Di seguito i lemmi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Infiammazione a carico di cornea e congiuntiva. La più frequente è la cheratocongiuntivite epidemica, per infezione da Adenovirus; a evoluzione lenta, insorge in genere dopo una faringotonsillite; i segni oculari sono: infiltrati infiammatori, perdita dell'epitelio corneale e diminuzione dell'acuità visiva. La terapia prevede l'uso di antibiotici e antinfiammatori.
Processo infiammatorio della cornea. I sintomi prevedono iperemia congiuntivale, fotofobia, lacrimazione e dolore. Le cheratiti si dividono in superficiali, profonde, ulcere corneali, cheratiti specifiche (luetiche, tubercolari ecc.) e virali. Nelle cheratiti superficiali il processo infiammatorio è limitato all’epitelio, alla membrana di Bowmann e agli strati anteriori del parenchima corneale. Tra le cheratiti profonde la più frequente è la cheratite disciforme, di origine virale, monolaterale, che interessa l’endotelio e la lamina di Descemet e può condurre all’ipoestesia corneale. Nell’ulcera corneale si ha perdita di sostanza, attraverso cui penetrano germi vari, che può risolversi con completa guarigione ma opacizzazione della cornea, oppure progredire ed estendersi anche in profondità, con notevole tumefazione della membrana di Descemet (descemetocele) e conseguente perforazione dell’ulcera con fuoriuscita di umor acqueo, e glaucoma. Una varietà di ulcera corneale è il cheratoipopion. Tra le cheratiti virali la più frequente è quella erpetica. La terapia delle cheratiti prevede cure locali (pomate e colliri a base di antibiotici e antinfiammatori) e generali.
Processo di formazione dello strato corneo dell'epidermide, che conferisce alla cute funzione difensiva contro gli agenti esterni. Dallo strato germinativo hanno origine le cellule della cute che, attraverso modificazioni anatomiche e biochimiche, si portano verso lo strato più superficiale: tale processo dura 28 giorni.
Sostanza proteica costituente principale di peli, capelli, strato corneo dell'epidermide, unghie. La cheratina pura è insolubile in acqua e in gran parte dei solventi organici; resiste all'azione degli acidi diluiti e degli enzimi proteolitici (pepsina, papaina). In base ai caratteri fisici, le cheratine vengono distinte in molli e dure. Le prime sono traslucide, di consistenza plastica, si desquamano facilmente in piccole scaglie; esposte al calore si retraggono, mentre in acqua fredda si idratano rigonfiandosi. Le cheratine dure sono invece compatte, di colore giallastro, non desquamabili e molto resistenti sia all'acqua sia al calore. La molecola della cheratina è ricca di zolfo e contiene quantità elevate degli aminoacidi prolina e cisteina. Nella struttura molecolare delle cheratine sono state messe in evidenza due componenti, una amorfa e una paracristallina.
La cheratina è usata per ricoprire le pillole "gastro-resistenti" e come materia prima per la produzione di idrolisati proteici.
Acido biliare primario sintetizzato dal fegato e secreto nella bile coniugato con glicina e taurina: nell'intestino viene trasformato dalla flora batterica in un acido biliare secondario, l'acido litocolico. L'àcido chenodesossicòlico viene anche impiegato nella terapia medica dei calcoli biliari (colelitiasi), al fine di sciogliere i calcoli puri di colesterolo: a causa della sua tossicità per il fegato viene di solito associato all'acido ursodesossicolico. Alle dosi terapeutiche può indurre una lieve diarrea; è sconsigliato in gravidanza e nelle malattie infiammatorie dell'intestino (vedi anche biliari, acidi).
Protrusione della congiuntiva bulbare rispetto ai tessuti sottostanti dovuta alla formazione di una raccolta di liquido.
Recettori sensibile a variazioni della composizione chimica del sangue e di altri liquidi biologici e di informarne il sistema nervoso centrale.
L’attivazione dei chemocettori, agendo sui centri nervosi del tronco cerebrale deputati al controllo dell’attività respiratoria, consente di regolare la pressione parziale dell’ossigeno e quella dell’anidride carbonica del sangue arterioso (PaO2 e PaCO2, i cui valori sono determinati dalla respirazione), che devono essere mantenute costanti anche a fronte di importanti variazioni delle richieste metaboliche dell’organismo.
I chemocettori si distinguono, in base alla loro localizzazione anatomica, in chemocettori periferici e chemocettori centrali.
I chemocettori periferici, localizzati nei glomi aortici e carotidei, sono piccoli agglomerati cellulari caratterizzati da un alto indice metabolico e dal più elevato flusso sanguigno dell’organismo. I chemocettori rispondono prevalentemente alla diminuzione della PaO2, ma anche all’aumento della PaCO2 e alla diminuzione del pH arterioso.
L’innervazione sensitiva dei chemocettori carotidei è mediata da fibre del nervo glossofaringeo, quella dei chemocettori aortici da fibre del nervo vago; entrambi i tipi di fibre stabiliscono contatti sinaptici con neuroni del gruppo respiratorio dorsale (specificamente con quelli del nucleo del tratto solitario). La diminuzione della PaO2 determina un aumento della ventilazione.
I chemocettori centrali, localizzati alla superficie ventrolaterale del bulbo, sono sensibili al pH del liquido extracellulare che è in contatto con il liquor cefalo-rachidiano. I chemocettori centrali rispondono infatti a variazioni della [H+] nel liquor, che a sua volta è funzione della PaCO2 vigente nelle arterie cerebrali e della concentrazione di bicarbonato nel liquido stesso.
I Chemocettori sensibili alle variazioni della concentrazione di ossigeno, di anidride carbonica, dell'acidemia e dell'ipertermia sono presenti nel sistema nervoso centrale (soprattutto nel midollo allungato) e nei corpi carotidei e aortici (nidi di cellule nervose sensitive altamente vascolarizzate). I corpi carotidei sono situati bilateralemente a livello della biforcazione delle corotidi comuni, mentre i corpi aortici si trovano nella parete anteriore e posteriore dell'arco aortico e nel ramo principale dell'arteria polmonare sinistra. L'attivazione dei chemocettori controlla la frequenza respiratoria spontanea.
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