio di Genetica Umana dell’Università di Padova. Questo gene è necessario per la produzione del recettore rianodinico cardiaco (indicato con la sigla RYR2). RYR2 è importante nella regolazione della concentrazione di calcio nelle cellule cardiache e per la corretta trasmissione di eccitazione e contrazione nel muscolo cardiaco. Come si trasmette: Tutte le ARVD eccetto la forma NAXOS hanno eredità autosomica dominante: ciò sta ad indicare che una persona affetta ha un rischio pari al 50% di trasmettere la patologia ai propri figli, indipendentemente dal loro sesso. Il fatto di ereditare il gene alterato non significa necessariamente che si manifestino i sintomi dell’ARVD; in altre parole, le mutazioni che provocano l’ARVD hanno penetranza incompleta. Si stima che una persona che possiede una copia del gene mutato abbia una probabilità pari al 70% di manifestare la patologia. Si ritiene che persone coinvolte in attivita’ sportive abbiano maggiore probabilità di manifestare sintomi clinici, qualora siano portatori del difetto genetico. La forma NAXOS è caratterizzata dall’associazione della cardiomiopatia aritmogena a cheratoderma palmoplantare e capelli lanosi e presenta eredità autosomica recessiva: le persone affette presentano mutazioni in entrambe le copie del gene responsabile e la probabilità di trasmissione della malattia alla discendenza è legata all’unione con un'altra persona malata o portatrice sana. La diagnosi: La diagnosi corretta può essere posta solo dopo avere eseguito con accuratezza specifici esami strumentali (elettrocardiogramma, ecocardiografia, risonanza magnetica). Non essendo ancora note le mutazioni che causano le diverse forme di ARVD (tranne che per la forma NAXOS), non è possibile eseguire l’analisi diretta del DNA per identificare la mutazione che causa la malattia. In alcuni casi è possibile effettuare un’analisi sulle famiglie in cui è presente una persona affetta da ARVD. Lo studio genetico viene eseguito utilizzando numerosi marcatori su cromosomi diversi ed analizzando contemporaneamente campioni di DNA di più soggetti (affetti e non affetti) della famiglia: in un primo tempo l’analisi ha lo scopo di individuare quale cromosoma sia associato all’ARVD in quella specifica famiglia; successivamente l’analisi è in grado di identificare i soggetti che sono a rischio di manifestare la patologia. Ciò consente di sottoporre le persone a rischio agli opportuni accertamenti clinici e strumentali. Al momento l’analisi genetica nelle famiglie affette da ARVD ha carattere di ricerca e non viene utilizzata a scopo diagnostico. Solo quando saranno noti i geni e le mutazioni che causano le diverse forme di ARVD, sarà possibile eseguire l’analisi del DNA per diagnosticare la malattia e sarà quindi possibile eseguire anche diagnosi prenatale.
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Di medicinasalute (del 06/12/2011 @ 18:09:48, in Lettera A, visto n. 5298 volte)
Forma più comune di Alzheimer, si manifesta nei soggetti dopo i 65 anni e maggiormente negli individui oltre gli 85 anni. Questa patologia ha una propensione ereditaria.
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Di medicinasalute (del 06/12/2011 @ 18:13:48, in Lettera A, visto n. 5332 volte)
Vedi malattia di Alzheimer a insorgenza tardiva.
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Di medicinasalute (del 06/12/2011 @ 18:48:29, in Lettera A, visto n. 5419 volte)
Glicogenosi di tipo IV indotta dall’ assenza dell’ amilo-1,4-1,6-transglucosidasi, enzima ramificante. Č caratterizzata da ipoevolutismo somatico, cirrosi, epatosplenomegalia, ascite e ipostenia muscolare. Provoca la morte per insufficienza epatica
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Di Sintomi (del 16/09/2007 @ 18:20:43, in Lettera A, visto n. 11560 volte)
E' una malattia genetica del sangue, caratterizzata da anemia cronica (scarsità di globuli rossi e di emoglobina) e da episodi dolorosi più o meno frequenti in varie parti del corpo, causati dall'occlusione dei vasi sanguigni. L'AF prende il nome dalla forma "a falce" che assumono i globuli rossi dei malati, ed è particolarmente frequente nelle regioni del mediterraneo (soprattutto in Africa). Come si manifesta: L'AF non ha un decorso clinico uguale per tutti: alcune persone affette mostrano sintomi molto lievi, mentre altre mostrano disturbi anche molto gravi. I disturbi principali causati dall'AF sono: Anemia cronica. I globuli rossi che contengono emoglobina S vengono distrutti molto prima di quelli normali. Mentre la vita media di un globulo rosso normale è di circa 120 giorni, quella dei globuli "falciformi " non supera in genere i 20 giorni. Questo causa una penuria di globuli rossi, e quindi anemia (con senso continuo di fatica, pallore, "fiato corto" etc..) Infezioni. I globuli rossi vengono ditrutti soprattutto nella milza, che può così risultare danneggiata. La milza ha un ruolo importante anche nel proteggere l'organismo dalle infezioni, ed è per questo che per le persone affette da AF (specialmente i bambini) alcune infezioni batteriche possono risultare molto pericolose. Dolori alle mani e ai piedi (dactilite -hand-foot syndrome-). Dolori e