Di seguito i lemmi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Tumore maligno derivato dalla trasformazione del cistoma ovarico. Il cistoadenocarcinoma prende origine in larga parte nell'epitelio di rivestimento dell'ovaio (rappresenta la quasi totalità delle neoplasie maligne di quest'organo). Fra i tumori dell'apparato genitale femminile è secondo solo al cancro dell'utero. Colpisce perlopiù donne in età di menopausa: oltre all'età sono considerati fattori di rischio l'assenza di gravidanze, un menarca precoce e una menopausa tardiva. Istologicamente viene classificato in vari sottotipi (sieroso, mucinoso, endometrioide, a cellule chiare, indifferenziato, tumore di Brenner): il tipo sieroso è il più comune (circa i due terzi dei casi) e in quasi la metà delle donne colpite è bilaterale. La neoplasia può raggiungere dimensioni notevoli senza dare sintomi particolari (vago senso di gonfiore addominale, disturbi urinari o gastrointestinali da compressione, raramente alterazioni del ciclo mestruale nelle donne non in menopausa). Di qui la difficoltà di effettuare il più delle volte una diagnosi precoce e tempestiva: quasi sempre la malattia viene scoperta quando ha già raggiunto uno stadio avanzato. Il trattamento dei tumori ovarici è essenzialmente chirurgico: tuttavia la strategia terapeutica globale tiene conto di vari fattori, come il tipo istologico, il grading, e soprattutto lo stadio della malattia. Nel caso di pazienti giovani, desiderose di prole e con cistoadenocarcinoma ai primi stadi si può asportare solo l'ovaio colpito seguendo accuratamente la paziente nel tempo. Nei casi più avanzati è d'obbligo procedere a interventi più demolitivi con asportazione di entrambe le ovaie, dell'utero, dell'omento, e consolidando il risultato chirurgico con cicli di radioterapia e soprattutto con chemioterapia. I risultati migliori sono stati ottenuti utilizzando combinazioni farmacologiche con cisplatino, adriamicina e ciclofosfamide. Attualmente non si intravedono possibilità di prevenzione soddisfacenti: la diagnosi precoce si basa sui frequenti controlli ginecologici.
Infezione acuta o cronica della vescica. Nella maggior parte dei casi, la cistite è riconducibile ad infezioni batteriche da Escherichia coli, in un minor numero di casi è dovuta ad altri batteri come Proteus, Klebsiella Pseudomonas, Staphylococcus saprophyticus e Staphylococcus aureus, ma si verificano anche per infezioni virali o micotiche, da farmaci, da agenti chimici tossici, manovre strumentali, calcoli, tumore alla vescica.
I microrganismi, nella maggior parte dei casi, arrivano a quest'organo per via ascendente, provenendo dall'uretra o dai genitali esterni (la cistite è più frequente nelle femmine, per la maggior brevità dell'uretra e la frequenza di infezioni vulvovaginali). Più raramente l'infezione proviene dal rene o insorge per diffusione dagli organi vicini (appendice, colon ecc.). La vescica ha una notevole resistenza alle infezioni, quindi molto spesso la cistite si manifesta per la presenza di condizioni predisponenti, quali ristagno di urina nella vescica (come nel caso dell'ipertrofia prostatica), corpi estranei (calcoli), diverticoli, diabete. La cistite acuta si manifesta con disturbi quali eccessiva frequenza dello stimolo di urinare, dolore alla parte bassa del ventre (bruciore, crampo o tensione vescicale) o all'orifizio uretrale esterno, febbre (raramente) e malessere generale. Nelle urine è presente pus (piuria) e in alcuni casi sangue. La terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici e di antidolorifici (antispastici, che riducono la contrazione della muscolatura vescicale). È anche importante che il soggetto rimanga a riposo e introduca molti liquidi. La cistite cronica molto spesso è l'esito di una forma acuta trascurata o non curata adeguatamente. La vescica nelle forme croniche può essere ulcerata o indurita e inestensibile, oppure possono formarsi delle escrescenze al suo interno (cistite granulosa, polipoide, follicolare, cistica). Alcuni farmaci usati nella chemioterapia oncologica possono dare origine a cistiti di tipo tossico, che è possibile prevenire con una protezione specifica.
