Di seguito i lemmi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Farmaci di sintesi che agiscono sulle malattie dovute a infezione microbica, interferendo su un processo vitale del microrganismo, senza influenzare i processi biologici dell'ospite. Sono molto numerosi e vengono raggruppati a seconda dell'agente patogeno su cui agiscono: antiprotozoari, antimalarici, antielmintici, sulfamidici, antibiotici. Tra essi rientrano anche alcune sostanze antimitotiche e antivirali che agiscono sulle affezioni cellulari di origine non microbica. Sono molto utili nelle malattie infettive, ma il loro impiego nella profilassi può determinare frequentemente la selezione di batteri resistenti. Vedi antibiotici.
Ramo della terapia che studia l’impiego di farmaci sintetici nella cura delle malattie infettive; per estensione, la cura di affezioni di altra natura con prodotti di sintesi (c. delle elmintiasi, c. dei tumori ecc.). Compito fondamentale della chemioterapia è la ricerca e la preparazione di molecole dannose per l’agente infettante o parassitario e per le cellule neoplastiche ma scarsamente lesive per le cellule normali dell’organismo. Questa selettività di azione differenzia l’azione biologica dei chemioterapici da quella dei disinfettanti, non utilizzabili per uso interno perché capaci d’alterare irreversibilmente tutti i protoplasmi, e quindi tanto i microrganismi patogeni quanto le cellule dell’organismo. Assai meno netta, invece, è la distinzione tra chemioterapici e antisettici per uso interno, ai quali appartengono, per es., i derivati nitrofuranici (nitrofurazone, furazolidone ecc.), introdotti dal 1946 in poi nella terapia di certe affezioni batteriche, specie delle vie urinarie e dell’intestino. Per tali composti è stata suggerita la denominazione antisettico-chemioterapici.
Particolare attenzione viene rivolta alla c. antiblastica, volta cioè contro le cellule tumorali. La farmacocinetica di un farmaco antiblastico studia il metabolismo del farmaco nell’organismo, che si compie attraverso diverse fasi (trasporto attraverso la parete cellulare, assorbimento, distribuzione ed eliminazione). La farmacodinamica è lo studio del singolo farmaco a livello molecolare. I farmaci antiblastici si possono distinguere in base alle loro proprietà di azione o di farmacocinetica. In relazione all’azione che essi svolgono si hanno tre categorie di farmaci: a) fase-specifici (alcaloidi della vinca, antimetaboliti come analoghi delle purine e pirimidine, cis-platino ecc.) con azione su una specifica fase del ciclo vitale della cellula; b) ciclo-specifici (alchilanti, nitroso uree ecc.) agenti solo sulle cellule in fase di replicazione; c) indipendenti dal ciclo (epipodofillotossine), che possono agire anche sulle cellule a riposo.
Con l’avvento dell’ingegneria genetica, sono stati creati farmaci (anticorpi monoclonali) veicolati sulla molecola riconosciuta come estranea (antigene): per facilitare l’effetto tossico sulle cellule neoplastiche, a questi anticorpi sono state collegate alcune sostanze tossiche, come tossine, antibiotici antitumorali o radioisotopi.
Il rapporto tra dose tossica per l’organismo e dose lesiva per il microrganismo ( indice chemioterapico) è precisato con i metodi della tossicologia, con prove in vivo e in vitro, che prendono in considerazione l’agente patogeno, l’organismo infetto e le sue cellule di difesa. È tanto più elevato quanto è maggiore la dose tossica per l’organismo e quanto minore la dose lesiva per il microrganismo.
Insieme delle terapie farmacologiche, e delle tecniche impiegate nella loro somministrazione, utilizzate nella cura dei tumori. La terapia con farmaci antineoplastici ha lo scopo di arrestare la proliferazione delle cellule tumorali nell'intero organismo, ma soprattutto a livello delle localizzazioni secondarie, cioè delle metastasi.
