Di seguito i lemmi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Per definire l'obesità si è soliti utilizzare l'indice di massa corporea (il numero che si ottiene dividendo il peso per l'altezza del soggetto espressa in metri al quadrato; per esempio un soggetto alto 170 cm e pesante 70 kg ha un IMC di 24,2). Classicamente si definisce obeso un soggetto avente un IMC uguale o superiore a 30. In realtà tali limite dovrebbe essere rivisto verso il basso ((il numero arrotondato alla decina è "psicologicamente" allettante), definendo un'obesità normale per un IMC che supera 28 per gli uomini e 26 per le donne e un'obesità grave per un IMC che supera 40.
Nel caso di obesità normale è consigliabile seguire un piano dietetico che riporti l'individuo prima in condizioni di sovrappeso e poi di normalità. Non è consigliabile nessuna attività fisica nel caso di obesità normale in quanto l'esercizio fisico di un obeso non è in grado di aumentare significativamente il fabbisogno calorico quotidiano e si sovraccaricherebbe inutilmente un fisico già provato da una situazione che è corretto definire patologica. L'attività fisica diventa invece fondamentale nella condizione di sovrappeso.
Nel caso di obesità grave si parla spesso di obesità dietoresitente e non c'è altra alternativa che l'intervento chirurgico, anche se sono possibili interventi parachirurgici come il palloncino intragastrico (introdotto nello stomaco genera sazietà) o il pacemaker gastrico (inventato nel 1991, funziona come elettrostimolatore che induce sazietà, ma ha l'inconveniente che deve essere gestito a vita). Il vero intervento chirurgico può essere di tipo restrittivo o malassorbitivo (per i casi più gravi). L'intervento restrittivo limita la capacità dello stomaco a ricevere cibo ed è indicato per coloro che comunque hanno intenzione di collaborare con il dietologo, seguendo un'opportuna dieta. Infatti i pasti sono molto limitati (a causa della diminuita capacità gastrica) e il paziente potrebbe essere indotto a mangiare di continuo alimenti ipercalorici. Fra gli interventi restrittivi sono da ricordare il bendaggio gastrico regolabile (banding, in cui la regolazione della tasca gastrica avviene attraverso un serbatoio d'acqua sottocutaneo) e la gastroplastica verticale in cui una sutura e un anello riducono il volume gastrico. Gli interventi malassorbitivi in genere sono più impegnativi perché tendono a ridurre la quantità di cibo assorbito dal tratto gastro-intestinale. Sono da ricordare il bypass gastrico (che chiude la parte alta dello stomaco e la collega direttamente all'intestino, saltando stomaco e duodeno; a causa della mancata preparazione gastrica, alcuni cibi come zuccheri e farinacei possono provocare disturbi spiacevoli) e la diversione billo-pancreatica (si asporta la parte inferiore dello stomaco, la si unisce all'intestino, facendovi giungere la bile) che consente l'eliminazione di molte sostanze nutritive, a fronte di effetti collaterali come le abbondanti evacuazioni e la carenza di minerali e vitamine. La percentuale di successo a tre anni degli interventi va da un 40% per quelli restrittivi a un 60-70% per quelli malassorbitivi.
Nella craniometria umana (studio delle caratteristiche di un cranio attraverso la misura delle sue dimensioni)descrive il punto di riferimento mediano in coincidenza della sua intersezione con la linea che congiunge i due forami parietali
Molecola di ozono, composta da tre atomi di ossigeno
Sigla della molecola di ossigeno (diossigeno)
Lettera che in chimica indica l'ossigeno.
Il Morbo di Basedow o Malattia di Graves è una patologia autoimmunitaria caratterizzata da ipertiroidismo, gozzo diffuso, oftalmopatia e, raramente, dermatopatia. L'ipertiroidismo ed il gozzo sono causate da una iperstimolazione tiroidea da parte di auto-anticorpi diretti al recettore per il TSH con conseguente aumento degli ormoni tiroidei T3 e T4 circolanti.