tumefazioni del dorso delle mani e dei piedi (dactilite) sono causati dall'occlusione dei capillari da parte dei globuli rossi alterati. Spesso questo è uno dei primi sintomi dell'AF nei bambini. Dolori improvvisi. L'occlusione dei capillari può avvenire in modo imprevedibile in qualunque parte del corpo, bloccando l'afflusso di sangue agli organi colpiti. La frequenza di queste "crisi" è molto variabile: in alcuni pazienti sono rare (meno di una volta all'anno), mentre altri possono averne anche 15 o più in un anno. Il dolore può durare poche ore oppure diverse settimane e può richiedere un ricovero ospedaliero. I dolori sono la manifestazione più frequente dell'AF. Sindrome polmonare acuta. E' una delle complicazioni più pericolose dell'AF, simile ad una polmonite, causata dall'infiltrazione di gloguli rossi nei polmoni o da infezioni polmonari. Nel peggiore dei casi, questa manifestazione può anche risultare letale. Ictus. E' un rischio possibile, a causa dell' occlusione dei capillari che portano il sangue al cervello. Le cause: L'AF, come le talassemie, è causata da alterazioni nel gene che dirige la produzione dell'emoglobina, una grossa proteina contenuta nei globuli rossi, la cui funzione è quella di catturare l'ossigeno dai polmoni e trasportarlo nei diversi tessuti. L'emoglobina raccoglie anche l'anidride carbonica prodotta nei tessuti e la trasporta ai polmoni, dove viene eliminata. L'emoglobina è costituita da 4 catene proteiche più piccole (chiamate sub-unità). Negli adulti ogni molecola di emoglobina contiene 2 subunità dette di tipo alfa e 2 subunità dette di tipo beta. Nella AF le alterazioni colpiscono la subunità di tipo beta, e danno origine ad una forma anomala di emoglobina, chiamata emoglobina S. Le molecole di emoglobina S tendono facilmente ad aggregarsi fra loro, formando dei microscopici filamenti all'interno del globulo rosso. A causa di ciò, i globuli rossi diventano rigidi ed assumono la caratteristica forma "a falce" - o a mezzaluna- invece della forma normale a disco. Questi globuli rossi sono incapaci di scorrere normalmente all'interno dei capillari (vasi strettissimi dove i globuli rossi normali passano proprio grazie alla loro elasticità) e quindi tendono a bloccarsi, causando "ingorghi" nella circolazione. Come si trasmette: L'AF si trasmette geneticamente con una modalità chiamata autosomica recessiva. In altre parole, un individuo presenta i sintomi della malattia solo se possiede un'alterazione in entrambe le copie del gene per l'emoglobina beta che possiede. Chi invece ha una copia del gene normale e una alterata è un portatore sano e non presenta alcun sintomo. Questo significa che un bambino malato può nascere solo se entrambi i genitori sono portatori sani dell'alterazione genetica che provoca la malattia. Una coppia di portatori sani avrà una probabilità del 25%, ad ogni gravidanza, di concepire un figlio o una figlia malati, del 50% di avere un figlio o una figlia portatori sani, del 25% di avere un figlio o una figlia sani e non portatori. Per le coppie in cui uno dei partner appartenga ad una famiglia a rischio, un colloquio con un consulente genetista è indispensabile per valutare le possibilità di dare alla luce figli affetti dalla malattia. I portatori sani sono facilmente identificabili con un esame del sangue ed è anche possibile effettuare la diagnosi prenatale. Esiste una terapia: Attualmente, nessuna terapia è in grado di risolvere completamente i problemi e i rischi causati dall'AF. Tuttavia, molti trattamenti si sono evoluti negli ultimi anni ed hanno portato ad un sensibile miglioramento delle condizioni di vita delle persone affette da AF: Farmaci antidolorifici sono utili per sedare le crisi di dolore più o meno frequenti; il trattamento preventivo con antibiotici fin dalla prima infanza permette di limitare i rischi di infezione; regolari trasfusioni di sangue possono aumentare il numero di globuli rossi normali, limitando i problemi alla milza e il rischio di complicanze; una nutrizione adeguata, il riposo e una vita sana contribuiscono a limitare gli effetti della malattia; Il trattamento con un farmaco chiamato idrossiurea, sperimentato già dal 1995, ha dato risultati molto positivi, ed è oggi utilizzato dagli specialisti per trattare le persone affette da AF. Si tratta di un farmaco che da anni viene usato come antitumorale. Di recente si è scoperto che questa farmaco ha anche l'effetto di aumentare la produzione di emoglobina fetale (un tipo di emoglobina che normalmente non viene prodotta nell'adulto). La presenza di emoglobina fetale ha l'effetto di "diluire" la quantità di emoglobina S presente nei globuli rossi e di limitare i sintomi della malattia. Anche se gli effetti a lungo termine dell'idrossiurea non sono ancora noti, è dimostrato che il trattamento porta ad una diminuzione delle crisi dolorose e diminuisce sensibilmente il rischio di complicanze; pertanto è stato approvato come trattamento da effettuarsi sotto stretto controllo medico. L'idrossiurea ha effetti collaterali anche gravi e solo uno specialista pratico di AF puòdecidere le modalità del trattamento.
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