Gli effetti collaterali:
I farmaci antitumorali (o antiblastici) possono avere diversi punti d'attacco nella cellula: in genere si distinguono diverse classi di farmaci come gli antimetaboliti (5-fluoruracile), gli alchilanti (ciclofosfamide), antibiotici (adriamicina), sostanze varie (cisplatino), ma in ultima analisi il bersaglio dei farmaci è costituito dal DNA delle cellule tumorali. I farmaci attualmente in uso non consentono però di esercitare un'azione specificamente diretta contro le cellule tumorali: colpiscono genericamente tutte le popolazioni cellulari in fase di attiva replicazione, quindi anche le cellule sane (seppure in misura minore rispetto a quelle neoplastiche) e nella fattispecie quelle di tessuti ad alto ritmo proliferativo, come il midollo osseo, la mucosa orale e gastrointestinale, il bulbo pilifero, l'ovaio e il testicolo. La chemioterapìa oncològica sarà tanto più efficace quanto maggiore sarà il rischio di effetti collaterali, rappresentati da: diminuzione dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine (prodotti dal midollo osseo); irritazioni della mucosa della bocca e del palato; nausea, vomito, diarrea (per l'effetto sull'apparato digerente); irregolarità mestruali; caduta dei capelli per l'azione sui bulbi piliferi. Allo scopo di minimizzare per quanto è possibile questi inconvenienti, sono state messe a punto particolari strategie di somministrazione della terapia. In primo luogo la chemioterapìa oncològica viene effettuata in modo intermittente, secondo schemi che prevedono cicli curativi della durata di alcuni giorni, alternati a intervalli di riposo fino a 3-4 settimane: in tal modo si consente alle popolazioni cellulari normali, inevitabilmente colpite dal trattamento, di riprendersi tra un ciclo e l'altro a scapito delle cellule tumorali, generalmente più lente a recuperare il danno subito. Per ridurre ulteriormente gli effetti secondari della terapia si ricorre all'associazione di più farmaci antitumorali (polichemioterapia), aumentando l'azione globale grazie a differenti meccanismi d'azione, e diminuendo nel contempo la tossicità.
Applicazioni della chemioterapia oncologica
Con schemi di questo tipo è possibile a tutt'oggi curare molti tumori, tra cui le leucemie dei bambini, i linfomi di Hodgkin e alcuni linfomi non-Hodgkin, il tumore renale di Wilms e i tumori del testicolo. Risultati inferiori ma degni di nota sono raggiungibili nel carcinoma della mammella, in quello dell'ovaio e nel tumore polmonare a piccole cellule (microcitoma). In alcuni casi la chemioterapìa oncològica viene utilizzata a scopo precauzionale (chemioterapìa oncològica adiuvante) dopo l'intervento chirurgico di asportazione del tumore, allo scopo di eradicare eventuali metastasi microscopiche già disseminate all'atto dell'operazione. Questo tipo di strategia ha fornito finora buoni risultati nel carcinoma della mammella, del testicolo e forse del colon-retto, quando le "spie" della diffusione a distanza, cioè i linfonodi regionali (ascellari nel caso della mammella, viscerali negli altri), risultano invasi dal tumore. La chemioterapìa oncològica adiuvante viene utilizzata anche in molti tumori dell'infanzia (tumore renale di Wilms, sarcomi dei muscoli e delle ossa, medulloblastoma). Negli ultimi anni è stato proposto di utilizzare la chemioterapìa oncològica addirittura prima della chirurgia; in questo caso la chemioterapìa oncològica, detta neoadiuvante, ha lo scopo di ridurre la massa tumorale al fine di renderla più facilmente asportabile con interventi chirurgici complessivamente meno mutilanti. Oggi viene impiegata nella cura dell'osteosarcoma, di alcuni carcinomi della mammella, del cavo orale, dell'esofago, dell'ano e della vescica.
Tecniche particolari di somministrazione
Considerevole interesse riscuote la possibilità di far pervenire il farmaco direttamente nella regione anatomica colpita, potendo così aumentare il dosaggio a vantaggio dell'efficacia, ma con riduzione globale della tossicità su tutto l'organismo. La cosiddetta chemioterapìa oncològica regionale intrarteriosa trova applicazione soprattutto nel trattamento delle metastasi epatiche (perlopiù da tumori del colon-retto) e dei carcinomi della testa e del collo, data la possibilità d'incannulare con relativa facilità le arterie tributarie di questi distretti (cioè l'arteria epatica e la carotide esterna). La somministrazione di farmaci nel cavo pleurico, pericardico, ma soprattutto in quello peritoneale permette di aggredire le localizzazioni neoplastiche direttamente in queste sedi. La chemioterapìa oncològica intracavitaria è stata utilizzata particolarmente nella terapia della carcinosi peritoneale, conseguente alla diffusione di tumori ovarici o carcinomi del colon-retto.