Non è ancora perfettamente nota la causa per cui si formano questi autoanticorpi, ma esistono comunque alcuni fattori predisponenti che potrebbero spiegare la patogenesi della malattia:
Stress, Fumo, legato particolarmente all'oftalmopatia
Sesso femminile
Periodo post-parto
Effettuazione di particolari terapie con amiodarone, litio, interferone alfa ed altri composti (contenenti iodio)
Predisposizione genetica legata a particolari alleli HLA ed una probabile perdita di un clone cellulare di un linfocita T soppressore specifico che faciliterebbe la proliferazione di linfociti B secernenti gli autoanticorpi.
I sintomi piu' frequenti con cui la malattia di manifesta sono intolleranza al caldo, palpitazioni, dimagrimento con iperfagia, tremore, astenia, ansietà , labilità emotiva, insonnia, incapacità a concentrarsi. Il paziente è iperdinamico, spesso sudato, tachicardico, affamato e stanco.
Circa il 50% dei pazienti con morbo di Basedow presenta un'oftalmopatia clinicamente evidente, ma solo il 2-5% dei pazienti presenta un grado severo di malattia. Deve essere inoltre segnalato che nonostante l'Oftalmopatia basedowiana sia generalmente bilaterale, nel 14% dei casi essa può essere monolaterale.
In sintesi, l'oftalmopatia può presentarsi con i seguenti segni: coinvolgimento palpebrale interessamento dei tessuti molli con coinvolgimento del segmento anteriore, in particolare congiuntiva e cornea, proptosi, miopatia, neuropatia ottica.
ESOFTALMO
L'esoftalmo è una protrusione patologica del bulbo oculare; la sua entità viene misurata in millimetri con un apposito strumento, detto oftalmometro.
L’esoftalmo del morbo di Basedow , legato all’ ipertiroidismo , è una forma particolarmente grave e frequente: ha solitamente insorgenza rapida e può raggiungere gradi molto elevati, fino ai 30-35 mm, impedendo addirittura la chiusura degli occhi. Non è certa la causa che lo determina, ma appare verosimilmente legato a fenomeni autoimmunitari. La terapia, se l’esoftalmo non si risolve con il controllo dell’ipertiroidismo basedowiano, è chirurgica o radiante.
SEGNI PALPEBRALI
Segno di Graefe: incapacità della palpebra superiore ad abbassarsi nei movimenti dello sguardo verso il basso
Segno di Dalrymple: aumento della rima palpebrale
Segno di Moebius: difetto di convergenza
Segno di Stellwag: rarità dell'ammiccamento
Segno di Joffroy: mancanza della contrazione consensuale del m. frontale nello sguardo verso l'alto
Segno di Sainton: comparsa di nistagmo nei movimenti di lateralità dei globi oculari
Segno di Rosemback: tremori fibrillari delle palpebre chiuse
Segno di Jellinek: iperpigmentazione delle palpebre
Terapia dell’oftalmopatia tiroidea
La terapia dell’oftalmopatia tiroidea varia in relazione alla gravità e al tipo di sintomi accusati dal paziente.
Terapia medica
Le forme più lievi di oftalmopatia non vengono trattate: in questi casi può essere sufficiente l’utilizzo di un paio di occhiali da sole o l’uso di lacrime artificiali sotto forma di collirio o gel per umidificare l’occhio.
Nei soggetti con neuropatia ottica o nelle fasi iniziali di una proptosi rapidamente progressiva puo’ essere indicato l’uso di farmaci steroidei.
Nei casi che presentano diplopia può essere indicata la radioterapia e/o la prescrizione di lenti prismatiche per gli occhiali. Tali prismi possono essere montati a permanenza o solo temporaneamente sulle lenti ma, qualora non bastino a correggere la diplopia, è necessario intervenire chirurgicamente sui muscoli extraoculari.
Terapia chirurgica
Intervento chirurgico di decompressione
Lo scopo della chirurgia decompressiva è quello di rimuovere la parete ossea situata fra l’orbita e gli spazi sinusali in modo da aumentare lo spazio a livello orbitario per il bulbo oculare che può così rientrare all’interno dell’orbita stessa.
L’intervento chirurgico di decompressione è indicato in caso di neuropatia ottica da compressione, in caso di grave esoftalmo con severe alterazioni a carico della cornea conseguenti al ridotto ammiccamento, o ancora per ragioni estetiche .
