Di seguito i lemmi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
L'ipermetropia colpisce circa cinque milioni di persone in Italia; si tratta di un difetto visivo causato dal fatto che l'occhio è troppo corto. Di conseguenza i raggi luminosi convergono in un punto che si trova dietro la retina, su cui invece l'immagine risulta annebbiata. Se il difetto non è grave, l'ipermetrope riesce a vedere bene gli oggetti lontani, ma non quelli vicini. Tuttavia, lo sforzo continuo causa spesso l'insorgenza di sintomi di affaticamento dell'occhio. E' un Vizio di rifrazione dell’occhio in cui nei momenti di riposo, i raggi provenienti dall’infinito vanno a fuoco dietro la retina. Nella maggior parte dei casi dipende dal fatto che il bulbo oculare è più corto del normale (ipermetropìa assiale), ma può anche derivare da un’anomalia di curvatura di cornea o cristallino (ipermetropìa di curvatura), o da un difetto nel potere rifrattivo del cristallino stesso (ipermetropìa di indice); può anche essere conseguente a afachia (assenza del cristallino). I sintomi prevalenti sono cefalea frontale, senso di peso alla testa, dolore agli occhi. Se l’ipermetropìa è lieve, la normalizzazione della visione si ottiene in modo naturale con l’accomodazione; se invece è elevata, è indispensabile l’uso di lenti sferiche positive.
Questo difetto può essere corretto con l'uso di occhiali a lenti convesse, di lenti a contatto e con un intervento chirurgico con laser a eccimeri, tutte tecniche che permettono all'ipermetrope di recuperare una visione nitida.
Vedi leontiasi ossea.
Di Admin (del 20/12/2011 @ 16:20:40, in Lettera I, visto n. 4818 volte)
Distanza anomala fra due parti gemelle del corpo, in particolare occhi e mammelle. Nell'ipertelorismo interpupillare, gli occhi appaiono molto distanziati. Spesso associato ad anomalie cromosomiche. L'ipertelorismo mammellare risulta relativamente più rara.
Durante il ciclo cardiaco la pressione è massima in sistole (pressione sistolica) e minima in diastole (pressione diastolica); quando si parla di pressione arteriosa è quindi logico (e noto a tutti) definire due valori, ognuno indicativo di una certa condizione. I valori di normalità sono leggermente influenzati dall'ora del giorno: più alti al mattino, appena svegli, si riducono durante la giornata e tendono a rialzasi verso sera. I valori aumentano in seguito a uno sforzo fisico o per uno stress emotivo: non di rado i valori rilevati dal medico sono maggiori di quelli rilevati dal paziente quando effettua la misurazione da solo. Un ulteriore dato statistico è l'aumento della pressione con l'età. Questo fenomeno, una volta considerato del tutto normale, si deve oggi considerare come comunque patologico. L'aumento è dovuto all'aumentata rigidità dei vasi arteriosi, ma è decisamente più limitato per gli anziani che sono invecchiati "bene".
L'aumento della pressione arteriosa con l'età si può pertanto considerare come uno degli indicatori di invecchiamento biologico.
Tradizionalmente la pressione si misura con lo sfigmomanometro (inventato nel 1896 dall'italiano Scipione Riva-Rocci); oggi esistono dei comodi strumenti elettronici che consentono una rilevazione della pressione da parte del paziente seguendo poche e semplici istruzioni. Se da un lato hanno semplificato il controllo, evitando l'intervento del medico, per alcuni soggetti sono diventati una vera e propria ossessione. A meno di stati veramente patologici, è errato attribuire ogni malessere a un innalzamento o a un abbassamento della pressione ed è inutile diventare schiavi delle continue misurazioni.
I valori normali della pressione arteriosa sono da considerarsi 140 mm Hg per la pressione sistolica (la cosiddetta massima) e 90 mm Hg per la pressione diastolica (la minima). Si parla di ipertensione in presenza di un aumento permanente della pressione arteriosa oltre i valori normali. Ovviamente il grado dell'ipertensione può essere lieve, moderato o severo (uguale o superiore a 180/110). Negli Stati Uniti il 20% della popolazione soffre di ipertensione ed è in cura con farmaci; in Italia probabilmente la percentuale è simile, anche se è minore la percentuale di chi ricorre al medico, probabilmente perché l'ipertensione non dà sintomi evidenti, a meno che non sia grave e prolungata nel tempo.