Colpisce con maggiore frequenza le donne poiché la loro uretra è più corta (circa 5 cm) di quella degli uomini (16 cm circa) e quindi è più alto per le donne il rischio di una contaminazione da parte dei batteri fecali che possono più facilmente risalire l'uretra fino alla vescica. Si calcola che circa il 25% delle donne adulte soffre di cistite almeno una volta l'anno.
In particolare, l'incidenza varia con l'età: è molto bassa fino ai 20 anni. La probabilità di cistiti ricorrenti cresce con l'aumentare del numero dei casi precedenti, mentre diminuisce tanto più lungo è stato l'intervallo tra una cistite e l'altra.
I fattori di rischio della cistite nella donna possono essere vari: l'età, i rapporti sessuali (che favoriscono il passaggio di batteri patogeni nella vagina, poi nell'uretra ed infine nella vescica), la stitichezza, l'uso del diaframma e delle creme spermicide. I fattori di rischio per l'uomo sono spesso riconducibili a ipertrofia o a stati infiammatori della prostata.
La cistite è una infiammazione della vescica urinaria, organo dedicato alla raccolta dell'urina.
Nella maggior parte dei casi, la cistite è riconducibile ad infezioni batteriche da Escherichia coli, in un minor numero di casi è dovuta ad altri batteri come Proteus, Klebsiella, Pseudomonas, Staphylococcus saprophiticus e Staphylococcus aureus. Colpisce con maggiore frequenza le donne poiché la loro uretra è più corta (circa 5 cm) di quella degli uomini (16 cm circa) e quindi è più alto per le donne il rischio di una contaminazione da parte dei batteri fecali che possono più facilmente risalire l'uretra fino alla vescica.
Si calcola che circa il 25% delle donne adulte soffre di cistite almeno una volta l'anno. In particolare, l'incidenza aumenta con l'età: è molto bassa fino ai 20 anni, dipende dall'elevata frequenza dell'attività sessuale e con le gravidanze aumenta fino a dopo la menopausa. I fattori di rischio della cistite nella donna possono essere vari: l'età, i rapporti sessuali (che favoriscono il passaggio di batteri patogeni nella vagina, poi nell'uretra ed infine nella vescica), la stitichezza, l'uso del diaframma e delle creme spermicide.
I fattori di rischio per l'uomo sono spesso riconducibili a ipertrofia o a stati infiammatori della prostata.
I sintomi consistono in dolori lievi in sede sovrapubica, dolore alla minzione, minzione impellente e frequente, urine torbide e a volte (nei casi più acuti) accompagnate da presenza di sangue.
La terapia prevede innanzitutto un'urinocoltura con eventuale antibiogramma per la scelta del più appropriato farmaco antibatterico. Assumere 1,5-2 litri d'acqua al giorno. Spesso l'acqua è accompagnata dall'assunzione di succo di mirtillo rosso, il cranberry americano, il quale ha dimostrato di avere buone capacità antibatteriche e depurative. Si ritiene inoltre capace di ridurre le infezioni recidive, per ultimo il tè verde (ricco di anti ossidanti e anti infiammatori).
Sono da escludere i rapporti sessuali.
La cistinuria è una malattia ereditaria caratterizzata da un difettoso riassorbimento degli aminoacidi cistina, ornitina, lisina ed arginina a livello dei tubuli renali e, in misura minore, delle cellule intestinali.
La bassa solubilità della cistina ai normali valori di acidità (pH) urinari ne provoca la precipitazione sotto forma di cristalli e di calcoli, causando ostruzione delle vie urinarie.
Come si manifesta: I sintomi sono legati prevalentemente alla calcolosi renale che causa coliche renali ed infezioni ricorrenti delle vie urinarie. Le coliche insorgono tra i 10-30 anni. Possibile è anche la scoperta casuale della malattia grazie ad esami radiologici sull’addome eseguiti per altri motivi. Rara è la comparsa di insufficienza renale come primo segno di malattia.
Le cause: La cistinuria è causata da modificazioni (mutazioni) del DNA di geni adibiti alla sintesi di proteine che formano “canali” attraverso i quali avviene il riassorbimento della cistina e di altri aminoacidi simili (dibasici). La cistinuria “tipo I” è causata da mutazioni nel gene SLC3A1(indicato anche come rBAT) che si trova sul cromosoma 2. La cistinuria “tipo non I” è causata da mutazioni nel gene SLC7A9, localizzato sul cromosoma 19. Questo gene è stato identificato grazie anche al contributo di un gruppo di ricerca italiano finanziato da Telethon (Comunicazione 12.11.1999).