Chirurgia sui muscoli oculari
Si effettua in presenza di diplopia e/o di limitazione importante della motilità, nella maggior parte dei casi nello sguardo verso l’alto. L’intervento viene effettuato in anestesia locale ed in genere consiste nello spostamento, recessione, dell’inserzione del muscolo in maniera da indebolire la restrizione e consentire una maggior escursione del globo oculare.
Il muscolo più frequentemente interessato è il muscolo retto inferiore e non deve essere confuso con una paralisi del retto superiore, che funziona ma il retto inferiore, diventato rigido ed in estensibile ne impedisce la funzione.
Chirurgia della retrazione palpebrale
I pazienti oftalmopatici presentano usualmente un’apertura della rima palpebrale superiore al normale per cui la superficie anteriore dell’occhio può risultare eccessivamente esposta con conseguente lacrimazione eccessiva ed irritazione. Il riposizionamento chirurgico delle palpebre può ridurre lo stato irritativo. L’indicazione può essere anche solo estetica a causa dello sguardo sbarrato e “spaventoso” .
Quando indicato, si dovrebbe intraprendere un procedimento di decompressione orbitaria prima della chirurgia dello strabismo o della palpebra, poichè la decompressione puo’ alterare l’allineamento oculare e la posizione palpebrale.
Efficacia e sicurezza dell’irradiazione retrobulbare nell’oftalmopatia Basedowiana
Il NICE ( National Institute for Health and Clinical Excellence ) ha presentato le sue linee guida riguardo all’irradiazione retrobulbare nel trattamento dell’oftalmopatia Basedowiana, anche nota come oftalmopatia tiroidea o oftalmopatia di Graves .
Le lineeguida si basano sulle evidenze cliniche.
Per quanto concerne la sicurezza uno studio clinico randomizzato ha confrontato l’irradiazione retrobulbare rispetto alla terapia simulata in 88 pazienti con oftalmopatia Basedowiana.
E’ stata osservata una maggiore percentuale di risposta nel gruppo sottoposto ad irradiazione ( 52% versus 27%; p = 0.02 ).
L’outcome composito era rappresentato dalla misura della funzione oculare e delle proprietà fisiche.
Uno studio controllato randomizzato, che ha coinvolto 60 pazienti, ha mostrato un miglioramento nella motilità oculare raggiunto nell’82% ( 14/17 ) dei pazienti irradiati e nel 27% ( 4/15 ) dei pazienti sottoposti a terapia simulata ( p = 0.004 ).
Non è stata osservata alcuna significativa differenza nella proptosi o edema della palpebra tra i bracci dello studio.
Il confronto tra irradiazione retrobulbare ed il trattamento con il corticosteroide Prednisolone in uno studio clinico controllato e randomizzato non ha mostrato alcuna differenza significativa nella funzione oculare ( proptosi, acuità visiva, dimensione dell’apertura delle palpebre ) tra i bracci di trattamento.
Uno studio clinico randomizzato in cross-over, che ha interessato 42 pazienti in cui uno dei due occhi, il destro o il sinistro, era sottoposto a radioterapia e l’altro a trattamento simulato, non ha evidenziato significative differenze dopo 3 mesi tra i due trattamenti riguardo alla dimensione dei muscoli e alla proptosi.
Secondo gli Advisor del NICE i dati di letteratura non permettono di stabilire l’efficacia dell’irradiazione retrobulbare nell’oftalmopatia tiroidea.
Per quanto riguarda la sicurezza due studi di follow-up di lunga durata, 7.2 e 11 anni, hanno mostrato che l’incidenza di cataratta è stata del 10% ( 22/197 ) e dell’11% ( 21/204 ) e l’incidenza di retinopatia è stata dell’1,1% ( 2/197 ) e dello 0,98% ( 2/204 ), rispettivamente.
In uno studio è stata riscontrata un’incidenza di tumori del 5% ( 10/197 ) tra i pazienti irradiati, ma nessuno di questi tumori si è sviluppato nell’area irradiata.
Un altro studio non ha evidenziato lo sviluppo del tumore testa-collo in 157 pazienti seguiti in media per 11 anni.
Ispessimento muscolare o polipi nel tessuto paranasale sono stati riscontrati nel 34% ( 53/157 ) dei pazienti.
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