L'ipertensione può essere un sintomo di uno stato patologico, come nelle malattie cardiovascolari o endocrine, o può essere una patologia indipendente di cui non si conoscono le cause (ipertensione essenziale). È quest'ultima l'oggetto di questo articolo in quanto è una delle patologie più gravi della maturità e dell'età avanzata. Poiché l'aumento della pressione provoca un danno alle arterie con ispessimento e depositi di grassi all'interno delle pareti, l'ipertensione causa danni in diversi organi: dall'ictus cerebrale (occlusione o rottura di un'arteria del cervello), all'infarto (occlusione di una coronaria), all'insufficienza renale (occlusione di un vaso del rene), a cardiopatia (per il superlavoro che il cuore deve svolgere per pompare il sangue), a disturbi visivi (occlusione dei vasi della retina).
Purtroppo la cura è spesso affidata ai farmaci, facendo diventare l'iperteso un vero e proprio laboratorio in cui si cercano di bilanciare certi valori. Il ricorso ai farmaci non sempre è giustificato perché l'ipertensione è aggravata da una serie di fattori che sono comunque un rischio per la salute: curandola con i farmaci s'induce il paziente a perseverare nella sua condotta di vita errata. I principali fattori da eliminare, prima di ricorrere ai farmaci, sono:
- il sovrappeso
- il fumo
- l'inattività fisica
- lo stress
Sul ruolo del sale il discorso non è così chiaro, anche se tutti i medici consigliano agli ipertesi di moderare il cloruro di sodio (consiglio valido anche perché il sale è assunto comunque in dosi non necessarie). Da recenti ricerche risulta che l'abuso di sodio (la cui principale risorsa nell'alimentazione è il sale) aggravi un'ipertensione esistente, ma che non sia in grado di causarla.
Se dopo aver eliminato i fattori sopraccitati la pressione resta ancora alta, allora si deve intervenire con i farmaci. Sicuramente assumere farmaci per il controllo della pressione arteriosa (diuretici, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, Ace-inibitori, inibitori dell'angiotensina - alfa1-bloccanti ecc.) provoca effetti collaterali che sono però di gran lunga inferiori ai rischi dell'ipertensione. La cura farmacologica deve essere condotta in stretta collaborazione con il medico, con continuità e senza interventi autonomi (come la riduzione delle dosi quando la pressione si riduce).
L’ipertiroidismo è la sindrome derivante dall'eccesso di ormoni tiroidei nel circolo ematico. Fra le cause nell’uomo vanno ricordate alcune forme comuni, come il gozzo tossico diffuso, il morbo di Basedow-Graves, l'adenoma tossico (di Plummer) ed il gozzo multinodulare tossico, ed altre forme più infrequenti (tiroidite subacuta, tiroidite post-partum, ipertiroidismo iatrogeno, Hashitossicosi o tiroidite di Hashimoto).
Indice
1 Segni e sintomi
1.1 Ipertiroidismo e agenti disaccoppianti
2 Diagnosi
3 Cura
3.1 Chirurgia della tiroide
3.2 Terapia radiometabolica con lo iodio radioattivo
Segni e sintomi
I sintomi più evidenti nell’uomo sono:
la perdita di peso;
affaticamento;
indebolimento;
iperattività;
irritabilità;
apatia;
depressione;
poliuria;
sudorazione;
pelle ingiallita.
Inoltre, nei pazienti si possono presentare una varietà di sintomi come:
palpitazioni e aritmia (specialmente fibrillazione atriale);
dispnea;
infertilità;
calo del desiderio;
nausea;
vomito;
dissenteria.
Nella vecchiaia, questi classici sintomi potrebbero non comparire e potrebbero presentarsi solo con l’affaticamento e la perdita di peso.