Efficacia e limiti
Nell'insieme, la fattibilità e il successo della chemioterapìa oncològica sono legati a fattori dipendenti sia dal paziente (l'età, le condizioni generali di salute, cioè il cosiddetto performance status), sia dal tumore (caratteristiche biologiche del grado di risposta alla chemioterapìa oncològica, estensione della massa tumorale totale): soprattutto in quest'ultimo caso assume notevole importanza il fenomeno della resistenza ai farmaci antitumorali, evento che purtroppo si verifica quasi costantemente durante lo svolgimento della chemioterapìa oncològica. Per mutazioni spontanee, all'interno della popolazione di cellule tumorali (analogamente a quanto avviene coi batteri) si sviluppano cloni (cioè cellule derivate dalla divisione di un'unica cellula, e tutte dotate dello stesso patrimonio genetico della cellula madre) in grado di resistere ai farmaci antitumorali grazie a meccanismi biochimici di varia natura. Il vantaggio selettivo acquisito favorisce la proliferazione del clone resistente, che ben presto s'impone su tutta la popolazione rendendola insensibile alla terapia: la neoplasia può così inarrestabilmente progredire. In alcuni casi le cellule neoplastiche sono addirittura in grado di sintetizzare una proteina della membrana cellulare che le rende resistenti a più farmaci contemporaneamente. Finora non sono state individuate sostanze capaci di bloccare l'insorgenza del fenomeno. La strategia terapeutica più valida consiste nella somministrazione della chemioterapìa oncològica il più precocemente possibile (quando la massa tumorale sia tanto piccola da non ospitare troppe cellule già resistenti) e rispettando il più possibile tempi e schemi di somministrazione (la cosiddetta intensità di dose) in modo da non disperdere l'efficacia terapeutica.
Fenomeno per cui sostanze chimiche sono in grado di attrarre cellule (capaci di muoversi) in ragione della loro concentrazione nel mezzo ambiente.
Utilizzo di farmaci, sostanze biologiche o elementi nutritivi per inibire, ritardare o invertire il processo di cancerogenesi in qualunque momento, prima della fase invasiva di malattia.
La chemioprevenzione si muove su tre livelli:
-Individui sani; Inibizione della cancerogenesi (prevenzione primaria)
-Fase pre-clinica; Reversione della cancerogenesi (prevenzione secondaria)
-Pazienti dopo la terapia; Prevenzione di nuovi tumori primari (Prevenzione secondaria)e prevenzione dell’invasione e delle metastasi (Prevenzione terziaria).
In campo oncologico è in corso di studio il grado di protezione antitumorale offerto dalla somministrazione di sostanze come i caroteni (e quindi la vitamina A a essi chimicamente imparentata), la vitamina C e un microelemento, il selenio, nella prevenzione di tumori molto diffusi quali i carcinomi della mammella, del polmone e del tratto gastrointestinale.
Eccessiva formazione di tessuto cicatriziale nel processo di cicatrizzazione di una ferita. Ha consistenza abbastanza dura e tende a essere rilevata rispetto alla superficie cutanea; a differenza della cicatrice ipertrofica, ha maggiori dimensioni della lesione iniziale. Le aree anatomiche più predisposte sono il torace, le spalle e il collo. Si manifesta soprattutto in soggetti giovani ed è causata da una predisposizione genetica. È assolutamente sconsigliabile l'asportazione chirurgica della chelòide, poiché si ottiene una nuova chelòide di maggiori dimensioni.
Gruppo di sostanze utilizzate in terapia con lo scopo di legare altre sostanze presenti in concentrazioni patologiche nell'organismo, così da favorirne l'eliminazione attraverso le normali vie di escrezione. Fra le più note, la desferrossamina viene impiegata per eliminare depositi patologici di ferro (emosiderosi ed emocromatosi). Altri chelanti (il dimercaprolo o BAL; il disodio-calcio-etilendiaminotetracetico; la penicillamina) vengono impiegati nel corso di avvelenamenti acuti o cronici da metalli (primo fra tutti il piombo).
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