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alla 1° pagina..) più a compiere il proprio percorso verso il torace ristagna nei tessuti del braccio, provocando gonfiore e dolore — spiega al Corriere della Sera Paolo Veronesi, direttore del Programma di Senologia e della Divisione di Senologia chirurgica dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano —. L’asportazione dei linfonodi ascellari, un tempo di routine per tutti i casi di carcinoma mammario, è oggi molto più rara grazie all’introduzione della tecnica del linfonodo sentinella, che limita la necessità di asportazione dei linfonodi a circa un quarto delle pazienti con carcinoma in fase iniziale. L’intervento è molto più conservativo rispetto al passato, quando per esempio si rimuoveva sempre il muscolo piccolo pettorale. Sebbene il rischio di linfedema all’arto superiore sia molto ridotto rispetto a una volta, il linfedema resta un problema che può essere invalidante e che va prevenuto e tempestivamente affrontato per dare alle donne la migliore qualità di vita possibile».
Il rischio è ridotto per chi effettua soltanto la biopsia del linfonodo sentinella, mentre le probabilità aumentano per chi si sottopone all’asportazione totale dei linfonodi, a un trattamento di radioterapia sull’ascella e per chi è in sovrappeso.
L’accumulo di linfa può verificarsi nei giorni immediatamente successivi all’intervento o anche a distanza di anni. I sintomi più comuni sono il gonfiore, il senso di pesantezza dell’arto, l’irrigidimento della spalla, la riduzione della capacità motoria e della flessibilità di mano e polso e un dolore diffuso.
«Meglio intervenire precocemente se si nota anche un minimo gonfiore — consiglia Veronesi —. Basta parlarne con il chirurgo, con l’oncologo o anche con il medico di base, per avere le indicazioni più adeguate su chi contattare. Per arginare il disturbo, le tecniche che danno i migliori risultati con fisioterapisti esperti, prevedono il linfodrenaggio manuale con massaggi seguito da bendaggi o tutori, quando necessari, e un’apposita ginnastica. Qualsiasi tipo di movimento, purché armonioso e non traumatico, fa bene, mentre l’immobilità è controproducente».
I ricercatori inglesi hanno coinvolto 392 donne, dividendole in due gruppi e chiedendo loro di rispondere a un questionario sulla mobilità dell’arto, sul dolore e sulla qualità di vita generale nell’arco di 12 mesi.
Metà del campione ha ricevuto soltanto l’opuscolo informativo e i consigli per gli esercizi, mentre l’altra metà ha partecipato a un programma di riabilitazione che prevedeva l’appuntamento con un fisioterapista e una serie di esercizi specifici.
Dopo un anno tutti i parametri, sia per la mobilità di braccia e spalle sia per la riduzione del dolore, sono risultati migliori in chi aveva partecipato al programma. «Affrontare il linfedema il prima possibile, o procedere da subito con appositi esercizi nelle pazienti operate più a rischio di svilupparlo, fa la differenza — si legge nelle note conclusive della ricerca —. Una volta che l’arto è gonfio e la patologia stabile, con modificazioni patologiche dei tessuti, diventa più difficile da trattare. E il problema si fa sempre più invalidante per le pazienti».
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10/12/2021 Andrea Sperelli
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