Come altri disordini autoimmuni collegati alla tirotossicosi, un’associazione tra una disfunzione tiroidea e la miastenia gravis è stata riconosciuta. La disfunzione tiroidea, in questa condizione, è spesso autoimmune e circa il 5% dei pazienti con la miastenia gravis ha anche l’ipertiroidismo. La miastenia gravis raramente si evolve dopo il trattamento della tiroide e la relazione fra le due cose è ancora sconosciuta. Alcune manifestazioni neurologiche molto rare che sono riportate essere dubbiosamente associate con la tirotossicosi sono pseudotumore cerebrale, sclerosi laterale amiotrofica e la sindrome di Guillain-Barré.
Ipertiroidismo e agenti disaccoppianti
Uno degli effetti primari negli ipertiroidei è la stimolazione della calorigenesi, come aumento del metabolismo basale. A livello del mitocondrio, arrivano NADH+ e FADH2, che devono essere riossidati per poter essere nuovamente utilizzati. La riossidazione degli enzimi avviene con il trasporto di elettroni che prevede il passaggio di elettroni e protoni dal NADH+ fino all'ossigeno O2 che viene ridotto a O= con formazione di acqua, in seguito al rilascio di acqua si ha anche il rilascio di energia. Nella matrice mitocondriale sono presenti anche protoni, portati dal NADH H+, i protoni utilizzano l'energia liberata dalla reazione di ossido riduzione per formare un gradiente protonico per pompare all'esterno protoni, contro il gradiente di concentrazione. Si effettua riduzione di ossigeno e sintesi di acqua nella membrana interna del mitocondrio, vicino al citocromo ossidasi è presente un enzima che si chiama adenosina trifosfato sintasi (ATP sintasi), formato da due monomeri, F1 e F2, uno dei due monomeri è un canale per protoni. I protoni ripassando attraverso questo canale liberano energia che viene utilizzata dal secondo monomero che così è in grado di sintetizzare energia come ATP. Quando si verifica iper produzione di ormoni tiroidei T3 e T4 essi si comportano da agenti disaccoppianti, infatti essi stimolano la produzione di una proteina che si chiama TERMOGENINA, la quale forma un canale che fa rientrare i protoni nella matrice, così l'energia liberata non è convertita in ATP ma dissipata sotto forma di calore.
Diagnosi
La diagnosi avviene tramite il dosaggio di specifiche sostanze nel sangue (ormoni tiroidei). Un incremento ematico di rilievo delle frazioni libere degli ormoni tiroidei (FT3, o free-triiodiotironina ed FT4, o free-tetraiodiotironina), associato ad un abbassamento dell'ormone tireotropo (TSH, Thyroid Stimulating Hormone), è infatti specifico di una condizione di ipertiroidismo conclamato. Infatti, l'abbassamento del TSH ("soppressione" in gergo endocrinologico) deriva dalla controregolazione negativa a livello adenoipofisario, dove avviene la produzione del TSH, da parte degli ormoni tiroidei (FT3 ed FT4 per l'appunto) in eccesso. La diagnosi del tipo di ipertiroidismo dovrebbe poi avvenire in campo specialistico allo scopo di valutare se trattasi di forme di ipertiroidismo autoimmune (mediante dosaggio di anticorpi specifici, come anticorpi anti-recettore del TSH, AbTPO o AbTg), da farmaci (per esempio da amiodarone) oppure di forme di tireotossicosi, distruttiva (tiroidite subacuta) o iatrogena (assunzione di ormoni tiroidei). In alcuni casi altri accertamenti ematochimici (VES, Tireoglobulina) o strumentali (ecografia tiroidea con color-Doppler, scintigrafia tiroidea con iodocaptazione) possono essere utili al fine di inquadrare meglio la diagnosi.
Cura
Le modalità di cura principali e generalmente accettate per la cura dell’ipertiroidismo nell’uomo sono tre:
Farmacologica, con l'impiego di propiltiouracile o metimazolo.
Terapia radiometabolica con lo iodio radioattivo.
Chirurgia della tiroide.