Come si trasmette: La cistinuria si trasmette come carattere autosomico recessivo. Ciò significa che un soggetto ammalato eredita due geni mutati da genitori entrambi “portatori sani” della malattia. I portatori sani sono individui che posseggono un gene mutato ed uno normale. Sono stati descritti anche pazienti con una mutazione nel gene SLC3A1 ed una mutazione nel gene SLC7A9.
La diagnosi: Alla formulazione della diagnosi concorrono la sintomatologia clinica, l’eventuale reperto radiografico di calcoli e la positività per alcuni test di laboratorio (cristalluria indotta mediante acido acetico, test di Brand, identificazione e quantificazione diretta della cistina e degli aminoacidi dibasici mediante HPLC). La ricerca di mutazioni nei geni SLC3A1 e SLC7A9 può servire a confermare la diagnosi e ad identificare, all’interno della famiglia di un soggetto ammalato, eventuali portatori sani della mutazione.
Esiste una terapia: La terapia della cistinuria può avvalersi di presidi medici e chirurgici. La terapia medica ha lo scopo di prevenire la formazione di calcoli aumentando la solubilità della cistina nelle urine. Ciò si ottiene mediante:
a) Diluizione delle urine con l’assunzione di elevate quantità di liquidi. Non è necessario il ricorso ad acque oligominerali in quanto la cistina non è presente nell’acqua.
b) Alcalinizzazione delle urine a valori di pH 7,5-8 mediante l’assunzione di citrato di potassio o bicarbonato di sodio.
c) Assunzione di sostanze in grado di legare (chelanti) la cistina quali la penicillamina e la mercaptopropionilglicina (MPG). Questi farmaci possono avere, come effetto collaterale, la comparsa di proteuinuria. A tale scopo occorre controllare periodicamente nelle urine i livelli di cistina libera e la presenza di proteine.
La dieta a basso contenuto di cistina, eliminando ad esempio le uova, ha uno scarso ruolo preventivo perché la produzione di cistina è prevalentemente interna all’organismo. Anche la riduzione dell’apporto del suo precursore (metionina) è di difficile attuazione e di scarso significato clinico. La dieta deve essere modicamente iposodica. Con un rigoroso controllo medico diviene sempre più raro il ricorso alle terapie chirurgiche che trovano indicazione nei casi di calcolosi non risolta con farmaci. Essa fa uso di:
- litotomia: dissoluzione e rimozione meccanica dei calcoli mediante l’introduzione di un catetere nelle vie urinarie.
- litotrissia: frammentazione dei calcoli mediante ultrasuoni. La sonda che emette gli ultrasuoni deve essere messa a diretto contatto con i calcoli.
Il trattamento iniziale prevede un'adeguata idratazione, l'alcalinizzazione delle urine con citrato di sodio e l'imposizione di una dieta povera di sale e di proteine, soprattutto metionina.
Nel caso il trattamento fallisca si procede alla terapia chelante con penicillamina,[11][12] una molecola che si lega alla cistina formando complessi solubili.
Nel caso i calcoli si siano già formati la terapia consiste nella distruzione fisica dei calcoli mediante litotrissia extracorporea, endoscopica o chirurgica.
È stato suggerito che la somministrazione profilattica di L-cistina-dimetilestere possa prevenire la formazione dei calcoli[13].
Malattia congenita ed ereditaria dovuta all'alterazione del metabolismo degli aminoacidi e soprattutto della cistina. È infatti caratterizzata dal deposito di cristalli di cistina nel sistema reticolo-endoteliale di vari organi (fegato, milza, congiuntiva, cornea) e in particolare nel rene, dove la cistina facilmente si accumula, data la sua scarsa solubilità. La cistinosi provoca insufficienza renale, lesioni scheletriche simili a quelle del rachitismo precoce, ritardo dello sviluppo somatico e anche il suo arresto, senza causare turbe psichiche particolari.
Aminoacido solforato che si ottiene per ossidazione della cisteina.
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