Chirurgia della tiroide[modifica | modifica sorgente]La chirurgia (per rimuovere l’intera tiroide o una parte di essa) non è usata estensivamente perché la maggior parte delle forme comuni dell’ipertiroidismo sono curate abbastanza efficacemente con i farmaci o con il metodo dello iodio radioattivo. Comunque, pazienti che non possono tollerare i medicinali per una ragione o per un’altra, o pazienti che rifiutano lo iodio radioattivo, optano per un intervento chirurgico. La procedura è relativamente sicura, e prevede, almeno nella maggior parte degli ospedali italiani, una degenza di 2-3 giorni. Rischi correlati all'intervento sono, oltre ai classici rischi dovuti all'anestesia, quelli specifici, ossia ipocalcemia (per resezione delle paratiroidi) e lesione dei nervi ricorrenti (con compromissione della voce).
Terapia radiometabolica con lo iodio radioattivo[modifica | modifica sorgente]Lo iodio radioattivo viene somministrato oralmente (sia come pillola, sia come liquido) in un’unica volta per ledere in modo irreversibile una ghiandola iperattiva. Lo iodio liquido (soluzione acquosa di ioduro) viene al giorno d'oggi utilizzato raramente, vista la sua notevole volatilità: esiste quindi un importante problema di radioprotezione per gli operatori, nonché un problema di dose alle ghiandole salivari dei pazienti. Lo iodio somministrato per la terapia dell'ipertiroidismo è l'isotopo 131; altri isotopi (come il 125) sono usati, legati a diverse molecole, per diagnostica (ad esempio, nella diagnostica del morbo di Parkinson viene utilizzato un legante recettoriale marcato con I-125). Lo iodio 131 può essere comunque utilizzato (a dosaggi enormemente inferiori rispetto a quelli impiegati per la terapia) anche per procedimenti diagnostici, ad esempio nel follow-up del tumore tiroideo. Lo iodio radioattivo viene somministrato dopo alcuni accertamenti: innanzitutto una scintigrafia tiroidea, che permetta di valutare lo stato di effettivo ipertiroidismo e l'assenza di aree "fredde" (che potrebbero indicare la presenza di un tumore), quindi un test di captazione che viene eseguito somministrando una dose-traccia (modestissima) di iodio-131 ed analizzando ad intervalli regolari di tempo (solitamente 6, 24, 48, 72 e 96 ore) l'attività presente in tiroide (mediante strumento dedicato). Tali esami permettono quindi di calcolare in modo personalizzato l'attività da somministrare al soggetto; questa è solo una delle possibili modalità, dal momento che alcuni Centri somministrano invece dosi fisse. Lo iodio radioattivo viene captato in maniera attiva dalle cellule della tiroide mediante un symporter Na/I e viene quivi immagazzinato. La morte cellulare dovuta all'effetto citotossico delle radiazioni ionizzanti avviene in tempi variabili, legati essenzialmente alla capacità della singola tiroide di captare ed immagazzinare lo iodio radioattivo stesso. Poiché lo iodio è captato quasi esclusivamente dalle cellule tiroidee, non si hanno grossi problemi di irradiamento ad altri organi: si ha una minima irradiazione a livello delle ghiandole salivari, ed una minima irradiazione a livello vescicale. La metodica è stata sviluppata alla fine degli anni '40 ed è ormai ampiamente consolidata, anche per quanto riguarda le eventuali sequele a lungo e lunghissimo termine: non si sono dimostrati effetti collaterali a lungo termine.
Spesso il trattamento esita in ipotiroidismo: non è considerabile comunque come effetto indesiderato, poiché le patologie tiroidee (soprattutto il morbo di Basedow) tendono a recidivare, anche a distanza di tempo. Comunque, l'ipotiroidismo è abitualmente curato con facilità con l’assunzione di levotiroxina, che è una forma sintetica pura del T4.
Tirostatici – farmaci che inibiscono la produzione degli ormoni della tiroide, tali come il metimazolo (Tapazole), carbimazolo o PTU (propiltiuracile).
Se in trattamenti farmacologici viene usata una dose troppo massiccia, i pazienti possono sviluppare sintomi di ipotiroidismo. L’ipotiroidismo è anche un risultato molto comune dei trattamenti di chirurgia o di radiazione come è difficile determinare quanta ghiandola della tiroide dovrebbe essere rimossa. In questi casi può essere richiesta l’integrazione di levotiroxina.
È l'ispessimento o l'allargamento di un organo o di un muscolo, a volte causato da un aumento del carico di lavoro.
L'ipertrofia prostatica benigna (IPB) è una patologia che colpisce la prostata, una ghiandola che si trova sotto la vescica maschile e che ha la funzione di produrre un componente del liquido seminale. In particolare, si tratta di un ingrossamento della prostata che di solito colpisce gli uomini dopo i cinquant'anni. Non si sa quali siano le cause esatte di questa malattia, benché probabilmente vi sia un'associazione con l'andropausa. L'ingrossamento della prostata provoca una compressione dell'uretra, il cui calibro viene conseguentemente ridotto. La riduzione delle funzionalità dell'uretra provoca difficoltà a urinare; si fa fatica a urinare, si ha la sensazione che non tutta l'urina sia stata espulsa e si può anche arrivare a un blocco completo della funzione, con l'obbligo di utilizzare un catetere per svuotare la vescica.
La prevenzione - Per tutti coloro che hanno superato i 40 anni è consigliabile tenere sotto controllo il PSA (Prostatic Specific Antigen). L'antigene prostatico specifico è una glicoproteina (peso molecolare 34.000 dalton) presente nel sangue e nel tessuto prostatico normale, sia ipertrofico sia neoplastico. L'esame non deve essere effettuato dopo massaggi prostatici, esplorazioni rettali o procedure strumentali endoscopiche. In associazione con altri esami strumentali viene utilizzato come test di conferma l'ipertrofia prostatica e per i tumori alla prostata. Il valore di normalità è inferiore a 4 ng/ml. Per chiarire se trattasi di ipertrofia o di tumore, si ricorre ultimamente alla frazione di PSA libero (rispetto a quello totale). In genere quanto più bassa è la percentuale di PSA libero tanto la diagnosi di tumore è più probabile (il PSA libero dovrebbe essere superiore al 20%). Un uomo su sei è colpito da cancro alla prostata, ma solo uno su 32 muore per questa causa (perché il tumore ha un'evoluzione molto lenta e il soggetto muore prima per esempio per un attacco di cuore).
Le ultime dalla ricerca - Alcuni ricercatori americani (Catalona, 2003) sostengono che il livello di attenzione del PSA dovrebbe essere abbassato a 2,5 ng/ml. Ciò comporterebbe la necessità di un numero maggiore di inutili biopsie, ma sarebbe in grado di rilevare una percentuale praticamente vicina al 100% di tumori, soprattutto nella popolazione più giovane.
La diagnosi e la cura - La visita medica consente di determinare la presenza di un'ipertrofia benigna o di altre patologie (calcoli della vescica, prostatiti, tumori). A seconda dei risultati della visita e degli esami (per esempio biopsia), il medico indicherà l'appropriata soluzione farmacologica o chirurgica. Per quanto riguarda le terapie farmacologiche, si può ricorrere agli alfa-bloccanti, che rilassano i muscoli dell'area interessata favorendo il passaggio dell'urina, o alla finasteride, che agisce bloccando la trasformazione del testosterone nel metabolita DHT, responsabile dell'ingrossamento della prostata. All'intervento chirurgico si arriva nel caso in cui le terapie farmacologiche non abbiano dato esito positivo. L'intervento più frequente è la resezione prostatica transuretrale (TURP), con cui si ottiene l'eliminazione della parte ipertrofica interna alla prostata; anche la termoterapia agisce in modo analogo, ma è meno efficace. Nei casi più gravi si procede all'asportazione mediante incisione del basso addome.
Si possono comunque adottare alcuni accorgimenti che a volte consentono almeno di tenere sotto controllo i sintomi di questa patologia: cercare di bere poco la sera per evitare di doversi alzare a urinare durante la notte, cercare di svuotare completamente la vescica (ad esempio urinando stando seduti), evitare gli alcolici (che possono causare una congestione della prostata), svolgere attività fisica (la sedentarietà provoca ritenzione urinaria).
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